La libertà delle donne nell’antichità

Spesso quando si parla di violenze sulle donne ci si riferisce spesso al Medioevo o a periodi ancora più antichi della storia. Tuttavia siamo sicuri che tali riferimenti siano corretti?

 

La libertà delle donne nell’antichità ha subito alti e bassi. Per esempio nell’Antico Egitto le donne erano considerate pari agli uomini. Infatti, come ci descrive Erodoto nelle sue “Storie”, spesso le donne gestivano il commercio e ogni altro lavoro alla pari degli uomini. Inoltre non è sconosciuto il fatto che l’Egitto sia stato governato per almeno due volte da due donne. La prima fu Hatshepsut, nel 1500 a.C. circa, che regnò al posto del marito e del di lui figlio Thutmose III. Durante il suo regno l’Egitto riuscí a ricreare le alleanze danneggiate durante il periodo Hyksos. La seconda e più celebre, anche se greca e non egiziana, fu Cleopatra, che rese l’Egitto alleato di Roma, proteggendolo così dalle campagne espansionistiche romane.

 

In Grecia la libertà delle donne variava invece in base alle poleis. Per esempio nella democratica Atene le donne erano confinate in casa ai lavori domestici e all’educazione dei figli. Le uniche occasioni per cui potevano uscire di casa erano le feste religiose o per recarsi nell’agorà, ma solo accompagnate dagli eunuchi o dalle guardie del corpo. Al contrario a Sparta le donne potevano allenarsi nella corsa, nella lotta e nel lancio del disco e del giavellotto. Ciò fu reso obbligatorio dalla legislazione di Licurgo.

 

La donna romana invece si vide concedere e privare diverse libertà nel corso della storia. Infatti, se nella Roma repubblicana la condizione femminile era pari a quella delle donne ateniesi, la situazione cambia durante l’età imperiale, soprattutto sotto l’imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano. Infatti egli concesse alle donne piena indipendenza economica sia dal padre che dal marito. Ciò permise alle donne di autogestire le proprie finanze e di divorziare a piacimento dai mariti e divorziare divenne così comune che pare ci fossero donne che si erano risposate otto volte nel giro di tre mesi.

 

In conclusione possiamo affermare che non sempre le donne nell’antichità erano recluse in casa e considerate come oggetti, ma a volte erano considerate pari agli uomini. Per cui non è detto che il passato sia sempre peggiore del presente.



Le donne nella società-parte III: il caso dell’India

La disuguaglianza di genere è un argomento molto importante e da non sottovalutare: cercare di ridurre il gender gap è fondamentale non solo per ragioni etiche, ma anche perché l’esclusione sociale può portare a una riduzione generale del welfare di un paese.

Secondo il World Economic Forum’s Global Gender Gap Report, il gap tra generi è ancora molto largo. Il Global Gender Gap Index è un benchmark che traccia l’evoluzione delle differenze tra uomini e donne e tiene conto, nel tempo, del progresso verso la chiusura di questo gap. L’indice lavora secondo quattro dimensioni chiave: la partecipazione e le opportunità economiche, l’educazione, la salute, e il potere politico di un individuo (Economic Participation and Opportunity, Educational Attainment, Health and Survival, Political Empowerment). Globalmente, la distanza media che è stata completata per raggiungere la parità è al 68%, addirittura meno rispetto al 2020. Questi risultati sono per spiegati con il declino delle misure sociali di molte nazioni, soprattutto quelle in via di sviluppo. Da ora in poi serviranno circa 135.6 anni per chiudere il gap in tutto il mondo.
Questi dati mettono i brividi, i gap più sostanziosi rimangono quelli in potere politico, chiuso solo al 22%, e quello in partecipazione e opportunità economica, chiuso al 58%: effettivamente pochissime donne sono in politica e i numeri sono molto bassi anche considerando posizioni manageriali e professionali ad alto livello. Inoltre, la strada per il raggiungimento di un pari ed equo stipendio è ancora molto lunga.

Il caso dell’India

Come già accennato, questo scarto tende a peggiorare se consideriamo paesi in via di sviluppo in cui la povertà, l’analfabetismo e la completa mancanza di risorse e aiuti (sia sociali che economici), non migliora la posizione della donna. Inoltre, molte civiltà fondano le proprie origini su tradizioni e culture che hanno sempre discriminato la figura femminile, svalutandola e mettendola da parte.
Ad esempio, l’India è un paese caratterizzato da una lunga e radicata discriminazione sociale che è originata dalle antiche tradizioni dei matrimoni combinati e dal fatto che la società sia strutturata in caste. L’India presenta spesso dati statistici e indicatori economici e sociali molto più bassi rispetto a quelli di altri paesi in via di sviluppo con caratteristiche simili, come ad esempio il livello di reddito pro-capite, il tasso di mortalità, la malnutrizione, l’uso di contraccettivi, la fertilità etc.

Dopo aver dichiarato la propria indipendenza nel 1947, l’India ha adottato un sistema democratico di governo molto simile a quello del sistema parlamentare britannico. Questo radicale cambiamento avrebbe dovuto giovare alle condizioni della donna, garantendo eque opportunità lavorative e gli stessi diritti. Eppure, questo non è stato il caso, e la seguente tabella mostra diverse statistiche riguardanti le disuguaglianze della nazione:

World development indicators (2019) Male Female

Labor force participation rate (% of population aged 15+, national estimate)

75.8

26.2

Labor force with advanced education (% of working age population with advanced education)

80.99

30.57

Educational attainment at least primary (% of population 25+ years)

85.04

78.8

Educational attainment upper secondary (% of population 25+ years)

41.6

34.6

Literacy rate (% of population)

84.7

70.3

Median gross hourly salary (₹)

242.49

196.3

Source: own elaboration based on data retrieved from Gender Statistics database (The World Bank), Monster Salary Index (MSI) published in March 2019 and the National Statistical Office (NSO)

Infatti, l’India si classifica 140esima tra 156 paesi nel World Economic Forum’s Global Gender Gap Report 2021, diventando la terza peggiore performer in Asia del Sud.

Uno dei più grandi problemi che contribuiscono a questa persistente disparità è la sotto rappresentazione delle donne in politica, a livello nazionale o locale, a causa di norme culturali, barriere politiche e discriminazioni.
Nel 1971, un comitato sulla condizione delle donne è stato nominato per analizzare ed esaminare la loro posizione nelle opportunità politiche. Il rapporto del comitato, intitolato Towards Equality e pubblicato nel 1974, concludeva che l’impatto delle donne in politica era marginale anche se numericamente erano la minoranza più numerosa: il comitato ha proposto che ogni partito politico stabilisse una quota per le candidate come misura correttiva.
Nel 1992, il 73° emendamento costituzionale indiano ha imposto un decentramento di vasta portata istituendo un sistema di consigli a tre livelli: di distretto, di blocco e di villaggio. A livello di villaggi, i gram panchayat (GP) rappresentano il livello più basso del governo locale, composto da un presidente (pradhan o sarpanch) e dai membri del consiglio eletti dai rioni del panchayat. Le responsabilità del gram panchayat includono: la fornitura di servizi pubblici in materia di sanità, istruzione, acqua potabile e strade; fissare le tariffe e amministrare le tasse locali; l’amministrazione, la formulazione e l’attuazione di piani di sviluppo locale; la selezione dei beneficiari e l’attuazione dei programmi sociali ed economici sponsorizzati dal governo centrale. Le assemblee regolari (gram sabhas) di tutti gli elettori nel GP hanno lo scopo di monitorare le prestazioni e aumentare la responsabilità.
Inoltre, l’emendamento prevedeva che un terzo dei seggi in tutti i consigli del Panchayat, così come un terzo delle posizioni di Pradhan, dovesse essere riservato alle donne, le così dette quote rosa. La prenotazione è stata assegnata casualmente tra i villaggi.

Le quote rosa: una via di cambiamento?

In un articolo pubblicato dal Journal of Development Studies (giugno 2011), tre ricercatori hanno analizzato come questa politica di quote rosa ha impattato sui risultati politici di questi consigli di villaggio. I dati utilizzati provenivano da un’indagine rappresentativa a livello nazionale di 233 villaggi nell’India rurale, condotta nel 2007 dal National Council of Applied Economics.
Il set di dati contiene informazioni relative alle diverse caratteristiche del villaggio e alle caratteristiche relative al nucleo familiare di ciascun intervistato. Ogni membro della famiglia di età pari o superiore a 16 anni ha fornito le seguenti informazioni: informazioni personali (quali sesso, età, istruzione, casta, matrimonio, religione…); la sua opinione personale sulla performance del panchayat alla data attuale (2007); la frequenza e natura della sua partecipazione alle riunioni di gram sabha; la sua disponibilità a contribuire ai beni pubblici.
La variabile esplicativa di interesse, ovvero quella che è stata utilizzata per poter poi valutare l’introduzione delle quote rosa, è lo stato di prenotazione di ciascun villaggio, quindi se nel villaggio è stata imposta (reserved village) o meno (unreserved village) la prenotazione femminile durante le ultime tre elezioni. Questo è molto importante per poter fare un’analisi precisa, confrontando villaggi in cui le donne avevano diritto di partecipare alle riunioni e alla vita politica, e villaggi in cui il ruolo femminile in politica è rimasto emarginato.

La letteratura sulle quote di genere non è unanime. Da un lato i ricercatori ritenevano che l’attuazione del potenziamento politico femminile potesse garantire un migliore sviluppo e aumentare l’utilizzo del potenziale umano della società; come? Dando più voce alle donne, portando a un aumento delle segnalazioni di reati e una maggiore resistenza alla violenza, fornendo maggiori investimenti in sanità e istruzione e garantendo maggiori sforzi per attuare riforme fondiarie redistributive e una legislazione successoria favorevole alle donne con meno corruzione.
D’altra parte, i critici osservano che tali misure possono portare in carica individui con meno esperienza e qualifiche e che potrebbero essere facilmente manipolati dalle élite tradizionali (ad esempio le donne potrebbero venir costrette a fare determinate cose dai mariti o dalla famiglia).
Il contributo degli autori dell’articolo a questa letteratura consiste nell’analizzare se la prenotazione femminile nei villaggi ha impatti positivi o negativi sulla comunità locale, in particolare misurando il suo effetto su diverse variabili di esito, come la percezione degli elettori sul livello di trasparenza e responsabilità del consiglio, la disponibilità dell’elettore a partecipare alle riunioni e a contribuire ai beni pubblici.

I risultati trovati sono molto interessanti. Gli autori hanno notato che nei villaggi riservati, quindi quelli con le quote rosa, c’è stato un netto miglioramento sotto tanti punti di vista.
Innanzitutto, secondo gli elettori, avere una donna al potere aumenta la facilità con cui possono essere risolti i problemi locali e un miglioramento per quanto riguarda la corruzione e la responsabilità dei funzionari per i loro compiti. Inoltre, avere più donne in politica ha portato l’aumento del tasso di partecipazione e presenza agli incontri, consentendo anche alle donne, fino ad allora escluse, di poter esprimere la propria opinione e di diventare sempre più sicure di sé e indipendenti.
Infine, gli autori hanno notato più volontà da parte dei membri del villaggio nel contribuire economicamente ad alcuni beni pubblici, come l’acqua, le strade, la corrente elettrica e gli investimenti in sanità, salute ed educazione. Queste donazioni hanno permesso di migliorare le condizioni di vita dei villaggi, fornendo maggiori risorse e qualità dei servizi.
Dall’analisi è anche emerso che, per ottenere i benefici dell’inserimento delle quote rosa, c’è bisogno di tempo. Bisogna permettere alle donne di imparare a sfruttare le opportunità per far sentire la propria voce. Questo processo di apprendimento è qualcosa che avviene su orizzonti più lunghi: da un lato le donne necessitano di tempo per imparare e farsi rispettare, dall’altro lato gli uomini hanno bisogno di tempo per abituarsi ad avere una figura femminile al comando.

Si può quindi concludere che, nel complesso, la riserva femminile ha avuto un impatto positivo sugli esiti politici dei consigli dei villaggi rurali. Le quote rosa aumentano il livello e la qualità della partecipazione ai processi politici, della capacità di chiedere conto ai funzionari locali e della volontà degli individui di contribuire a diversi tipi di beni pubblici.
Questo è sicuramente un bene per la società, è importante che ci si renda conto dell’importanza dell’inclusione. Visti i risultati della ricerca, è evidente che sarà impossibile raggiungere risultati positivi nel breve periodo, ma che permettendo alle donne di farsi valere, di partecipare e di poter contribuire alle dinamiche della società, nel lungo termine le condizioni di vita non possono che migliorare, sia da un punto di vista sociale, che politico, che economico.

Donne in azione

A una settimana dalla festa della donna, celebrata in tutto il mondo l’8 Marzo, vorrei ricordare alcune donne che hanno fatto la differenza nella lotta per i diritti femminili e altre che sono state delle pioniere in molti campi.

Partendo dal fatto che il femminismo è un movimento che difende l’uguaglianza dei diritti delle donne rispetto agli uomini, si può affermare che la lotta delle donne per la conquista di tali diritti è ancora lunga e incompleta. I progressi raggiunti fino ad oggi sono notevoli ma non si può nascondere che ancora nel XXI secolo i diritti delle donne sono violati ogni giorno in tutto il mondo. Attualmente 46 milioni di persone sono coinvolte nelle reti di schiavitù in tutto il pianeta e di queste sette su dieci sono donne. Una ragazza su tre è costretta a sposarsi contro la propria volontà prima dei 18 anni. Due terzi degli esseri umani che non sanno né leggere né scrivere sono donne. Sono più di sei milioni le donne vittime di violenza.

Questi dati spaventosi, però, non riescono ancora a toccare tutti, i casi rimangono costanti o aumentano. Ma le donne non sono mai state ferme, lo testimonia il movimento delle suffragette, che è stato uno dei più grandi segni di ribellione per rivendicare i diritti femminili. Tra queste donne c’era anche Emmeline Pankhurst, attivista britannica che guidò il movimento delle suffragette nel Regno Unito e fu la fondatrice del Woman’s Social and Political Union: grazie a lei le donne sono riuscite ad ottenere diritti che prima erano loro negati.

Negli Stati Uniti, a mettere in pratica tale impegno è stata Alice Stokes Paul, leader del movimento americano delle suffragette. In Italia, Anna Maria Mozzoni, giornalista che sosteneva un forte impegno femminile: è stata la pioniera del movimento di emancipazione delle donne.

Ma la lista delle donne femministe che hanno fatto la storia è ancora lunga: Simone De Beauvior è considerata la madre del femminismo, perché con la sua scrittura ha analizzato la condizione sociale e morale delle donne, ricevendo molti riconoscimenti a livello internazionale. Eleanor Rathbone fu riformatrice sociale femminista e militante per i diritti delle donne, scrisse soprattutto per la disparità salariale tra uomini e donne ma si è anche battuta per un’equa distribuzione del potere economico all’interno delle famiglie. In Italia, Tina Lagostena Bassi fu un agguerrita avvocatessa per i diritti delle donne: fu la prima a filmare e mandare in onda sulla televisione un processo per stupro e fu una delle socie fondatrici del Telefono Rosa. Un’altra italiana che nel Novecento si è battuta contro la violenza sulle donne è Franca Viola, la prima a dire no alle nozze riparatorie in seguito ad una violenza subita dal suo ex fidanzato.

Ancora oggi ci sono tante donne che combattono per il genere femminile con spirito e audacia. Ad esempio Michelle Obama, oltre che a essere ricordata come la prima first lady afroamericana, ha lanciato il progetto Let Girls Learn a favore dell’istruzione femminile. Anche tante attrici sono attive in questo tipo di cause: Patricia Arquette alla cerimonia degli oscar nel 2015 ha dedicato parte del discorso per la sua vittoria all’importanza della lotta per la parità di retribuzione negli Stati Uniti. Anche Emma Watson, nel suo discorso all’ONU, ha parlato del femminismo, specificando che si tratta di una causa che riguarda le donne ma anche gli uomini.

Oltre a queste grandi personalità, sono molte donne che hanno fatto la differenza, ottenendo primati in diversi campi. In campo scientifico è nota a tutti Marie Curie, la prima donna scienziata della storia e la prima persona al mondo a vincere due premi Nobel; fondamentale è anche la figura di Rosalind Franklin, che grazie alle sue foto a raggi x del DNA ha dato un fondamentale contributo nel rivelarne la struttura. In Italia è rimasta nella storia Rita Levi Montalcini, che ha vinto un premio Nobel in medicina per aver scoperto l’NGF(fattore di crescita nervoso).

Sempre in campo medico Florence Nightingale è la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, è ricordata come la “donna della lanterna”, poiché assisteva e dava speranza ai malati anche nel buio della notte. In ambito matematico, Ada Lovelace fu la prima programmatrice di computer al mondo, Katherine Johnson fu la brillante matematica afroamericana che ha tracciato le traiettorie dei primi voli nello spazio, spalleggiata da un team di donne. Anche Emmy Noether fu un’importante matematica, odiata da Hitler perché tedesca ebrea ma ammirata da Albert Einstain.

Per quanto riguarda la moda ricordiamo la stilista francese Coco Chanel, celebrata per aver rivoluzionato il concetto di femminilità con sobrietà, raffinatezza e libertà. In materia di attivismo Elizabeth Fray ha lottato per quelli che ora sono i principi base della prigione e per i senzatetto. Eva Peron, oltre a essere ricordata come attrice, è conosciuta per il suo impegno a favore dei lavoratori e dei poveri. Infine Lady Diana fu soprannominata “Principessa del popolo” per la sua spontaneità, le sue missioni umanitarie a favore dei bisognosi, la lotta all’Aids e alle mine antiuomo.

Le donne che ho citato non sono che una piccolissima parte di un infinito elenco di altre donne altrettanto volenterose e importanti. Per non dimenticare anche tutte quelle donne comuni che combattono ogni giorno la loro battaglia per farsi valere. Sono estremamente orgogliosa di essere donna e di poter contare sulle mie simili, grazie ad uno spirito di collaborazione e dolcezza che ci ha sempre contraddistinto. Con questa piccola esperienza attraverso l’esempio di grandi donne vorrei trasmettere il coraggio di poter continuare a cambiare il mondo e lasciare un segno nella storia.

Alice Taricco

Le donne dell’8 Marzo

Si parla di emancipazione, di uguaglianza tra i sessi.

Si vendono, regalano e ricevono mimose.

Ci si sente per un giorno, come spesso capita in occasione di ricorrenze particolari, parte dello spirito che questo giorno si porta dietro: liberi, aperti, proiettati verso il futuro.

Ci si dimentica, o forse semplicemente si evita di pensare, ai diritti ancora negati. Non parlo solo di quelli evidenti, delle spose bambine, delle ragazze obbligate a prostituirsi, degli innumerevoli casi di stupro e violenza, di tutte quelle notizie che stimolano immediatamente, e giustamente, il nostro senso di ingiustizia.

 

Parlo anche delle piccole discriminazioni quotidiane, quelle che avvengono proprio in quegli ambienti in cui le abissali differenze di un tempo sembrano superate. Delle “quote rosa” che obbligano un imprenditore ad assumere una certa percentuale di donne, come se si trattasse di una categoria troppo debole per essere considerata meritevole. Di quelle aziende che assumono donne a condizione che per un certo periodo non facciano figli. Della strumentalizzazione dell’immagine femminile, con tutto il carico di responsabilità da parte delle stesse donne che essa comporta. Delle tante reazioni alla spedizione sulla Stazione Spaziale Internazionale da parte dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti: laureata in ingegneria meccanica e scienze aeronautiche, selezionata come astronauta risultando una dei sei migliori tra 8500 candidati, ma non immune ai commenti sul suo aspetto fisico e alle battute sulle sue capacità di parcheggiare la navicella.

Eppure Samantha, come tante altre donne, è d’ispirazione. Non per il fatto che sia una donna e abbia raggiunto dei risultati. È d’ispirazione, per chiunque, per l’intelligenza, la dedizione, la passione che ha dimostrato. E il suo successo deve motivare, non solo le donne, a realizzarsi.

 

Come è d’ispirazione Malala Yousafzai, classe 1997, pakistana, premio Nobel per la Pace 2014 “per la lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”, secondo il Comitato per il Nobel norvegese. Cresciuta in un Paese in cui la condizione femminile è di stretta subordinazione, è diventata un simbolo di lotta, modernizzazione e cultura. Ma sarebbe riduttivo definirla un esempio per le ragazze che inseguono  un obiettivo. La sua storia colpisce e manda un messaggio di impegno e speranza universale.

Potrei citare moltissime altre donne che, in diversi campi, hanno dimostrato una passione e una tenacia meravigliosamente motivanti: da Marie Curie a Rosa Parks, da Rita Levi Montalcini a Frida Kahlo, passando per tanti altri nomi più o meno celebri.

Ma voglio farmi prendere un po’ dallo spirito di questa ricorrenza speciale, e regalare una mimosa a tutte le donne d’ispirazione, il cui nome non corrisponderà mai ad una voce di Wikipedia. A tutte quelle donne che si preparano di corsa al mattino, vanno a lavorare e portano i bambini a scuola, tornano a casa con il trucco sbavato e sporcano i fornelli perché rovesciano l’acqua della pasta. A tutte le donne che lottano con i problemi della quotidianità, che siano piccoli o importanti, con la stessa costanza con cui Samantha Cristoforetti ha affrontato gli addestramenti. Con lo stesso coraggio con cui Rosa Parks non ha ceduto quel posto sull’autobus. Con la consapevolezza di poter lottare.

Una mimosa a tutte le donne che ci spingono a migliorarci.

Una mimosa a tutte le donne, in quanto persone, la cui storia provoca non in noi donne, ma in noi persone, una scintilla d’ispirazione.

Una mimosa a tutte le donne i cui successi non sono resi più eroici dalla loro declinazione al femminile, ma che ci fanno meravigliare delle capacità, della perseveranza e della passione di un essere umano.

 

CORAGGIO SCANDALOSO

La frustrazione, il dolore, il 4 in matematica, le porte sbattute in faccia, il no del papà, la sberla, il rimprovero: sono tutti eventi che aiutano a crescere. Il valore e l’importanza delle esperienze negative risiede nel fatto che attraverso questi improvvisi cambiamenti si piantano i primi semi di un sistema immunitario psicologico forte ed efficiente. Funziona esattamente come quello biologico, si costruisce attraverso esperienze frustranti. Ogni crisi ci insegna che ora più che mai abbiamo necessità di tornare a pensare, progettare, sperimentare. Mettendoci di nuovo in gioco sfoggiamo il nostro coraggio.

 

La parola coraggio deriva dalla parola cŏr, cŏrdiscuore”. L’avere coraggio vuol dire quindi avere cuore, un qualcosa che tutti possiedono. Anche se molte volte questa parola viene spesso confusa con “eroismo”, viene associata ad un atto grandioso che solo pochi sono in grado di fare. In realtà il coraggio esiste dentro ognuno di noi, dobbiamo solo essere capaci di tirarlo fuori. Il coraggio porta con sé una certa fiducia in sé stessi. Il coraggio serve per arrendersi, per scappare, per tenere i pugni aperti, per allentare i denti e lasciare perdere. Il coraggio serve per chiudere tutte le uscite d’emergenza e procedere per l’unica strada che ci somiglia. A volte non ci sono alternative: c’è una forza che ci spinge, ci fa deludere gli altri, ci fa fare cose impreviste e impossibili. Un coraggio scandaloso a cui solo noi riusciamo a dare un senso. Il coraggio che viene imposto dalla legge marziale agli uomini, l’obbligo di combattere, di uccidere, di essere uccisi. E’ solo una parte di coraggio, quella associata all’eroismo, ma esiste anche il nobile coraggio dei disertori, un coraggio scandaloso che spesso non viene valorizzato. Il coraggio di lasciare tutto e scappare viene dipinto dai media come un segno di fragilità, di non amore per la patria. Un coraggio che gli uomini non si possono permettere perché devono combattere fino alla fine, solo le donne possono. È anche poco raccontato il coraggio del perdono, il silenzioso coraggio di rielaborare il male attraversandolo, passarci dentro incontrandosi e incontrando il dolore provocato e subito. Un coraggio che toglie il fiato e il giudizio. Il coraggio di aspettare, di avere pazienza, un modo per diminuire l’aggressività e il dolore che ci accompagna. Di solito facciamo esattamente quello che finisce per accrescere l’aggressività e la sofferenza. La pazienza è quasi vista come debolezza, come un coraggio scandaloso, quindi partiamo in quarta e contrattacchiamo. Inevitabilmente, nel tentativo di sfuggire dal nostro dolore, creiamo, con le nostre parole e le nostre azioni, ancora più sofferenza. C’è anche il coraggio di chi piange e di chi si fa vedere vulnerabile. Oppure il coraggio che porta con sé la fiducia di lanciarsi allo sbaraglio, un coraggio scandaloso per molte persone che sono come ingessate, non riescono a vivere a fondo la grande condizione di libertà che possiedono. La libertà è anche quella di superare gabbie e condizionamenti. Ci vuole il coraggio di andare controcorrente. La rassegnazione di oggi fa paura, accettiamo tutto come inevitabile. 

Forse il seme dell’infelicità odierna è rintracciabile nella perdita di identità individuale. L’uomo contemporaneo cerca invano di sottrarsi continuamente all’ombra della sua anima, per non fare i conti con la propria inaudita infelicità. Per combattere l’infelicità occorre qualcosa di più che un auspicio, che una mera speranza: serve fatica, la fatica di pensare al nuovo, al non già visto; il coraggio di rispondere all’attrazione verso l’ignoto. La felicità è racchiusa nel coraggio di provocarsi, di pretendere qualcosa dal proprio destino senza lasciare che faccia il suo corso senza il nostro contributo. Insomma richiede un coraggio inaudito, scandaloso. Molte volte ciò che ostacola questo atto di coraggio è il timore delle conseguenze, il giudizio altrui. Il desiderio di adattarsi è una delle forze più potenti e meno comprese della società. Todd Rose, nel suo libro Illusione Collettiva, crede che come esseri umani agiamo continuamente contro i nostri migliori interessi a causa dell’incomprensione del nostro cervello di ciò che pensiamo che gli altri credano. Un complicato insieme di illusioni guidate da pregiudizi di conformità distorce il modo in cui vediamo il mondo che ci circonda. È per questo che troppo spesso inseguiamo le trappole familiari di denaro e successo che ci fanno sentire vuoti anche quando li raggiungiamo. È per questo che sposeremo ciecamente un punto di vista in cui non crediamo necessariamente in modo da mimetizzarci con il gruppo. Lo scriveva già Gustave Le Bon, nella Psicologia delle folle, la massa crea un inconscio collettivo in cui ogni individuo si sente deresponsabilizzato, mette il cervello in pausa e agisce di impulso portando anche conseguenze disastrose. 

Nel suo libro, il coraggio, Paolo Crepet spiega come oggi è la tecnologia che ci deresponsabilizza: fino a trent’anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, quindi esporsi. Oggi si può comunicare senza un’interfaccia umana, senza paura di compromettersi. E le virtù umane vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d’animo stanno diventando sempre più un’astrazione virtuale. Per fronteggiare questa grande urgenza sociale, Crepet propone un’ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni. Perché, alla fine, il coraggio scandaloso è la magica opportunità che permette di vivere appieno il nostro presente e costruire lentamente il nostro futuro.