La frustrazione, il dolore, il 4 in matematica, le porte sbattute in faccia, il no del papà, la sberla, il rimprovero: sono tutti eventi che aiutano a crescere. Il valore e l’importanza delle esperienze negative risiede nel fatto che attraverso questi improvvisi cambiamenti si piantano i primi semi di un sistema immunitario psicologico forte ed efficiente. Funziona esattamente come quello biologico, si costruisce attraverso esperienze frustranti. Ogni crisi ci insegna che ora più che mai abbiamo necessità di tornare a pensare, progettare, sperimentare. Mettendoci di nuovo in gioco sfoggiamo il nostro coraggio.

 

La parola coraggio deriva dalla parola cŏr, cŏrdiscuore”. L’avere coraggio vuol dire quindi avere cuore, un qualcosa che tutti possiedono. Anche se molte volte questa parola viene spesso confusa con “eroismo”, viene associata ad un atto grandioso che solo pochi sono in grado di fare. In realtà il coraggio esiste dentro ognuno di noi, dobbiamo solo essere capaci di tirarlo fuori. Il coraggio porta con sé una certa fiducia in sé stessi. Il coraggio serve per arrendersi, per scappare, per tenere i pugni aperti, per allentare i denti e lasciare perdere. Il coraggio serve per chiudere tutte le uscite d’emergenza e procedere per l’unica strada che ci somiglia. A volte non ci sono alternative: c’è una forza che ci spinge, ci fa deludere gli altri, ci fa fare cose impreviste e impossibili. Un coraggio scandaloso a cui solo noi riusciamo a dare un senso. Il coraggio che viene imposto dalla legge marziale agli uomini, l’obbligo di combattere, di uccidere, di essere uccisi. E’ solo una parte di coraggio, quella associata all’eroismo, ma esiste anche il nobile coraggio dei disertori, un coraggio scandaloso che spesso non viene valorizzato. Il coraggio di lasciare tutto e scappare viene dipinto dai media come un segno di fragilità, di non amore per la patria. Un coraggio che gli uomini non si possono permettere perché devono combattere fino alla fine, solo le donne possono. È anche poco raccontato il coraggio del perdono, il silenzioso coraggio di rielaborare il male attraversandolo, passarci dentro incontrandosi e incontrando il dolore provocato e subito. Un coraggio che toglie il fiato e il giudizio. Il coraggio di aspettare, di avere pazienza, un modo per diminuire l’aggressività e il dolore che ci accompagna. Di solito facciamo esattamente quello che finisce per accrescere l’aggressività e la sofferenza. La pazienza è quasi vista come debolezza, come un coraggio scandaloso, quindi partiamo in quarta e contrattacchiamo. Inevitabilmente, nel tentativo di sfuggire dal nostro dolore, creiamo, con le nostre parole e le nostre azioni, ancora più sofferenza. C’è anche il coraggio di chi piange e di chi si fa vedere vulnerabile. Oppure il coraggio che porta con sé la fiducia di lanciarsi allo sbaraglio, un coraggio scandaloso per molte persone che sono come ingessate, non riescono a vivere a fondo la grande condizione di libertà che possiedono. La libertà è anche quella di superare gabbie e condizionamenti. Ci vuole il coraggio di andare controcorrente. La rassegnazione di oggi fa paura, accettiamo tutto come inevitabile. 

Forse il seme dell’infelicità odierna è rintracciabile nella perdita di identità individuale. L’uomo contemporaneo cerca invano di sottrarsi continuamente all’ombra della sua anima, per non fare i conti con la propria inaudita infelicità. Per combattere l’infelicità occorre qualcosa di più che un auspicio, che una mera speranza: serve fatica, la fatica di pensare al nuovo, al non già visto; il coraggio di rispondere all’attrazione verso l’ignoto. La felicità è racchiusa nel coraggio di provocarsi, di pretendere qualcosa dal proprio destino senza lasciare che faccia il suo corso senza il nostro contributo. Insomma richiede un coraggio inaudito, scandaloso. Molte volte ciò che ostacola questo atto di coraggio è il timore delle conseguenze, il giudizio altrui. Il desiderio di adattarsi è una delle forze più potenti e meno comprese della società. Todd Rose, nel suo libro Illusione Collettiva, crede che come esseri umani agiamo continuamente contro i nostri migliori interessi a causa dell’incomprensione del nostro cervello di ciò che pensiamo che gli altri credano. Un complicato insieme di illusioni guidate da pregiudizi di conformità distorce il modo in cui vediamo il mondo che ci circonda. È per questo che troppo spesso inseguiamo le trappole familiari di denaro e successo che ci fanno sentire vuoti anche quando li raggiungiamo. È per questo che sposeremo ciecamente un punto di vista in cui non crediamo necessariamente in modo da mimetizzarci con il gruppo. Lo scriveva già Gustave Le Bon, nella Psicologia delle folle, la massa crea un inconscio collettivo in cui ogni individuo si sente deresponsabilizzato, mette il cervello in pausa e agisce di impulso portando anche conseguenze disastrose. 

Nel suo libro, il coraggio, Paolo Crepet spiega come oggi è la tecnologia che ci deresponsabilizza: fino a trent’anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, quindi esporsi. Oggi si può comunicare senza un’interfaccia umana, senza paura di compromettersi. E le virtù umane vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d’animo stanno diventando sempre più un’astrazione virtuale. Per fronteggiare questa grande urgenza sociale, Crepet propone un’ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni. Perché, alla fine, il coraggio scandaloso è la magica opportunità che permette di vivere appieno il nostro presente e costruire lentamente il nostro futuro.