Si parla di emancipazione, di uguaglianza tra i sessi.

Si vendono, regalano e ricevono mimose.

Ci si sente per un giorno, come spesso capita in occasione di ricorrenze particolari, parte dello spirito che questo giorno si porta dietro: liberi, aperti, proiettati verso il futuro.

Ci si dimentica, o forse semplicemente si evita di pensare, ai diritti ancora negati. Non parlo solo di quelli evidenti, delle spose bambine, delle ragazze obbligate a prostituirsi, degli innumerevoli casi di stupro e violenza, di tutte quelle notizie che stimolano immediatamente, e giustamente, il nostro senso di ingiustizia.

 

Parlo anche delle piccole discriminazioni quotidiane, quelle che avvengono proprio in quegli ambienti in cui le abissali differenze di un tempo sembrano superate. Delle “quote rosa” che obbligano un imprenditore ad assumere una certa percentuale di donne, come se si trattasse di una categoria troppo debole per essere considerata meritevole. Di quelle aziende che assumono donne a condizione che per un certo periodo non facciano figli. Della strumentalizzazione dell’immagine femminile, con tutto il carico di responsabilità da parte delle stesse donne che essa comporta. Delle tante reazioni alla spedizione sulla Stazione Spaziale Internazionale da parte dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti: laureata in ingegneria meccanica e scienze aeronautiche, selezionata come astronauta risultando una dei sei migliori tra 8500 candidati, ma non immune ai commenti sul suo aspetto fisico e alle battute sulle sue capacità di parcheggiare la navicella.

Eppure Samantha, come tante altre donne, è d’ispirazione. Non per il fatto che sia una donna e abbia raggiunto dei risultati. È d’ispirazione, per chiunque, per l’intelligenza, la dedizione, la passione che ha dimostrato. E il suo successo deve motivare, non solo le donne, a realizzarsi.

 

Come è d’ispirazione Malala Yousafzai, classe 1997, pakistana, premio Nobel per la Pace 2014 “per la lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”, secondo il Comitato per il Nobel norvegese. Cresciuta in un Paese in cui la condizione femminile è di stretta subordinazione, è diventata un simbolo di lotta, modernizzazione e cultura. Ma sarebbe riduttivo definirla un esempio per le ragazze che inseguono  un obiettivo. La sua storia colpisce e manda un messaggio di impegno e speranza universale.

Potrei citare moltissime altre donne che, in diversi campi, hanno dimostrato una passione e una tenacia meravigliosamente motivanti: da Marie Curie a Rosa Parks, da Rita Levi Montalcini a Frida Kahlo, passando per tanti altri nomi più o meno celebri.

Ma voglio farmi prendere un po’ dallo spirito di questa ricorrenza speciale, e regalare una mimosa a tutte le donne d’ispirazione, il cui nome non corrisponderà mai ad una voce di Wikipedia. A tutte quelle donne che si preparano di corsa al mattino, vanno a lavorare e portano i bambini a scuola, tornano a casa con il trucco sbavato e sporcano i fornelli perché rovesciano l’acqua della pasta. A tutte le donne che lottano con i problemi della quotidianità, che siano piccoli o importanti, con la stessa costanza con cui Samantha Cristoforetti ha affrontato gli addestramenti. Con lo stesso coraggio con cui Rosa Parks non ha ceduto quel posto sull’autobus. Con la consapevolezza di poter lottare.

Una mimosa a tutte le donne che ci spingono a migliorarci.

Una mimosa a tutte le donne, in quanto persone, la cui storia provoca non in noi donne, ma in noi persone, una scintilla d’ispirazione.

Una mimosa a tutte le donne i cui successi non sono resi più eroici dalla loro declinazione al femminile, ma che ci fanno meravigliare delle capacità, della perseveranza e della passione di un essere umano.