6 Maggio 2022 | Vorrei, quindi scrivo
… Partire per studiare!
Cosa spinge a scegliere un’università all’estero per il proprio corso di studi? E come ci si deve concretamente muovere? Chiacchierando con alcuni ragazzi che studiano in diversi stati europei, abbiamo provato a dare le risposte a queste domande, individuando così quattro importanti passaggi per iniziare un percorso universitario estero.
Scegliere di partire
Prima di iniziare, è importante sottolineare il perché del partire: scegliere di studiare all’estero porta con sé la possibilità di vedere punti di vista diversi da quelli italiani, sia nell’ambito dello studio sia in quello della ricerca, e nelle università estere ci sono dei programmi non disponibili in Italia, che quindi permettono l’accesso a materie trattate con modalità alternative o con argomenti più specifici. Le competenze che rimarranno dallo studio all’estero saranno inoltre sicuramene l’abilità di parlare e pensare in un’altra lingua, ma anche l’indipendenza e l’attitudine alla ricerca.
Iscriversi all’università
Presa questa decisione, bisogna capire come muoversi concretamente per poter accedere all’università. In generale, le scadenze estere sono anticipate rispetto a quelle delle università italiane; in particolare in Inghilterra le scadenze sono non oltre gennaio, mentre per gli altri stati come la Francia l’iscrizione deve essere effettuata nel semestre che precede l’inizio delle lezioni; allo stesso modo in Germania, in cui le scadenze oscillano tra giugno e luglio. Per effettuare la domanda di ammissione occorre, oltre al diploma superiore, inviare i documenti, il curriculum (ad esempio nel Regno Unito è richiesta inizialmente una lettera motivazionale) e le certificazioni linguistiche (in alcune università sono obbligatorie) per accedere al bando di iscrizione, attraverso i siti delle singole università.
Organizzare la vita all’estero
Una volta accettata la domanda di richiesta e ultimata l’iscrizione, arriva il momento in cui cercare una sistemazione per la vita all’estero. In questo le università sono molto disponibili, spesso contattano gli studenti informandoli di posti liberi nei campus o in strutture di appartamenti. Il consiglio generale è quello di muoversi in anticipo per trovare la soluzione più convincente e meno dispendiosa e per evitare di avere problemi con la burocrazia.
Studiare
Come ultimo passaggio, l’inizio dell’università: a primo impatto si riscontrano grandi differenze con quella italiana e con il modo di studiare. Le università estere hanno un funzionamento diverso, in particolare rispetto alle materie scientifiche: gli esami sono affiancati da lavori di gruppo, report e progetti continuativi che sono sempre oggetto di valutazione. Per questo, essendo le competenze pratiche continuamente messe alla prova, è importante portare avanti il lavoro con costanza durante l’anno, per essere pronti ad affrontare test, piccole ricerche e stage pratici, più frequenti rispetto al numero dei corsi. La mole di studio non è minore rispetto all’Italia, ma si tratta comunque di un metodo diverso, all’estero più pratico. È importante sottolineare questa differenza: la mole di studio e il tempo che si dedica agli esami sono di una natura particolare quando si è in Erasmus, perché i corsi non sono molti, essendo di pochi mesi la durata del soggiorno all’estero; quindi gli obiettivi da raggiungere variano in base ad alcuni fattori.
Nonostante lo studio sia di un carico importante, soprattutto all’inizio, la vita all’estero permette molto tempo libero, previsto dalle stesse università, consentendo così di creare la propria dimensione di quotidianità anche in uno stato diverso. Sicuramente sono da considerare anche le difficoltà legate all’intraprendere un percorso di studi all’estero: in un primo luogo la destabilizzazione data dalla lingua e dall’ambiente nuovo e sconosciuto, ma anche la lontananza da casa e la completa indipendenza. Questi sono però fattori che permettono di riconoscere una quotidianità nuova e un ambiente stimolante in cui diventare più autonomi e crescere con una mentalità più aperta. Tutto ciò può rivelarsi un significativo punto di partenza per un possibile lavoro all’estero, ma anche per riportare in Italia ciò che si è imparato e costruito.
4 Maggio 2022 | Vorrei, quindi scrivo
Programma Erasmus per le facoltà di: diritto e scienze internazionali, relazioni internazionali e scienze diplomatiche, giurisprudenza e filosofia.
Il mondo della diplomazia ruota attorno a un teatro internazionale da cui spesso l’Italia si tira fuori chiudendosi in una bolla difficile da scoppiare. Ecco perché può essere una grande opportunità partire per l’Erasmus per chi studia diritto, scienze internazionali, scienze diplomatiche o scienze politiche. Frequentando corsi all’estero, gli studenti hanno la possibilità di confrontarsi con persone provenienti da università di tutta Europa e vengono accolti in un contesto molto stimolante.
Metodo di insegnamento e studio
Le lezioni possono essere lectures o tutorials. Le lectures sono più simili a quelle italiane: il professore usa una spiegazione frontale che mira a memorizzare nozioni. I tutorials, invece, sono seminari in cui ci si divide in classi più piccole per discutere sotto la supervisione di un tutor; questi ultimi si basano sul confronto e sul dibattito, e l’attenzione è focalizzata sullo sviluppo di un pensiero critico da parte dello studente. Le classi sono solitamente più ristrette rispetto a come si è abituati in Italia, per creare un dialogo in cui tutti sono invitati a offrire il proprio punto di vista, ampliando le conoscenze e gli orizzonti degli altri. I dibattiti prevedono che si parli di un argomento già conosciuto, quindi gli studenti hanno il compito di informarsi autonomamente prima del confronto. Così, si impara a scrivere e tenere un discorso difendendo le proprie idee e
confutando quelle opposte.
Vale lo stesso anche per le università di filosofia, dove si cercano pensieri unici e innovativi, e nuove domande piuttosto che nuove risposte. Risulta quindi fondamentale saper sviluppare una coscienza critica plastica, in grado di accogliere pensieri discordanti da quello personale e saper eventualmente adattare il proprio.
Inoltre, all’estero lo studio è rivolto in una direzione più pratica e meno teorica: spesso le lezioni prevedono la trattazione di casistiche specifiche (come per quanto riguarda giurisprudenza).
Professori
In un contesto del genere il rapporto con i professori è più orizzontale, poiché sono vicini alle difficoltà degli alunni e aperti al dialogo alla pari. Non si crea il sistema per cui il professore è considerato intoccabile fonte di saggezza.
Esami
Gli esami sono raramente orali, solitamente consistono nello scrivere i paper, elaborati in cui viene richiesta la conoscenza degli argomenti trattati e lo sviluppo di un’opinione personale. Le scadenze sono molto ravvicinate, quindi è necessario studiare volta per volta, ma con decisamente meno materiale (in modo più simile a quello delle superiori). Molti ritengono che ciò li abbia facilitati perché gli elaborati causano meno stress e permettono un impegno più equilibrato e ben distribuito nel tempo.
Lingua
La lingua è una parte cruciale dello studio all’estero, poiché è necessaria per vivere e comunicare all’interno di una cultura estranea alla propria. La maggior parte delle università richiedono il livello B2 di inglese (o il C2) e alcune anche una certificazione base della lingua nazionale. Per chi si occupa di diplomazia e politica è utile sapere, oltre all’inglese, almeno altre due delle lingue ufficiali dell’ONU (inglese, spagnolo, francese, arabo, russo, cinese), per sapersi muovere in ambito internazionale con scioltezza. In ogni caso, la padronanza della lingua si acquisisce vivendo attivamente nello Stato e
frequentando altri studenti internazionali o del posto. Inoltre, facendo l’Erasmus, si comincia ad abituarsi e a saper maneggiare un lessico e un modo di costruzione delle frasi che possono essere molto lontani dall’inglese che si parla in un contesto scolastico.
Sbocchi lavorativi
Molti ragazzi che sono partiti per l’Erasmus per materie diplomatiche si sono resi conto che gli sbocchi lavorativi sono maggiori rispetto all’Italia. Gli altri paesi investono di più nell’ambito delle relazioni internazionali e danno ampio spazio ai giovani. Inoltre, i progetti di mobilità (che non si esauriscono nell’Erasmus) sono un punto a favore nella stesura del curriculum e vengono considerati come fonti di numerose competenze. Per di più, alcune università rendono disponibili dei lavori retribuiti, come partecipare delle associazioni studentesche, in cui si organizzano viaggi di incontro con i vertici delle relazioni internazionali. Queste opportunità aiutano una crescita personale e sono un modo per entrare in contatto diretto con il mondo di cui si vuole far parte.
Paure e preoccupazioni
La paura più comune di chi decide di intraprendere questa esperienza è che non vengano accettati degli esami nelle università italiane e quindi che si perda tempo. Ma, secondo molte testimonianze, i professori sono spesso disponibili ad accettarli anche se non esattamente corrispondenti. Inoltre, l’università non è solo studio: è un percorso personale da intraprendere per crescere e acquisire indipendenza e maturità. È l’occasione di vivere in una cultura diversa da quella di partenza e sfidare se stessi ad adattarsi ed essere aperti alla diversità. Vengono organizzati viaggi e attività, spesso da ESN (Erasmus Social Network) perché gli studenti si conoscano e stringano amicizie.
ESN
Erasmus Social Network è un’associazione che ha sedi in tutta Europa (solo in Italia ce ne sono 54) e vuole proporsi come punto di riferimento per tutti gli studenti in mobilità (sia che partono sia che arrivano). Ha l’obiettivo di facilitare il loro soggiorno fornendo informazioni pratiche sulla città e sulle abitudini dello stato e creando occasioni di incontro e di svago. Il responsabile progetti di ESN Italia e una volontaria di ESN Pisa hanno mostrato come l’Erasmus sia una grande opportunità di crescita personale. È un’esperienza individuale, diversa per ognuno e l’unica cosa importante è partire con la mente aperta per cogliere tutti gli stimoli possibili.
Spaghettipolitics
Abbiamo intervistato anche Michela Grasso, l’autrice della pagina Instagram Spaghettipolitics, che tratta di attualità internazionale. L’idea della pagina è nata proprio quando lei era in Erasmus, poiché si è accorta che il giornalismo italiano è troppo incentrato sulla politica interna e si occupa troppo poco di ciò che succede fuori dai confini dello stato. Michela ci ha raccontato la sua esperienza nell’università di scienze politiche ad Amsterdam, confermando i giudizi positivi su questa opportunità. Quindi il consiglio è solo uno: fare le valigie e partire!
2 Maggio 2022 | Vorrei, quindi scrivo
Progetto Erasmus per le facoltà: architettura, conservatorio, design, beni culturali, economia, lingue
Erasmo da Rotterdam lo sapeva bene: per comprendere davvero un Paese o una cultura bisogna viverli fino in fondo. Ed è proprio sull’onda del pensiero dell’umanista olandese che nasce il programma Erasmus, un progetto patrocinato dall’Unione Europea che, attraverso lo stanziamento di fondi, permette agli studenti universitari di frequentare i maggiori atenei d’Europa.
Durante il mese di ottobre 2021, in occasione della rassegna Orientamenti, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci su questo tema con chi l’Erasmus l’ha vissuto o lo sta vivendo in prima persona. Abbiamo chiacchierato con alcuni giovani ragazzi non solo di Cuneo che sono partiti alla volta delle più diverse città europee, con l’obiettivo di farci raccontare tutto ciò che c’è da sapere prima di imbarcarsi per questa grande avventura.
Chi è lo studente Erasmus?
Tutti i ragazzi con cui abbiamo parlato hanno una caratteristica in comune: la curiosità. Essere curiosi è uno dei requisiti più importanti, che dà la forza di mettersi in discussione e il coraggio di uscire dalla propria comfort zone, per lanciarsi in un mondo completamente altro all’insegna di nuove esperienze. Molti di loro sono poi partiti con la volontà di migliorarsi nella conoscenza di una lingua, di sperimentare visioni diverse da quella italiana e, perché no, con la consapevolezza che un’esperienza come l’Erasmus rappresenta un elemento in più all’interno del curriculum e un’opportunità di intessere relazioni e contatti anche in una prospettiva lavorativa.
Il bagaglio personale dopo l’Erasmus
Dopo un’esperienza del genere, che può durare dai 3 ai 12 mesi, le conoscenze acquisite sono davvero tante. Vivere all’estero mette di fronte alla necessità di imparare, e anche abbastanza in fretta, a risolvere autonomamente i problemi che la vita quotidiana propone, a cavarsela da soli insomma. Sapendo però che, soprattutto all’inizio, tutti gli studenti Erasmus sono sulla stessa barca spaesati e confusi, il consiglio che i ragazzi ci hanno lasciato è quello di non aver paura di conoscere e farsi conoscere, buttarsi a dialogare con gli altri e prendere attivamente parte alla vita sociale, perché le amicizie che nascono hanno del gran potenziale.
Aspetti burocratici e pratici
Ma veniamo alle questioni tecniche: come si fa ad accedere ai fondi Erasmus?
Per prima cosa bisogna rivolgersi alla propria università per conoscere con quali altri atenei europei si può intrattenere lo scambio formativo. Una volta scelte alcune destinazioni e stilata la preferenza, ogni università ha un suo specifico criterio per l’accesso alle graduatorie: generalmente si tiene conto della media ponderata e di quali esami sono stati sostenuti, ma possono anche essere richiesti una lettera motivazionale, un portfolio personale o certificazioni linguistiche.
È importante muoversi per tempo per stipulare l’agreement con l’università ospitante, in modo da essere sicuri di non avere problemi nel farsi poi successivamente riconoscere gli esami qui in Italia.
Per quanto riguarda la lingua, all’atto pratico è necessario avere una conoscenza minima di inglese (eccetto ulteriori specificazioni) che permetta di seguire i corsi e interagire con le persone del luogo. In Paesi francofoni è inoltre utile affiancare all’inglese una base di francese, cosa che può rendere più facile la vita quotidiana.
A proposito invece dell’aspetto economico della questione, prima di partire è meglio avere qualche soldo da parte. Infatti all’inizio dell’esperienza verrà garantito il 20% dei fondi assegnati, il restante 80% sarà versato una volta che si attesta di aver effettivamente portato a termine il programma di studi e tutti gli esami accordati. L’entità dei contributi Erasmus è direttamente proporzionale alla durata dell’esperienza e al costo della vita nel Paese in cui si soggiorna. Se le proprie disponibilità economiche sono limitate, il consiglio che i ragazzi ci hanno dato è quello di optare, nonostante l’importo del contributo garantito sia inferiore, per mete dove la vita quotidiana ha un costo simile o inferiore rispetto a quella italiana.
Infine, riguardo all’alloggio, molti studenti scelgono di soggiornare in studentati privati o, dove presenti, messi a disposizione dalle stesse università. Spesso questa è una soluzione temporanea utile per il primo periodo, poi, quando ci si è ambientati e si sono stabilite le prime conoscenze, nulla vieta di fare un passo ulteriore e prendersi un appartamento privato.
Lo studio
Indipendentemente dalla meta scelta, tutte le università all’estero presentano una concezione dello studio molto diversa da quello italiano.
Vengono infatti ampliamente privilegiati i lavori pratici e a gruppi, volti a valorizzare il proprio sentire nei confronti della materia studiata e il punto di vista personale. Spesso le ore di lezione frontale sono relativamente poche, affiancate da momenti di discussione tra studenti e professore, in piccoli gruppi di una decina di persone.
Anche la scadenza degli esami è distribuita in modo differente: al posto di avere pochi momenti all’anno di sessione in cui si concentrano gran parte delle prove, le valutazioni hanno cadenza mensile e si tengono in conclusione alle lezioni sulla materia trattata. Il tipo di studio richiesto non è mnemonico, ma molto più concreto è incentrato sulla rielaborazione personale: viene preferita la scrittura di papers ed essays, produzioni scritte, solitamente in inglese, della lunghezza indicativa di cinquemila battute. Alcuni studenti hanno la percezione di sapere meno a livello strettamente teorico, ma ciò viene compensato dalla valorizzazione e dal consolidamento di competenze, come saper lavorare in gruppo e interagire in contesti differenti.
Tutti i ragazzi sottolineano come il rapporto coi professori sia sempre sereno e di collaborazione: hanno avuto a che fare con docenti disponibili, abituati a trattare con studenti stranieri, e spesso con un modo di porsi che non sottolinea la distanza tra alunno e professore.
16 Aprile 2022 | Vorrei, quindi scrivo
La frustrazione, il dolore, il 4 in matematica, le porte sbattute in faccia, il no del papà, la sberla, il rimprovero: sono tutti eventi che aiutano a crescere. Il valore e l’importanza delle esperienze negative risiede nel fatto che attraverso questi improvvisi cambiamenti si piantano i primi semi di un sistema immunitario psicologico forte ed efficiente. Funziona esattamente come quello biologico, si costruisce attraverso esperienze frustranti. Ogni crisi ci insegna che ora più che mai abbiamo necessità di tornare a pensare, progettare, sperimentare. Mettendoci di nuovo in gioco sfoggiamo il nostro coraggio.
La parola coraggio deriva dalla parola cŏr, cŏrdis “cuore”. L’avere coraggio vuol dire quindi avere cuore, un qualcosa che tutti possiedono. Anche se molte volte questa parola viene spesso confusa con “eroismo”, viene associata ad un atto grandioso che solo pochi sono in grado di fare. In realtà il coraggio esiste dentro ognuno di noi, dobbiamo solo essere capaci di tirarlo fuori. Il coraggio porta con sé una certa fiducia in sé stessi. Il coraggio serve per arrendersi, per scappare, per tenere i pugni aperti, per allentare i denti e lasciare perdere. Il coraggio serve per chiudere tutte le uscite d’emergenza e procedere per l’unica strada che ci somiglia. A volte non ci sono alternative: c’è una forza che ci spinge, ci fa deludere gli altri, ci fa fare cose impreviste e impossibili. Un coraggio scandaloso a cui solo noi riusciamo a dare un senso. Il coraggio che viene imposto dalla legge marziale agli uomini, l’obbligo di combattere, di uccidere, di essere uccisi. E’ solo una parte di coraggio, quella associata all’eroismo, ma esiste anche il nobile coraggio dei disertori, un coraggio scandaloso che spesso non viene valorizzato. Il coraggio di lasciare tutto e scappare viene dipinto dai media come un segno di fragilità, di non amore per la patria. Un coraggio che gli uomini non si possono permettere perché devono combattere fino alla fine, solo le donne possono. È anche poco raccontato il coraggio del perdono, il silenzioso coraggio di rielaborare il male attraversandolo, passarci dentro incontrandosi e incontrando il dolore provocato e subito. Un coraggio che toglie il fiato e il giudizio. Il coraggio di aspettare, di avere pazienza, un modo per diminuire l’aggressività e il dolore che ci accompagna. Di solito facciamo esattamente quello che finisce per accrescere l’aggressività e la sofferenza. La pazienza è quasi vista come debolezza, come un coraggio scandaloso, quindi partiamo in quarta e contrattacchiamo. Inevitabilmente, nel tentativo di sfuggire dal nostro dolore, creiamo, con le nostre parole e le nostre azioni, ancora più sofferenza. C’è anche il coraggio di chi piange e di chi si fa vedere vulnerabile. Oppure il coraggio che porta con sé la fiducia di lanciarsi allo sbaraglio, un coraggio scandaloso per molte persone che sono come ingessate, non riescono a vivere a fondo la grande condizione di libertà che possiedono. La libertà è anche quella di superare gabbie e condizionamenti. Ci vuole il coraggio di andare controcorrente. La rassegnazione di oggi fa paura, accettiamo tutto come inevitabile.
Forse il seme dell’infelicità odierna è rintracciabile nella perdita di identità individuale. L’uomo contemporaneo cerca invano di sottrarsi continuamente all’ombra della sua anima, per non fare i conti con la propria inaudita infelicità. Per combattere l’infelicità occorre qualcosa di più che un auspicio, che una mera speranza: serve fatica, la fatica di pensare al nuovo, al non già visto; il coraggio di rispondere all’attrazione verso l’ignoto. La felicità è racchiusa nel coraggio di provocarsi, di pretendere qualcosa dal proprio destino senza lasciare che faccia il suo corso senza il nostro contributo. Insomma richiede un coraggio inaudito, scandaloso. Molte volte ciò che ostacola questo atto di coraggio è il timore delle conseguenze, il giudizio altrui. Il desiderio di adattarsi è una delle forze più potenti e meno comprese della società. Todd Rose, nel suo libro Illusione Collettiva, crede che come esseri umani agiamo continuamente contro i nostri migliori interessi a causa dell’incomprensione del nostro cervello di ciò che pensiamo che gli altri credano. Un complicato insieme di illusioni guidate da pregiudizi di conformità distorce il modo in cui vediamo il mondo che ci circonda. È per questo che troppo spesso inseguiamo le trappole familiari di denaro e successo che ci fanno sentire vuoti anche quando li raggiungiamo. È per questo che sposeremo ciecamente un punto di vista in cui non crediamo necessariamente in modo da mimetizzarci con il gruppo. Lo scriveva già Gustave Le Bon, nella Psicologia delle folle, la massa crea un inconscio collettivo in cui ogni individuo si sente deresponsabilizzato, mette il cervello in pausa e agisce di impulso portando anche conseguenze disastrose.
Nel suo libro, il coraggio, Paolo Crepet spiega come oggi è la tecnologia che ci deresponsabilizza: fino a trent’anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, quindi esporsi. Oggi si può comunicare senza un’interfaccia umana, senza paura di compromettersi. E le virtù umane vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d’animo stanno diventando sempre più un’astrazione virtuale. Per fronteggiare questa grande urgenza sociale, Crepet propone un’ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni. Perché, alla fine, il coraggio scandaloso è la magica opportunità che permette di vivere appieno il nostro presente e costruire lentamente il nostro futuro.
2 Aprile 2022 | Vorrei, quindi scrivo
Quando si parla di pensione, ci capita spesso di incappare in alcune frasi fatte del tipo “La pensione chissà se la vedrò”, “Lavoreremo tutta la vita, non la vedremo mai” e molte altre frasi simili. Il sentimento più comune radicato nella maggior parte degli Italiani rimane comunque una fiducia, seppur lieve, nello Stato, che si basa sul fatto che lo Stato c’è stato in passato e quindi ci sarà anche in futuro. La verità è che la situazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) non è affatto rosea. In molti esperti hanno denunciato le condizioni dei conti di quello che dovrebbe essere il nostro garante di una buona condizione futura dal punto di vista previdenziale.
Facciamo però un passo indietro: molto legata al concetto di pensione è la liquidazione ossia il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), una quota percentuale, circa il 6,91% del reddito lordo annuo, che ciascun lavoratore dipendente matura durante il proprio rapporto di lavoro e lo stesso datore di lavoro dovrà liquidargli alla fine di tale rapporto di lavoro. Il concetto di liquidazione è nato nel 1927 e serviva per riconoscere un somma al lavoratore che gli permettesse di vivere fino alla finestra successiva di pensionamento. Ad oggi, comunque, la liquidazione è una componente importante per coloro che sono prossimi alla pensione. Merita qualche considerazione anche il sistema di gestione ed erogazione delle pensioni, in quanto c’è stata un’ evoluzione, si è passati infatti dal sistema retributivo a quello contributivo. Il primo era considerato il sistema più corretto in quanto prendeva in considerazione una media delle retribuzioni degli ultimi anni considerando fino a quarant’anni di contributi versati. Il sistema contributivo, quello attuale, invece, si basa sulla somma dei contributi versati moltiplicata per un coefficiente di trasformazione che va di pari passo con l’età di pensionamento. Questo tipo di sistema penalizza chi ha difficoltà a trovare un lavoro stabile, con contributi versati costantemente. Questo cambiamento, dal primo al secondo sistema, si è avuto con la legge Dini del 1995, che, per la fase di transizione, ha varato un sistema misto composto da entrambi i metodi di calcolo.
Questo tema ha suscitato e sta suscitando molta preoccupazione nelle fasce di lavoratori più giovani per diverse motivazioni tra cui la difficoltà di trovare un lavoro stabile e la crisi demografica che stiamo attraversando dovuta soprattutto alla denatalità. Lo Stato, tuttavia, ha emanato nuovi provvedimenti circa una decina d’anni dopo la legge Dini, promuovendo anche in Italia lo strumento del fondo Pensione. La legge che li introduce fu varata nel 2005 e successivamente modificata nel 2007. Lo Stato, tramite questa misura, ha dato una via d’uscita a questo problema e sta promuovendo sempre più un’adesione collettiva da parte dei lavoratori dipendenti a questi fondi, in modo tale da “alleggerire” in un certo senso l’INPS. Un primo vantaggio derivante dall’adesione a questi fondi è un forte sgravio fiscale, sia che si aderisca tramite un versamento volontario sia che sia aderisca tramite il versamento del proprio TFR. Il secondo grande vantaggio è la rivalutazione mediamente superiore che i fondi riescono a garantire rispetto all’INPS. L’adesione a questi fondi è in crescita lenta ma costante, sinonimo che molte persone hanno compreso l’importanza di tutelarsi di fronte a questo problema.
29 Marzo 2022 | Vorrei, quindi scrivo
Buongiorno miei cari lettori,
Oggi parleremo di un tema che mi sta a cuore da molti anni: la riduzione della plastica. Sono convinta che per salvare la vita del nostro pianeta sia importante ritornare ad utilizzare alcuni modi di fare del passato. Ora vi spiegherò cosa intendo mostrandovi 10 punti che mi sono serviti per cambiare il mio modo di vivere.
I primi cambiamenti che ho fatto sono stati durante i pasti che consumavo a scuola:
- Bottiglia in acciaio: ho sostituito le bottigliette in plastica che acquistavo ogni giorno alle macchinette con una bottiglietta di acciaio che riempivo ogni mattina con l’acqua del rubinetto di casa o nelle fontane della città. Questo mi ha permesso di trarre benefici sia a livello economico (non spendendo ogni giorno 1€ alle macchinette) che a livello ambientale.
- Contenitore del cibo in plastica lavabile: questo è l’unico dei punti dove utilizzo la plastica, ma la differenza sostanziale è che non è usa e getta quindi quel contenitore lo possiamo riutilizzare tantissime volte. Oltre al poterlo riutilizzare si possono trovare anche contenitori creati con plastica riciclata. Vi darei un’ulteriore consiglio: comprate le materie prime e poi cucinatele a casa. In questo modo acquistate cibo che non è già impacchettato in parecchi involucri palsticosi, traendone anche benefici per il benessere del corpo. In quanto state mangiando cibo fresco, fatto in casa e senza conservanti. ( ecco perché prima dicevo che dovremmo tornare,per alcuni aspetti, alla vita di una volta. Ricordo ancora che mia bisnonna non comprava mai le merendine con l’involucro di plastica, ma preferiva preparare torte o biscotti fatti in casa).
Altri cambiamenti che ho apportato alla mia quotidianità si riferiscono all’igiene personale:
- Spazzolino in bamboo: ho iniziato a usare spazzolini in bambù quando ho visto una immagine sui social che ritraeva una spiaggia completamente tappezzata di spazzolini in plastica. Da lì ho cercato un modo comodo per sostituire l’abituale spazzolino da denti. Informandomi su internet ho trovato informazioni sullo spazzolino in bamboo, che mi hanno convinto. All’inizio era faticoso trovarlo in commercio nei negozi fisici, mentre ora si trova facilmente soprattutto nelle erboristerie più fornite.
- Dischetti in tessuto: questo cambiamento è nato dall’osservazione dei dischetti buttati ogni sera quando mi struccavo. Da lì ho pensato a cosa potevo utilizzare al posto di quei dischetti usa e getta. Alla fine sono arrivata alla conclusione di ricavare dei cerchi dagli asciugamani esauriti, che assomigliassero ai dischetti di cotone. Dopo ogni utilizzo li metto a lavare in lavatrice.
- Dentifricio solido: dopo aver cambiato spazzolino ho notato che lavandomi i denti qualcosa mi disturbava, era la plastica del contenitore del dentifricio. Così ora utilizzo un dentifricio in polvere o in pastiglie contenuto in un contenitore in alluminio. Vi avviso in anticipo che abituarsi al dentifricio solido non è molto semplice, in quanto la nostra bocca riconosce come dentifricio una pasta cremosa, ma dopo un po ‘ di tempo utilizzarlo non sarà più un problema. Questo prodotto si trova in erboristeria oppure in negozi specializzati in prodotti plastic free.
- Filo interdentale vegetale: ho sostituito il classico filo interdentale con quello vegetale. Questo prodotto è identico a quello che siamo abituati ad utilizzare, anzi è anche più buono in quanto profuma di menta e lo possiamo tranquillamente buttare nell’umido.
- Sapone di marsiglia: questo prodotto l’ho sostituito con ogni tipo di sapone liquido per il corpo. Sono stata influenzata dai prodotti che vendevo in un saponificio in cui lavoravo. Per questo ci tengo a dire che per l’utilizzo che ne faccio io di queste saponette è essenziale comprare un prodotto di qualità. Io il sapone di marsiglia lo utilizzo per lavare i capelli, il corpo e il viso.
- Assorbenti lavabili o coppetta mestruale: per non utilizzare ogni mese tantissimi assorbenti contenuti in sacchetti di plastica e impacchettati con altra plastica da buttare nell’indifferenziata, la mia svolta è stata utilizzare gli assorbenti lavabili. Sono dei prodotti fatti in cotone con la stessa forma degli assorbenti classici che vengono inseriti e agganciati con dei bottoni. Oltre agli assorbenti lavabili, alcune mie amiche utilizzano la coppetta mestruale e si trovano molto bene. A voi la scelta!
L’ultimo ambiente in cui ho cambiato il mio modo di fare è stata la cura della casa:
- Luffa: per chi non la conoscesse è un ortaggio particolare, simile ad una zucchina. Una volta tolta la buccia ha un mesocarpo spugnoso, dopo la seccatura può essere usata come spugna per i piatti. In commercio si trova già pronta all’uso.
- Detergenti plastic free: questo tipo di prodotto ha diversi punti positivi. In primis l’assenza di plastica, la genuinità e la praticità. Il detergente plastic free viene venduto la prima volta in degli spruzzini (di solito in vetro) con insieme delle pastiglie. L’utilizzo è semplice: si prende la pastiglia, la si mette nello spruzzino corrispondente e si riempie di acqua. La pastiglia si scioglierà e avremo il nostro detergente pronto all’uso. Negli utilizzi successivi si dovrà comprare solo più la pastiglia. La loro praticità deriva dal fatto che occupano poco spazio nei ripiani dove di solito riponiamo tutti i nostri detergenti per la casa.
Questi erano i miei 10 consigli per avere un impatto minore sull’ambiente. Grazie per aver letto l’articolo, ci vediamo prossimamente con nuovi consigli, ricette e tanto altro!