30 Gennaio 2025 | Vorrei, quindi scrivo
E no, non intendo dire che dovremmo tutti guardare Sex Education, anche se può essere un buon punto di partenza per chi vuole uscire dall’oscurità della cis-eteronormatività. Ma possiamo fare molto di meglio (o quanto meno ci possiamo provare).
Prima di tutto, per favorire una partecipazione attiva
Quando si parla di “leggere/ascoltare/vedere/vivere” queer, si intende dare voce alle persone LGBTQIA+ (si, è noioso cercare di esseri inclusivi, ci metto 3 secondi in più a scrivere questa sigla, non so se potrò sopravvivere, aiuto) e quindi evitare di ridurre le loro esperienze attorno al fatto di appartenere alla comunità, a mere parentesi di una discussione più ampia, a semplici oggetti all’interno dei media più comuni, adatti solo a “mettere la spunta” ad uno dei personaggi da inserire all’interno di un prodotto (pseudo) artistico per essere considerati politically correct e in pace con la propria coscienza (nella speranza che essa ci sia, forse sono troppo ottimista e ingenua).
È cruciale non solo parlare di loro, ma permettere alle persone trans e queer di prendere in mano la narrazione (inteso come il singolo racconto all’interno di un sistema di comunicazione), di farle passare “dall’altra parte del bancone”, permettendo loro di raccontare senza esistere solo in funzione di trame perbeniste che le riducono a strumenti didattici per chi non fa parte della comunità. Quanto ne gioveremmo a smettere di filtrare le loro voci attraverso la lente eteronormativa e cisnormativa che distorce e ovatta le loro esperienze? Quanto una più giusta e sincera rappresentazione potrebbe sbloccare menti che ora come ora non riescono ad empatizzare con una persona LGBTQIA+ ?
Non è questa la potenza della narrazione? Raccontare il mondo non solo com’è, ma anche come potrebbe essere.
Quando le narrazioni vengono raccontate da chi non vive da vicino (almeno) o in prima persona, queste risultano filtrate, distorte, ridotte a caricature che perpetuano stereotipi. Un esempio lampante di questo squilibrio lo troviamo nel panel sull’aborto a Porta a Porta, andato in onda il 18 aprile 2024, dove sette uomini discutevano di aborto. Sette uomini, a discutere di una questione che riguarda principalmente i corpi femminili. Il problema è lo stesso: una lente eteronormativa e patriarcale che continua a filtrare argomenti che non gli appartengono.
Pensiamo a cosa accadrebbe se, invece, fossero le persone queer e trans a creare le proprie narrazioni e a dare voce alle proprie storie. La visibilità e la rappresentazione sarebbero più rispettose delle esperienze reali di chi vive queste identità? Io credo proprio di si.
La necessità di spazi dedicati e di voce autentica
Creare e sostenere spazi queer, spazi dedicati alla comunità LGBTQIA+ è fondamentale perchè spesso, la loro voce arriva smorzata, distorta, proprio perché chi prende le scelte all’interno degli spazi di rappresentazione mainstream appartiene a una classe sociale cis e etero che non conosce queste esperienze e quindi le dipinge attraverso le proprie percezioni, altrettanto spesso, distorte.
É importante parlare di spazi dedicati perché dobbiamo considerare la presenza strisciante di omotransfobia che si manifesta in una serie di microaggressioni a danno delle persone LGBTQIA+. Secondo i dati ISTAT del 2020-2021, 6 persone LGBTQIA+ su 10 hanno riportato di aver subito microaggressioni sul posto di lavoro. Questo clima di ostilità rende difficile esprimere in modo sereno la propria identità, i propri pensieri, le proprie opinioni (vorrei specificare “per le persona della comunità LGBTQIA+”, ma credo sarebbe difficile per chiunque nella stessa posizione).
Tentativo rivoluzionario
“Leggere/ascoltare/vedere/vivere” queer è un modo per sfidare il silenzio, per abbattere i pregiudizi e per creare un mondo più inclusivo, in cui ogni voce possa risuonare senza filtri o distorsioni. Non si tratta solo di consumare passivamente contenuti, ma di immergersi in storie che ampliano le nostre prospettive, mettendoci in contatto con esperienze umane che troppo spesso vengono messe al lato, permeate da ipotesi senza conferme e senza confronto.
Dizionario essenziale:
Cis-eteronormatività = sistema sociale che presume e privilegia l’eterosessualità e l’identità di genere cisgender come norma, le identità e relazioni non eterosessuali o non cisgender sono considerate devianti o meno valide.
LGBTQIA+ = Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali, Asessuali e altre identità di genere e orientamenti sessuali.
Omotransfobia = avversione ossessiva per gli omosessuali e l’omosessualità, i transessuali e la transessualità.
Queer = un termine ombrello che indica identità di genere e orientamenti sessuali non conformi alle norme eterosessuali e cisgender.
Riflessioni tratte dall’incontro: “(Re)fuse L’informazione verso il 25 novembre” presso la libreria Zalib – Centro Giovani
9 Gennaio 2025 | Vorrei, quindi scrivo
Noi vogliamo tutto. Cronache da una società indifferente, F. Carlini
La rabbia della consapevolezza
Pensate che la rabbia sia un sentimento negativo? Uno di quelli da placare, controllare, dosare; che è meglio non esprimere per rimanere composti, docili.
Lo pensavo anche io, eppure, Flavia Carlini, giovane attivista e divulgatrice politica, in Noi vogliamo tutto, la elogia, ne racconta la necessità e come usarla. Una rabbia che è protagonista o fine di tutti i capitoli. Quella rabbia, nata dalla consapevolezza e non dall’odio, da abbracciare ed usare per uscire dagli schemi dicotomici in cui ci troviamo piuttosto che accettarli passivamente.
«Ciò che leggerete è indicativo, anche se certamente non esaustivo, di un sistema di violenze in cui siamo cresciuti nella convinzione che il funzionamento della società ci prescinda e non sia direttamente influenzato dal comportamento di ognuno di noi. Questa è una menzogna.»
Noi vogliamo tutto, parla di potere, privilegio, corpi, storie di donne oppresse, coraggiose, dimenticate. Si parla di numeri e statistiche che, dopo ogni capitolo, rendono ancor più gravi e concrete le parole appena lette. Carlini dà voce a chi non ne ha o a chi, seppur urlando, non viene ascoltato. Anche attraverso le sue esperienze personali, racconta le discriminazioni di genere, lavorative, mediche e come vengono giustificate e legittimate dal sistema stesso che le produce e riproduce.
Con la scorrevolezza di un romanzo e la precisione di un saggio, mostra realtà del mondo occidentale che sono nascoste, così normalizzate che non vengono più notate, a cui siamo indifferenti perché è questo l’unico mondo che conosciamo.
Queste parole hanno avuto, su di me, un impatto forte, come un richiamo all’azione, come la spiegazione di qualcosa che sentivo, che sapevo esistesse ma che non avevo ben chiara. Ricordo la sensazione che ho provato mentre lo leggevo e la consapevolezza, mista ad amarezza e voglia di alzarmi e lottare, che mi ha pervasa leggendo questo libro. L’ho chiuso, una volta terminato, desiderando che tutte le persone che ho intorno potessero leggerlo per essere certa che anche loro si rendano conto della realtà, che possano mettere in discussione le proprie certezze o convinzioni, e che agiscano.
Ci affidiamo alla scienza, alla storia, ma ci siamo mai chiesti chi racconta la storia? Che storia e che scienza ci vengono fornite? Ci siamo mai domandati se le nostre stesse azioni abbiano mai contribuito a rafforzare una discriminazione o uno stereotipo?
Se ve lo siete mai chiesto, allora questo libro può darvi alcune risposte che cercate o, quantomeno, aprirvi una strada per approfondire i tanti temi che vengono proposti. Alla fine del libro l’autrice ha raccolto una bibliografia interessantissima (e necessaria!), che ha chiamato «l’anatomia della sua rabbia» in cui si trovano spunti da cui partire per guidare la vostra di rabbia.
19 Dicembre 2024 | Vorrei, quindi scrivo
De Amore
Liceo classico di un paesino italiano. Ora di greco
Eros: Perfetto! I prossimi bersagli sono qui. Ora, vediamo chi e come devo colpire. Il ragazzo si chiama Leonardo e la ragazza…ah, Sofia. Perfetto! Sono anche in classe insieme, questo mi semplifica parecchio il lavoro. Ecco Leonardo. Incocco. Carico. Miro. E…centro!! Ma vai, ma chi sono. Centro perfetto! Ehm…ora passiamo alla ragazza. Incocco. Carico. Miro. E…centro! Di nuovo! Centro perfetto!
Entra Ermes di corsa
Ermes: Eros, se hai finito di giocare, ti ricordo le Adonie ad Atene. Tua madre si infurierà se non presenzierai. D’altronde, è colpa tua se dobbiamo celebrarle.
Eros: Sì, ho finito. Dì a mia madre che arrivo subito.
Escono
Sofia: Prof, ma qual è la differenza tra eros e philia? Saffo scrive dell’uno o dell’altro?
Prof: Beh, l’eros è l’amore erotico, di sola carne. La philia al contrario è l’amore dell’anima, l’unione dello spirito se volete. Saffo scrive in realtà per entrambi gli amori. Scrive di unioni erotiche, dell’attesa dell’amplesso; ma scrive anche di gelosia, di sofferenza dell’anima a causa dell’amore.
Suona la campanella
Prof: Bene, per oggi abbiamo finito. Ricordatevi la versione di domani. Se volete esercitarvi ve ne ho lasciata una di compito sul registro. A domani!
Leonardo (avvicinatosi a Sofia): Non ci avevo mai pensato, sai.
Sofia: A che cosa?
Leonardo: Alla differenza tra eros e amore. Anche tu sei appassionata di poesia?
Sofia: In effetti sì, soprattutto di quella d’amore. Sai, credo che la poesia riesca a trasmettere al meglio i sentimenti umani.
L: Sono d’accordo. Ehm…ti andrebbe più tardi di andare a mangiare un panino assieme?
S: È un appuntamento?
L: No…non lo so. Tu cosa vorresti che fosse?
S: Va bene, accetto il panino. A più tardi allora Leo.
Ora di pranzo. Paninaro di fronte al liceo.
L: Allora, parlami di te. Cosa ti piace fare nel tempo libero?
S: In genere scrivo. O ascolto musica. O ascolto musica mentre scrivo.
L: Scrivi? E cosa se posso chiedere?
S: Un po’ di tutto in realtà. Solitamente poesia però.
L: Scrivi poesia? Davvero?!? Pure io! Ti va se ce ne inviamo un paio e ci scambiamo delle opinioni?
S: Sì certo! Ecco il mio numero.
L: Grazie. Ti posso offrire il pranzo?
Passano i mesi. Le cose tra gli innamorati sembrano andare bene.
L (scrivendo al telefono con Sofia. Sono le 14.45): Ehi, Sofi, come va?
L (il telefono segna le 15): Perché non rispondi?
L (sono le 15.05): Sofi, sai che quando ti scrivo devi rispondermi subito!
S (il suo telefono segna le 15.05.): Calmati, ero in doccia, scusami.
L: Vabbè, mi fido. Ci vediamo stasera.
S: Stasera non posso, ho la cena di famiglia, lo sai.
L: Allora ci vediamo adesso.
S: Adesso? Guarda, oggi non posso proprio, devo studiare greco.
L: Devi studiare? Studi da sola?
S: Certo, con chi altro dovrei studiare?
L: Non lo so, ma se non vuoi vedermi mi viene qualche dubbio. Sicura che non ci sia nessun altro con te?
S: Sì, sicura. Sei proprio fastidioso quando fai così.
L: Sai che non mi fido in generale. Poi non vuoi vedermi, quindi due domande me le faccio.
S: Non è che non ti voglio vedere, ma oggi non riesco, te l’ho già spiegato. E poi non è che dobbiamo vederci ogni giorno.
L: Come si chiama?
S: Chi?
L: Quello con cui ti vedi. Se non vuoi vedermi deve per forza esserci un altro.
S: Ma no, te l’ho già spiegato. Se proprio devi fare così allora non scrivermi, ho di meglio da fare che stare dietro alle tue pare idiote!
L: Aha! Allora lo vedi che ti vedi con un altro? Come si chiama sto pezzente?
S: Ma la vuoi smettere? Ti ho già detto che non c’è nessun altro.
L: Se non c’è nessun altro allora vediamoci tra mezz’ora al parchetto solito. Altrimenti ti lascio, e chi vuoi che si metta con te? A nessuno piacciono le nerd.
S: Va bene. Ci vediamo dopo.
Dopo un pomeriggio di chiacchiere al parco
L: Già, hai ragione. Senti, ti va di andare a provare il sushi che ha appena aperto in Via Manzoni?
S: Non posso, te l’ho detto, ho la cena di famiglia.
L: E annullala no? Che vuoi che sia?
S: No! Sono venuti persino i cugini da Cagliari, non li vedo da una vita.
L: Sicura che sia una cena di famiglia?
Sofia riceve un messaggio
L: Chi è? È quello con cui mi tradisci?
S: Cosa? Ma mi spieghi di che diavolo parli? Sarà un messaggio dai miei che mi chiedono dove sono, è già tardi.
L: Non ti credo, fammi vedere!
S: No, non ti faccio vedere un bel niente!
L: Dammi qua (prendendole il telefono di mano)! C’è il blocco. Toglilo. Subito!
S: Mi spieghi che ti prende? Ridammi il telefono.
L: Ti ho detto di togliere il blocco.
S: NO!
L (tirandole uno schiaffo): Toglilo invece. Hai visto cosa mi fai fare? È tutta solo colpa tua! Se non avessi segreti non ti avrei picchiata.
S: Ahi! Basta, è finita! Non voglio vederti mai più!
L: Cosa dici? Sei nulla senza di me!
Intanto in Turchia…
Eros: E anche questa è fatta!
Helios (entrando di corsa): Eros, devi tornare subito in Italia. I ragazzi che hai fatto innamorare il giorno delle Adonie di primavera non sono compatibili! Il ragazzo ha appena picchiato la ragazza! Devi farli disinnamorare, prima che la situazione degeneri! Li ho appena visti! Corri figlio di Ares, corri!
Ermes: Cosa dici Helios? Devo andare subito! Grazie per avermelo detto!
In Italia, tre secondi e mezzo dopo
Eros: Eccoli! Devo separarli. Mira…tendi…scocca! Colpita! Mira…tendi…scocca! Colpito! Le frecce di disamore dovrebbero salvarli da una tragedia. Meno male che Helios mi ha avvertito.
S: Senti, io non ti amo più. È da un po’ che lo penso, ma ora e sono sicura. Non posso andare avanti così. Non sei più il ragazzo gentile e cordiale che mi aveva invitata a mangiare un panino. Non ti riconosco più. È finita.
L: No. Non mi puoi lasciare hai capito? Chi vuoi che ti voglia? Sei solo una sciocca ragazzina che scrive e non fa altro della sua vita. Non vuoi nemmeno scopare! Siamo fidanzati da due mesi e non ho ancora visto nulla! Che altro vuoi che ti aspetti così a lungo? Solo io posso amarti e mi stai facendo cambiare idea.
S: Basta! Me en vado! Non ne posso più!
L: Aspetta! (la trattiene per il polso) Se tu ora te ne vai io farò una qualche sciocchezza hai capito? E sarà solo colpa tua.
S (un po’ intimorita dalle parole di Leonardo): Fai quel che vuoi, non mi interessi più.
L (mentre Sofia si allontana): Sei solo una strega e lo sapranno tutti! Ti pentirai delle tue scelte, te lo assicuro! Pagherai per questo!
Eros (che si stava allontanando): Ho un brutto presentimento, non vorrei che le frecce non avessero fatto effetto. È impossibile, ma sono tempi strani e sono stranamente preoccupato.
Tornato indietro vede la scena
Eros: Perché non ha funzionato? Eppure l’avevo colpito. Riprovo e…centro!
L: Non ti libererai mai di me brutta strega hai capito? Mai!
E: Niente, non ha funzionato. Riprovo…
L: Sentirai il mio stesso dolore, hai capito? Te la farò pagare. Sai che lo farò!
E: Non capisco. Magari ha solo bisogno di tempo per fare effetto…Devo andare intanto. Le Adonie estive sono già iniziate da un pezzo.
Olimpo, celebrazione delle Adonie
Ermes (avvicinatosi a un Eros visibilmente ubriaco): Che ti succede Drago? Perché piangi?
Eros: Le mie frecce non fanno più effetto! Ricordi quei due ragazzi che ho fatto innamorare alle Adonie primaverili? Lui è diventato possessivo e ho provato a farlo disinnamorare, ma non è servito a nulla. Ho paura adesso che possa ucciderla per colpa mia e non riesco a sopportare questo dolore.
Ermes: Capisco. Ma, Eros, non è colpa tua, hai fatto tutto il possibile tu! In verità penso sia colpa degli uomini! Il loro cuore è di pietra, anzi d’oro. Ormai a loro interessa solo la ricchezza! Avevamo un mondo di Spartani e ci siamo ritrovati un mondo di Lidi. Ma verrà il giorno, te lo dico, in cui cambieranno, oh se cambieranno, e allora vedrai che le tue frecce avranno di nuovo effetto!
Eros: Sì, ma per allora lei intanto sarà una delle tante, troppe, morte per mano del fidanzato o dell’ex fidanzato. E sarà colpa mia! Come farò a convivere con questo dolore?
Ermes: Non ti preoccupare. Vedrai che troverai una soluzione. Potresti chiedere aiuto a tuo fratello Antheros per esempio.
Eros: Shi, hai proprio ragione malaka! Vado subito! Hic!
Eros fa per andare, ma inciampa e cade
Ermes: Prima conviene che bevi un po’ di ambrosia. Ehi, Antheros, vieni qui un attimo!
Antheros: Ermes, fratello, mi avete chiamato?
Ermes: Sì, Eros ha un problema con le sue frecce. Pare che quelle di disamore non funzionino e una ragazza è in pericolo per questo.
Antheros: Ah, capisco. Fratello ci sei? Se davvero la situazione è così critica dobbiamo partire subito!
Eros: Sì, andiamo!
Escono
Esterno della casa di Sofia. Entra Leonardo con un coltello
L: Se non puoi essere mia, non sarai di nessun altro!
Eros: Eccolo è lì! Oh no, ha un coltello! Ti prego fratello, fa’ qualcosa!
Antheros: Tranquillo, aspetta e guarda. Miro. Tendo. Rilascio. Centro!
Leonardo viene avvolto dalla nebbia
L: Che succede? Cosa sta succedendo?
Appaiono la dea Sofia e Psiche
Sofia: Leonardo. Sei stato colpito dalle frecce di Eros e ti sei innamorato di una mortale che reca il mio nome. L’hai maltrattata, hai creduto di possedere un’altra anima! Sciocco mortale, non sai che le anime non possono essere possedute? Sai cos’è almeno l’amore?
L (farfugliando): I-Io, no. Non lo so lo ammetto. Ho avuto paura di perderla, mi sembrava un miracolo che una ragazza come lei si fosse innamorata di me.
Sofia: Non hai giustificazioni. Sei stato stolto e crudele. Per te sarà il Tartaro!
Psiche: Aspetta Sofia! Conosciamo entrambe il potere di mio marito, sappiamo che effetto ha sugli dei. Come potrebbe un mortale sfuggire a tale potere?
Sofia: Certo Psiche, ma se ogni mortale colpito da Eros si comportasse così, la loro stirpe sarebbe estinta già da molte generazioni.
Psiche: Concordo con te Sofia, però non tutti sanno cos’è l’amore e lui potrebbe essere di esempio per tutti.
Sofia: Hm…forse hai ragione.
L: Che-Che succede? Sto impazzendo?
Sofia: No, sei alla presenza della dea della saggezza e della dea dell’anima, stai tranquillo. Sai che cos’è l’amore?
L: Sì! Forse…ok, no, non lo so.
Psiche: Vedi, mio marito, Eros, colpisce i mortali con le sue frecce. Non sempre queste danno origine a un amore sano, si va per tentativi finché non si trova l’anima gemella. Di solito quando la coppia scoppia interviene e li allontana prima che le cose si…complichino.
L: Complichino? In che senso?
Sofia: Nel senso che lui ammazza lei.
L: Oh.
Psiche: Seh…sempre schietta eh Sofia?
Sofia: Sempre.
Psiche: A ogni modo. In alcuni casi, come il tuo, però le frecce del disamore non funzionano e così scoppiano le tragedie.
L: Perché le frecce non funzionano? Non è tipo un dio?
Sofia: Sì, ma se lui è ossessionato da lei nemmeno le frecce divine hanno effetto.
Psiche: Per questo è stato necessario usare anche quelle di Antheros, il dio dell’amore corrisposto, per farti disinnamorare di Sofia.
L: Quindi mi dite che sono diventato come uno di quei mostri che si sentono al tg?
Sofia: Già. E se non fossimo intervenuti noi avresti ucciso la tua ex.
L: Cosa? Non lo avrei mai fatto! L’amavo troppo!
Sofia: E allora perché quel coltello?
L (rendendosi conto del coltello che ha in mano): O mio Dio! Cosa ho fatto?!? (Scoppia a piangere)
Psiche: Tranquillo, non è successo ancora nulla. Però devi capire che lei non ti ama più e neanche tu dovresti amarla. Non dico odiarla, ma vederla come prima delle frecce di Eros. Troverai la tua anima gemella, è il Fato di ogni mortale.
L (singhiozzando): Ora ho capito, grazie per il vostro intervento. Giuro che non farò mai nulla del genere. Ma ora dovrei andare a scusarmi con lei.
Sofia: Non credo sia una buona idea. Per evitare rischi ti consiglio di lasciar tutto com’è adesso. Vattene semplicemente per la tua strada.
Psiche: Se vuoi un altro consiglio aggiuntivo, vai da uno psicologo. So che sembra umiliante, ma non lo è. Voi mortali avete bisogno sempre di persone sagge che vi consiglino, e gli psicologi, di solito, sono perfetti per questo.
L: Vi ringrazio per i consigli, vi giuro che ne farò tesoro e li seguirò!
Sofia: Lo speriamo, sappi che ti terremo sempre d’occhio.
Sofia e Psiche scompaiono così come erano apparse
L (come svegliatosi da un sogno): Eh? Ma che è successo? Dove sono? Perché ho un coltello in mano? Sarà meglio che torni a casa.
Mesi dopo…
S (parlando col suo nuovo ragazzo): Ahahah, sì hai ragione (vede Leonardo con la sua nuova ragazza)
L (parlando con la sua nuova ragazza): Ahahah, sì è proprio vero (vede Sofia col ragazzo)
I due si scambiano uno sguardo, poi continuano a parlare col proprio partner come se nulla fosse ed escono.
Eros (che ha assistito alla scena nascosto): Pare proprio che siamo riusciti a evitare una grossa tragedia! Beh, come si dice: tutto è bene ciò che finisce bene.
12 Dicembre 2024 | Vorrei, quindi scrivo
“Ho finito anche le lacrime”
Queste parole Guido (nome inventato), un senzatetto che vive per la strada a Cuneo, le ha ripetute più volte, ieri sera. Le ha ripetute quando parlava di Michele (nome inventato), uno dei suoi migliori amici, morto pochi mesi prima, anche lui in strada. Le ha ripetute parlando di altri suoi amici, che la morte ha preso con sé, alcuni anche sotto i suoi occhi.
È stata la prima volta che sono andata a fare Unità di strada. E non sapevo che aspettarmi, se no che avremmo incontrato quelli che chiamiamo comunemente “barboni”, e avremmo offerto loro un po’ di conforto. E così è stato, se non fosse che, quando senti con le tue orecchie parole così dure e vere, allora cambia tutto. Non è più solo un sapere che a Cuneo c’è gente che non ha casa, che vive per strada. È conoscere quella gente: è conoscere Guido, che attualmente alloggia in una delle piazze di Cuneo, un po’ riparato sotto un tetto. È vedere i suoi occhi, i suoi denti tutto fuorché sani. È sentire le sue battute, perché avrà perso tante cose, ma non l’ironia. E quindi si scherza, si ascoltano le sue storie, che spesso sono molto fantasiose perché a parlare è anche (e in gran parte) l’alcool. L’alcool che ti aiuta a sconfiggere il freddo e a non pensare. Forse le due difficoltà più grandi di chi vive così. L’alcool che non manca mai tra gli averi di Guido, ma che ieri sera non sembrava parlasse troppo. Infatti Guido ci ha raccontato della sua famiglia, mescolando francese e italiano, lingue che mastica entrambe molto bene. Abbiamo così scoperto che proviene da una famiglia di artisti, e che tra di loro si è sempre trovato bene. A girare con gli artisti. E quando poi gli abbiamo chiesto se avesse bisogno di qualcosa, ci ha chiesto biancheria intima e coperte, ma non solo per lui: erano per lo più per i suoi amici. Questa solidarietà mi ha toccata nel profondo, questo pensare agli altri prima che a noi. Cosa per loro più che normale, perché chi vive in strada ha anche bisogno di avere persone fidate, a cui rivolgersi in caso di bisogno. E così ci ha detto che oggi un ragazzo gli ha portato il pranzo della mensa. E che un altro gli ha offerto le sigarette, e quindici euro. Ci ha detto che fatica a mangiare, che in questi ultimi giorni non ha mangiato quasi niente. Il suo “apparato intestinale”, come ha giustamente detto lui, fatica. Durante la notte è sempre più preda di dolori forti che, assieme al freddo invernale, gli impediscono di dormire.
Io avevo i piedi ghiacciati, nonostante le calze spesse e le scarpe da montagna. E sentire lui, che in quella condizione ci vive, tutto il giorno, tutti i giorni, magari con l’eccezione di un pasto caldo in mensa, o di due orette all’interno di un bar, mi ha fatto pensare. A quanto abbiamo tutto. A quanto ci lamentiamo appena sentiamo un po’ di freddo, appena abbiamo un po’ male allo stomaco. Appena abbiamo un po’ fame e non possiamo soddisfare questo bisogno nel giro di cinque minuti. A quando non possiamo lavarci per un giorno. A quando ci sentiamo soli, non ascoltati, dimenticati. Ecco, tutto questo è la vita di chi è senzatetto. La vita quotidiana, le emozioni di tutti i giorni.
Non ho potuto fare altro se non ascoltare. Gli abbiamo offerto una tisana calda, un po’ di calze spesse, che avrebbe dato a un suo amico, insieme a delle scarpe numero quarantacinque. Per lui abbiamo portato una coperta spessa. Ci ha chiesto anche lui delle scarpe, perché quelle che ha gli fanno male, e vorrebbe cambiarle.
Prima di andarcene gli abbiamo detto di non mollare. Sembrava quasi una presa in giro, dopo tutte le sofferenze che ci ha raccontato. Ma cos’altro possiamo fare se non dargli la speranza? Speranza che, parole sue, sta esaurendo. Dice che non cambierà la situazione, che non lo ascoltano, che non lo aiutano. Che il SERT non lo prende in carico, che non gli rispondono, che lui non ha più voglia. Più volte ha detto “Il mio fisico non ce la fa più, tra un po’ finisco pure io come gli altri”. E “come gli altri”, in sostanza, significa morto. Morto per strada, congelato, per infarto, o chissà per quali altri mille motivi. Come è possibile parlare così della morte? Me lo sono chiesta. E non lo so, so solo che le parole che ho sentito mi sono entrate dentro, e soprattutto la semplicità di come le diceva, come se fosse automatico. Senza paura, senza lasciare trasparire emozione, come fosse un’automatica causa-conseguenza.
Sono grata di aver avuto la possibilità di trascorrere due ore fuori questo mercoledì sera. Se penso che da anni c’è gente che ogni mercoledì si trova a fare il “giro dei senzatetto”, o in termini più giusti, a fare “unità di strada”, allora ieri sera ho fatto pochissimo. Penso inevitabilmente a quanto sono fortunata. A quanto inutile sia ogni mia lamentela, ogni mia polemica, ogni mia difficoltà, se comparata alla loro. So che non serve fare paragoni e confronti. Sicuramente però conoscere aiuta ad essere più consapevoli. E aiutare, anche solo ascoltando e chiacchierando mezz’ora una sera con uno come Elia, è sempre meglio che non fare niente. Serve a ricordare loro il loro valore, perché ne hanno, nonostante siano considerati gli ultimi della società. Queste vite umane, sono vite come la nostra.
Ringrazio Christian, e Ilaria, che fanno parte ormai da anni dell’Unità di strada, che ogni mercoledì sera esce a Cuneo e fa il giro. E ogni domenica mattina, dalle sette alle nove, offre colazione ai senzatetto. Senza il loro coraggio, la tenacia, la frequenza, la voglia, nessuno si disturberebbe di provare a conoscere e trovare soluzioni a questo problema, che a Cuneo affligge un numero contenuto di persone, ma che solo a Torino interessa ottocento persone. Ottocento persone che vivono per strada.
“C’è bisogno di silenzio, c’è bisogno di ascoltare, c’è bisogno di un motore che sia in grado di volare”, diceva una canzone di Guccini e dei Gen Rosso, non a caso intitolata “Lavori in corso”. Possiamo essere noi i protagonisti, anche se in piccolissima parte, di questi lavori, perché i senzatetto non si sentano invisibili, ultimi, la feccia della società.
Possiamo fare qualcosa, anche nel nostro piccolo, perché tutto è meglio dell’indifferenza.