Sfilata al polo della sostenibilità: l’associazione Nonsolonoi mostra al pubblico i capi migliori del progetto Margherita

Si è svolta sabato 16 aprile la sfilata Il capo da capo, organizzata dall’Associazione Onlus NonSoloNoi, per promuovere alcuni dei più bei capi esposti nel negozio realizzato dal Progetto Margherita. Ho intervistato i membri dell’Associazione a gennaio, in concomitanza con l’inaugurazione della loro nuova sede a Borgo San Giuseppe, scoprendo le loro iniziative di integrazione, accoglienza, sostenibilità e creazione di posti di lavoro sul territorio cuneese, raccolte nei tre macro-progetti di Tulip (sartoria sociale), Zafferano (coltivazione dello zafferano con il coinvolgimento della sfera sociale) e Margherita (luogo di raccolta e offerta al pubblico di capi di abbigliamento e oggettistica, ma anche di incontro e dialogo). Ho deciso, a distanza di tre mesi, di tornare a respirare l’aria del Polo per vedere i suoi progressi, partecipando a questa sfilata dall’interno, ovvero come una dei ragazzi, adulti e bambini volontari che hanno indossato sulla “passerella” gli abiti scelti da Anna, una dei membri dell’Associazione.

Sono stata subito favorevolmente colpita dal grande via vai di persone di diversa nazionalità che girovagavano e acquistavano abiti e accessori nel grande negozio: il Progetto Margherita funziona e sta raccogliendo i suoi frutti! Ma allora perché organizzare una sfilata di promozione? Credo che la volontà profonda di dare vita a questo evento sia stata quella di far conoscere il Progetto Margherita e la tematica del riuso da un punto di vista innovativo. Nell’immaginario comune la parola ‘riuso’ è infatti spesso associata ad aggettivi che connotano negativamente un capo d’abbigliamento quali ‘passato di moda’, ‘di bassa qualità’, ‘senza più valore’: i capi e gli accessori esposti al negozio del Polo smentiscono completamente questi pregiudizi. Innanzitutto, sono il frutto di un accurato smistamento da parte delle operatrici del Polo che si occupano di selezionare per esporre al pubblico, a un prezzo base di offerta, solo il materiale effettivamente non danneggiato, e di curarlo ulteriormente rimettendolo a tutti gli effetti a nuovo. E se ci si riflette sono proprio i vestiti che hanno meglio resistito all’usura (e che quindi possiedono un certo grado di qualità) quelli che riescono a passare questa prima selezione e possono rivivere una nuova vita. Inoltre, tra i diversi abiti esposti (si può trovare davvero di tutto -abiti casual, eleganti, sportivi, perfino un abito da sposa-, per tutte le categorie -uomo, donna, bambino-, e per tutte le stagioni) non è infrequente trovare vestiti di note marche di qualità e vestiti che non sono mai stati indossati e arrivano con ancora l’etichetta.  Alla qualità del prodotto si aggiungono poi altri vantaggi: la sostenibilità ambientale insita nell’attività del riciclo (le attività del Polo rientrano tutte nell’ambito dell’economia circolare, della quale c’è un urgente bisogno!) e, come si è detto, l’opportunità lavorativa e di integrazione che questa attività offre alle sue operatrici. Una sfilata dunque per dare la giusta dignità agli abiti che ritrovano nuova vita e valore grazie al Polo, ma anche un momento di incontro, di conoscenza, di condivisione e di divertimento. La sfilata è stata organizzata da un gruppo di volontari del Polo (i vestiti sono stati scelti da Anna e a presentare è stata la simpaticissima Luisa), e ha visto la partecipazione di una quindicina di indossatori volontari, di cui molti giovani e giovanissimi, e di una discreta quantità di pubblico. Personalmente mi porto a casa una giornata di sorrisi, la bellissima accoglienza del Polo, dove ognuno può sentirsi a casa, la piacevole scoperta del successo che sta avendo questo negozio molto speciale, e… uno dei vestiti che ho indossato: un abito nero con stampe floreali lungo fino ai piedi, di tessuto leggero e morbido ma resistente, a soli 3 euro!

Se ho suscitato la vostra curiosità e volete farvi di persona un’idea delle attività dell’Associazione e dei frutti dei suoi progetti non perdetevi i prossimi eventi:

  • dal 18 al 25 aprile da Beertola, a Cuneo in Via Monsignore Dalmazio Peano 8/B, ci sarà un’esposizione di abiti “in cornice” realizzati da Tulip in occasione della Feshion Revolution;
  • il 27 aprile al Polo della Sostenibilità, a Borgo San Giuseppe in Via Savona 42, ci sarà il lancio della collaborazione di Tulip con la scuola di circo clown “Fuma che ‘nduma”, per la quale Tulip realizzerà gli abiti di scena;
  • il 12 maggio alla Casa del Fiume a Cuneo in Via Porta Mondovì 11a, ci sarà uno spazio espositivo di Tulip in occasione di un intervento sull’economia circolare in ambito tessile;
  • il 18 maggio al Polo ci sarà una nuova sfilata dei vestiti e degli accessori del Progetto Margherita, Il capo da capo #2;
  • il 31 maggio ci sarà al Crocevia46, a Cuneo in Corso Dante Alighieri 46, una sfilata degli abiti realizzati da Tulip all’interno di una Giornata Ecologica con uno spettacolo, musica dal vivo e clownerie.

Intervista agli Hornpipe Coffee: il 14 marzo il vento d’irlanda soffia a Cuneo!

Si avvicina il Saint Patrick’s Day, giorno in cui è celebrato San Patrizio (santo patrono nazionale irlandese e figura venerata dalla Chiesa cattolica e ortodossa e attorniata di leggende) e con esso tutte le feste che si scateneranno a metà marzo in Irlanda ma non solo! Quindi via libera anche a Cuneo a tanta birra, al colore verde simbolo dell’isola, e soprattutto alla musica folk! Ho deciso di intervistare gli Hornpipe Coffee, un fortissimo giovane gruppo che si diverte a ridare vita alla musica tradizionale irlandese (ma non solo: si occupa in generale di folk britannico) con un approccio particolare, e che il 14 marzo suonerà a Cuneo proprio in onore del Saint Patrick’s! Ho già avuto l’opportunità di ascoltarli e, senza fare troppi spoiler, vi consiglio assolutamente di fare un salto ad un loro concerto per respirare un po’ di autentica atmosfera Irish! Il gruppo è composto da tre elementi: Ruggero Ghiglia, Andrea Calvo e Amanda Coggiola, tutti con diversi interessi e formazione. Ruggero, dopo essersi diplomato al liceo musicale “Ego – Bianchi” di Cuneo, ha proseguito gli studi laureandosi in filosofia e sta frequentando una magistrale in psicologia: personaggio versatile, insegna Tai Chi e tiene molti corsi nelle province di Cuneo e Torino. Andrea, ex compagno di liceo di Ruggero, ha conseguito il diploma e la laurea magistrale in viola presso il Conservatorio “Ghedini” di Cuneo. Attualmente insegna nella scuola media, suona in diverse orchestre a livello nazionale e nel tempo libero studia anche Tai Chi sotto l’occhio attento del maestro Ruggero. Amanda si è diplomata presso il liceo classico “Silvio Pellico” di Cuneo e in oboe al Conservatorio “Ghedini”, per poi perfezionarsi presso la “Musikhochschule” di Stoccarda. Attualmente insegna oboe al liceo musicale, collabora con diverse orchestre e parallelamente studia Giurisprudenza presso l’Università di Torino.

Ecco dunque la nostra chiacchierata per parlare di musica folk, di Irlanda ma soprattutto per conoscerli meglio:

1) Chi sono gli Hornpipe Coffee? C’è una storia dietro la scelta di questo nome?
Siamo un gruppo nato nel 2018 e composto da Ruggero Ghiglia (chitarra – voce – percussioni), Andrea Calvo (violino – voce) e Amanda Coggiola (Tin Whistle). L’idea iniziale era di chiamarci Irish Coffee, come la tipica bevanda calda che spopola a Dublino. Poi abbiamo pensato di scegliere un termine che avesse più a che fare con la musica che volevamo suonare, e quindi “Bagpipe” Coffee (dal nome della cornamusa scozzese). Ma siccome il nostro repertorio non è legata univocamente a un territorio specifico, siamo approdati a “Hornpipe” Coffee: l’ hornpipe è sì uno strumento tradizionale ad ancia, ricavato dalle corna di animali, ma altresì un tempo di danza originario delle Isole Britanniche, nato intorno al XIII secolo.

2) Come nasce l’idea di portare un po’ di folk britannico (in particolare irlandese e scozzese) nel Cuneese?
Risponde Ruggero: «A Dublino sono rimasto colpito da quanto la musica sia presente nella quotidianità delle persone e in particolare da come essa sia inseparabile dalla convivialità. È un aspetto purtroppo non sempre valorizzato in Italia… La sensazione che ho provato ad ascoltare questa musica nei pub è stata strana, come quella di tornare a casa dopo un lungo periodo di lontananza, pur essendo io lì solo un turista per pochi giorni. I miei amici sono subito rimasti entusiasti e si sono uniti a me in questo viaggio, iniziato l’anno scorso e in continua evoluzione».

3) Quanto c’è di spiccatamente tradizionale nel vostro repertorio e quanto invece di rivisitato e innovativo?
Innanzitutto dobbiamo dire che il nostro approccio alla musica tradizionale, provenendo tutti e tre da studi classici, è sicuramente atipico. Dato il carattere popolare della musica e la semplicità dell’armonia, abbiamo ingenuamente creduto fosse facile accostarsi a questo genere, ma ci siamo ricreduti presto. La musica folk britannica si esprime in un linguaggio in tutto e per tutto peculiare che, per essere appreso, necessita di ricerca e approfondimento costanti… Insomma, è un ambito del tutto nuovo per noi e ogni concerto è una bella sfida!

4) Folk: secondo la vostra esperienza con il pubblico, genere di nicchia o ancora musica concretamente popolare?
Sicuramente in Irlanda musica popolare, paragonabile alla musica occitana delle nostre valli. Qui in Italia forse genere non proprio di nicchia, ma senz’altro inusuale! Il nostro obbiettivo è quello di renderla “popolare” e apprezzata da ogni tipo di pubblico: il nostro migliore feedback infatti è vedere gli ascoltatori battere le mani, cantare con noi e ballare trasportati dalla musica.

5) Dove e quando possiamo venire ad ascoltarvi e farci trasportare nelle terre d’Irlanda?
Prossimi appuntamenti? Vi aspettiamo il 14 marzo alle 21.30 presso il “Dalwhinnie Irish Pub” a Cuneo e il 16 marzo alla birreria “Falò” a Lesegno. Non lasciatevi sfuggire l’occasione di festeggiare il Saint Patrick’s Day!

L’Associazione NonSoloNoi inaugura il Polo della Sostenibilità a Cuneo: abbigliamento, moda e agricoltura sostenibili in un’ottica sociale.

Sono venuta a conoscenza dell’Associazione NonSoloNoi attraverso una dei suoi volontari. Mi ha parlato di un mondo ricco di iniziative diverse ma interconnesse e unite dagli stessi obiettivi. Una realtà che ha trovato risposte concrete e creative a problematiche e bisogni che permeano la nostra società, e che ha saputo rimanere fedele ai suoi principi fondanti pur sapendosi aggiornare e aprire al nuovo. Ho quindi deciso di fare qualche domanda a Luisella Panero, Presidente dell’Associazione, e al gruppo di lavoro che si occupa di coltivare e far fiorire queste brillanti iniziative:

1) Come potreste definire l’associazione NonSoloNoi e quali sono i suoi obiettivi fondamentali?
L’Associazione NonSoloNoi è una realtà nata sul territorio cuneese una decina di anni fa che si è posta in modo serio di fronte alle tematiche di accoglienza, integrazione e bisogno sociale, in particolare dal punto di vista della creazione di posti di lavoro. Il fulcro dell’iniziativa è favorire e realizzare concretamente una maggiore integrazione sociale attraverso la condivisione e la partecipazione attiva, mirando in particolare al cammino del singolo verso la propria autonomia e realizzazione lavorativa. L’esperienza ci ha insegnato che l’accoglienza dell’altro può avvenire sotto diverse forme, ma in ogni caso passa sempre attraverso un cammino vero e proprio, fatto di ascolto e di relazione, dove la componente lavorativa è sorgente di fiducia in sé stessi e di integrazione. Agli obiettivi sociali abbiamo affiancato un approccio sostenibile, sposando i principi dell’economia circolare e promuovendone i benefici.

2) Quali sono le componenti innovative del Polo della sostenibilità, recente iniziativa promossa dall’Associazione?
Il Polo della sostenibilità rappresenta la volontà di unificare esperienze diverse sulla base degli stessi obiettivi: la sostenibilità, l’accoglienza, il riuso e l’inserimento lavorativo.
L’ambizione del Polo è di concretizzare un modello alternativo di creazione di valore, attraente e positivo sul piano sociale, economico e ambientale. Il Polo è un invito rivolto a tutti, nessuno escluso, a indirizzare i propri comportamenti verso pratiche più sostenibili in grado di alimentare un circolo virtuoso a beneficio collettivo. L’inclusività e l’accoglienza sono gli elementi fondanti del Polo, che unisce al momento tre iniziative dell’Associazione:
Progetto Margherita: luogo di raccolta e offerta al pubblico di capi di abbigliamento e oggettistica, nonché luogo di incontro, dialogo e accoglienza (perché crediamo fermamente che da soli non si possa andare lontano)
Progetto Tulip: sartoria sociale che propone un mix di prodotti e servizi (linea di abbigliamento, upcycling personalizzato, lavori sartoriali eco-sostenibili, lavorazioni su misura occasionali conto terzi)
Progetto Zafferano: produzione di zafferano in terra e fuori suolo: agricoltura sociale come luogo di sintesi della natura e della persona.

3) A chi si rivolge il Progetto Margherita e con quali obiettivi?
Il progetto Margherita vuole offrire in particolare alle donne la possibilità di un inserimento graduale e mirato in un’attività lavorativa con il fine primario di alimentare fiducia nella persona: sia nelle proprie capacità, sia nel mondo che la circonda. Con il tempo sono nate sinergie significative con Enti sul territorio e abbiamo avuto la conferma che essere protagonista della gestione di un’attività (con un magazzino, la gestione dei clienti, decisioni da dover affrontare, ritmi da dover sostenere…) diventa occasione di crescita personale e responsabilizzazione. E non solo per il personale dipendente dell’Associazione, ma anche per le tante persone volontarie che ci aiutano e supportano in questo cammino.
Concludendo, il Progetto Margherita è un sano compagno di viaggio e di crescita sia per i lavoratori che per i volontari.

4) Quale è il legame tra l’inserimento delle donne in questo contesto lavorativo e la loro parallela rinascita personale ed emotiva?
In breve, avviene una trasformazione, un passaggio graduale dal disagio emotivo e psicologico alla ricerca proattiva del proprio benessere. Abbiamo la convinzione che avere la possibilità di svolgere un lavoro sia un presupposto fondamentale per la rinascita della persona, che può sentirsi utile per una collettività, distrarsi dal proprio malessere e, non ultimo, apprendere un mestiere (anche se in via transitoria) con l’obiettivo finale di una sistemazione professionale autonoma.
5) Come nasce il Progetto Zafferano?
Il progetto Zafferano nasce come un sogno ad occhi aperti il 22 marzo 2017, per poi diventare un gioco serio ed infine trasformarsi in un’opportunità di inserimento lavorativo. Inizialmente l’idea è stata allo stesso tempo semplice e complessa: coltivare lo zafferano per dare una risposta seppur piccola alla fame di lavoro che caratterizza la realtà odierna, cioè dare un’opportunità di occupazione a persone che non avrebbero potuto trovare una collocazione nel mondo del lavoro così com’è attualmente strutturato. Il binomio zafferano e sociale andava prima di tutto sperimentato, testato. Ed è per questo che l’associazione NonSoloNoi Onlus ha deciso di impiegare il 2017 per sperimentare una prima esperienza di coltivazione in pieno campo di zafferano e familiarizzare con le peculiarità di questa coltivazione. Nel 2018 la sperimentazione si è ampliata fino alla realizzazione di una piccola serra pilota per la coltivazione “fuori terra” dello zafferano.

5) Quali sono le componenti innovative del Progetto Zafferano?
La sinergia tra il settore agricolo e la sfera sociale è già diffusa, l’Associazione NonSoloNoi ne ha ampliato il perimetro introducendo nuove metodologie di coltivazione quali il fuori suolo per produrre zafferano. L’obiettivo finale di progetto è la realizzazione di una vera e propria serra didattica che sviluppi e promuova nuove tecniche di coltivazione pest free e qualitativamente avanzate su un’ampia gamma di spezie e ortaggi.

6) In che cosa consiste il Progetto Tulip?
Partendo dall’esperienza ormai consolidata con il Progetto Margherita, ossia la raccolta di abiti e oggettistica e la loro riproposizione alla comunità, l’Associazione ha deciso di investire sulla sartoria sociale per farne un elemento integrativo e complementare alla realtà già esistente, ampliando il ventaglio delle opzioni professionalizzanti. La sartoria sociale promuove una rilettura della visione ambientale, sociale ed economica dell’industria dell’abbigliamento, prestando particolare attenzione all’intero ciclo produttivo, dalla realizzazione dei prodotti al loro smaltimento. Nel concreto il laboratorio Tulip riutilizza materiale tessile in disuso da aziende e abiti donati e propone un’alternativa allo spreco creando i propri capi, generando opportunità di lavoro. Le persone attive nel Progetto e la rilavorazione di materiale in disuso sono gli ambasciatori del contributo attivo di Tulip ai benefici dell’economia circolare.

7) Quali sono i punti di forza di Tulip?
Tulip non si limita a produrre una linea di abbigliamento sostenibile e socialmente orientata per una scelta etica, ma offre ulteriori servizi quali l’upcycling (recupero creativo di abiti vecchi o dismessi per ottenere un nuovo vestito di tendenza), interventi di sartoria e lavori su ordinazione per conto di privati e aziende. Un altro punto di forza è la profonda integrazione con il Progetto Margherita, grazie al quale il Progetto Tulip prende vita e forma: molte volte si pensa alla moda sostenibile esclusivamente per una questione di scelta del tessuto, mentre la componente di sostenibilità si realizza soprattutto nelle persone che sono impegnate nella produzione che dà nuova vita a quel tessuto.
Il vantaggio competitivo di Tulip consiste nel valore aggiunto sociale ed ecologico che il cliente decide di supportare con la sua scelta d’acquisto.

8) Come si può entrare in contatto con l’Associazione e con le sue iniziative?
L’Associazione NonSoloNoi invita ad unirsi all’Inaugurazione del Polo della sostenibilità Sabato 2 Febbraio in Via Savona 42, Borgo San Giuseppe (CN) – sotto potete trovare il programma-.
I referenti del Progetto sono sempre disponibili a confrontarsi con chi è interessato e soprattutto cerchiamo volontari che possano aiutarci a fare sempre di più e meglio. Chiunque volesse saperne di più può contattare il Presidente dell’Associazione Luisella (349.7349497), Anna per il Progetto Margherita (324.0461116), Giulia per il Progetto Tulip (349.2632459) e Domenico per il Progetto Zafferano (335.6780460).

“S.O.S: STORIA DI UN’ODISSEA PSICOSOMATICA”: IL TEATRO INSEGNA AD ASCOLTARE IL CORPO

Venerdì 28 settembre la giovane artista francese Aurelia Dedieu, che da undici anni ha scelto l’Italia per vivere, ha portato sul palco del teatro Toselli il suo spettacolo “S.O.S storia di un’Odissea psicoSomatica”. A presentarla è stata l’assessora al benessere Franca Giordano, affiancata da rappresentanti della fondazione C.R.C., della scuola di musica Insieme Musica e del centro ostetrico Oasi, con cui la ragazza ha collaborato durante quest’anno trascorso a Cuneo. Alla regia Giuseppe Vetti che si è formato con Jango Edwards e da anni si dedica all’universo clown come performer e regista. 

Il pretesto per dare inizio allo spettacolo è il racconto di un banale ma fastidiosissimo mal di pancia che sorprende Aurelia mentre è in vacanza in un indefinito e sperduto paesino della provincia e la costringe a rivolgersi d’urgenza a un medico molto particolare. Questo è impersonato da una voce fuori campo, che propone alla ragazza un’analisi estremamente approfondita del suo corpo per dare una spiegazione finalmente esaustiva dei suoi sintomi. È a quel punto che l’inconsapevole protagonista è trascinata in un “viaggio allucinante” all’interno del suo stesso corpo. Un ascensore la porta, di piano in piano, a incontrare gli strani abitanti di sette fra i suoi organi (intestino, utero, stomaco, sistema ormonale, fegato, cuore, cervello), che le riveleranno la vita segreta e parallela che si svolge dentro di lei. 

S.O.S è un “one-woman-show” che colpisce per diversi motivi e ne voglio elencare almeno tre.

Primo fra tutti il talento poliedrico di Aurelia. Con un italiano perfetto, piacevolmente screziato dall’accento francese, è una bomba di energia: cabarettista, poi ballerina esplosiva, poi cantante (con una voce tanto emozionante quanto pulita e precisa tecnicamente). Ma è soprattutto una donna dotata di tutta la femminilità e la risolutezza di chi nel proprio corpo sta (o ha imparato a stare) bene e di un’ironia e un’autoironia naturale e travolgente, che ti strappa una risata dal monologo di apertura al congedo.

In questo spettacolo non solo si ride, ma, ed è la seconda cosa che colpisce, il pubblico è continuamente coinvolto, diventa parte attiva dello spettacolo. Senza voler fare troppi spoiler in uno sketch memorabile noi, da spettatori seduti in platea, ci ritroviamo improvvisamente ad essere gli enzimi/operai dello stomaco di Aurelia, riuniti a comizio per organizzare una rivolta/gastrite contro la proprietaria del corpo/fabbrica in cui ci spacchiamo la schiena pagando il prezzo dei suoi troppi caffè e delle sue abbuffate notturne. Poi eccoci in piedi a cantare “One Love” di marleyniana memoria, abbracciati ai nostri vicini: un Aurelia-hippy apparentemente fatta e ubriaca ci dà il ritmo accompagnandoci con una chitarra scordata mentre alle sue spalle il proiettore mostra una serie di edifici in crollo (le pareti del fegato?!). 

Terzo, gli sketch semplici e divertenti e il taglio apparentemente banale nascondono uno spettacolo che attraverso il prezioso strumento della risata va a toccare aspetti che ci riguardano tutti come possessori di un corpo nell’odierna società occidentale e lascia spazio a un finale che non si risparmia di spingere alla riflessione esplicita. Fin dove siamo disposti ad arrivare prima di iniziare ad ascoltare il corpo?  È questo che Aurelia vuole chiederci con S.O.S. 

Perché è vero che il corpo parla un linguaggio che abbiamo ormai dimenticato, ma il suo tentativo di comunicare con noi è costante. Allora forse vale la pena di provare a prendersi del tempo per ascoltarlo, prima di rivolgerci ai diversi metodi che il mercato ci fornisce per metterlo a tacere. Ascoltarlo per trattarlo meglio, per riconoscere le sue potenzialità e i suoi limiti, per amarlo in tutti i suoi spigoli scomodi e i suoi punti forti, nella sua unicità. Trattarlo meglio per stare bene e far fruttare le sue capacità peculiari. Farlo fruttare per dare voce al più importante strumento di espressione della nostra psiche, come fa Aurelia nel e con il suo spettacolo. Uno spettacolo per chi ha voglia di ridere, farsi coinvolgere, e per chi crede nell’importanza di farsi domande e ascoltarsi.

Un viaggio nella Mindfulness

Ansia. Stress. Tensioni. Nessuno sembra essere completamente al riparo da questi elementi ormai pervasivi della contemporanea “società liquida” descritta dal sociologo Zygmunt Bauman, e che numerosissime ricerche hanno dimostrato essere molto pericolosi per la nostra salute mentale e di conseguenza fisica. La frenesia degli impegni e dei pensieri che affollano la mente ostacola la nostra capacità di vivere il momento presente con consapevolezza, fattore fondamentale per il nostro benessere psicofisico.

Sono molti i possibili rimedi esistenti per far fronte a questo problema. Ho provato a sperimentarne ed approfondirne uno, nato a cavallo tra Oriente ed Occidente: la Mindfulness. Ho partecipato a una lezione di Mindfulness della Dottoressa Laura Falzone, che ha accettato con disponibilità di farsi intervistare per condividere, con chiunque fosse interessato, qualche informazione di base su questa disciplina a mio parere illuminante.

  • Saprebbe dirci che cos’è per lei la Mindfulness e come si è avvicinata a questa disciplina?

Per rispondere a questa domanda devo partire da lontano, perché l’incontro con la Mindfulness rappresenta per me la naturale prosecuzione di un percorso di ricerca – parallelo ai miei studi in psicologia e psicoterapia – sulle pratiche di consapevolezza, ovvero di “presenza”, in relazione al corpo. Ho avuto la fortuna di incontrare un’insegnante eccezionale, Lucia Almini, con la quale una decina di anni fa ho intrapreso un cammino individuale di yoga terapia, per circa due anni. Successivamente ho sentito la necessità di proseguire questa ricerca approfondendo ulteriormente le tematiche relative al corpo grazie ad un percorso personale di Analisi Bioenergetica (un approccio psicoterapico centrato prevalentemente sul corpo). L’aspetto centrale di queste due esperienze è stato proprio la riconquista di uno stato particolare, un modo diverso di abitare il corpo, più pieno e consapevole. L’incontro con la Mindfulness è avvenuto in seguito, e in stretta continuità con queste pratiche. Se dovessi dire che cos’è per me la Mindfulness direi essenzialmente presenza e disponibilità: presenza nel corpo, e disponibilità a stare con quello che c’è. Mi sento di dover precisare che i percorsi di Mindfulness che propongo non sono i protocolli tradizionali (es. MBSR), ma sono stati pensati e costruiti in base alla mia esperienza. Accanto alle pratiche di Mindfulness più note utilizzo anche altre pratiche di presenza che ho sperimentato essere preziose.

  • Potrebbe darci una definizione della Mindfulness e descrivere le sue pratiche?

La Mindfulness è una disciplina che nasce dall’incontro tra la tradizione buddista theravada e la psicologia occidentale. La definizione più nota della Mindfulness, data da Jon Kabatt-Zinn, è la seguente: “Il processo di prestare attenzione in modo particolare: intenzionalmente, in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza, momento per momento”. Si tratta di una definizione preziosa perché nella sua semplicità racchiude tutti gli elementi fondamentali. È questo che essenzialmente si fa nel corso della pratica: si presta attenzione, si osserva. Ma cosa? La nostra esperienza, ciò che accade nel momento presente. E come? In maniera non giudicante, ossia lasciando spazio perché tutto avvenga.

Le varie pratiche ci aiutano ad approfondire l’esperienza, utilizzando vari oggetti su cui portare la nostra attenzione. Ad esempio io posso scegliere di osservare il respiro, oppure posso prestare attenzione ai suoni. Posso scegliere se osservare il flusso dei pensieri, o le emozioni, oppure le sensazioni del corpo, così come il dolore. Talvolta si utilizza anche la visualizzazione, come ad esempio nella meditazione della montagna. L’importante è capire che le pratiche sono una palestra, in cui noi alleniamo il “muscolo della consapevolezza”, per poter poi vivere meglio la nostra vita. I vari strumenti possono inoltre essere adattati per essere utilizzati anche dai bambini: io utilizzo alcune pratiche all’interno di un progetto di prevenzione del bullismo in una scuola primaria.

  • Qual è il ruolo giocato dalla respirazione in questa disciplina?

Il ruolo della respirazione è assolutamente centrale. Portare attenzione al respiro, al respiro naturale, e restare nella consapevolezza di questo è il cuore della pratica. Il respiro, così come il battito cardiaco, è una pulsazione vitale. Portare l’attenzione al respiro, e ricondurla ad esso ogni volta che viene catturata da altri elementi, ci riporta al qui ed ora del corpo, al momento presente.

Il respiro può essere considerato come un’àncora, anche nella vita quotidiana. Possiamo tornare all’osservazione del respiro durante il giorno, nel corso di qualsiasi attività, quando i venti dei pensieri incontrollabili e delle emozioni travolgenti diventano troppo forti. Torno al respiro, torno al presente. Questo è il primo passo.

Tra mente e respiro c’è un rapporto strettissimo. In un testo fondamentale dello Yoga – l’“Hatha yoga pradipika” c’è scritto: “Colui che controlla il respiro controlla anche la mente, colui che controlla la mente controlla anche il respiro”.

Anche la psicoterapia occidentale l’ha compreso e utilizza il respiro per la gestione di alcuni stati emotivi. È un tema vastissimo, estremamente interessante, ma credo che il suo approfondimento vada oltre gli scopi di questa intervista.

  • Si può applicare la Mindfuness anche nella vita quotidiana, al di fuori delle sedute?

Nel mondo della Mindfulness esistono due famiglie di pratiche: le pratiche formali e le pratiche informali. Le prime sono quelle per le quali occorre ritagliare del tempo. Ad esempio io posso decidere di praticare per venti minuti al giorno l’osservazione del respiro: mi siedo in un luogo silenzioso e mi dedico esclusivamente alla pratica. Ma abbiamo detto prima che la Mindfulness è essenzialmente presenza. Non esiste attività nella mia giornata che io non possa fare con presenza e consapevolezza. Posso scegliere di mangiare, bere il caffè, lavare i piatti, fare la doccia, e farlo in totale piena presenza.

Durante qualsiasi pratica, formale o informale, ci accorgeremo subito che la mente tenderà a vagare, a staccarsi dall’oggetto che avevamo scelto. Non c’è nulla di strano in tutto questo. La nostra mente, tutto il giorno, tutti i giorni, è abituata a vagare, costantemente attratta da moltitudini di oggetti (anche oggetti mentali). Occorrerà riportare indietro l’attenzione numerose volte, senza scoraggiarci o giudicarci severamente. Ogni volta che riusciamo ad accorgerci che la nostra attenzione si è smarrita e la riportiamo sull’oggetto prescelto, siamo già nel cuore della pratica e dovremmo congratularci con noi. L’accettazione e l’assenza di giudizio sono due ingredienti chiave della pratica. Ritornando alla prima domanda. Per me l’incontro con la Mindfulness è stato un dono. Quest’anno ho condiviso questo dono –  insieme e grazie a Spazio BioDiversity – con tante persone, riscontrando curiosità ed entusiasmo.

5) Potrebbe salutarci con una frase che riassuma il senso di questa affascinante disciplina?

«Per noi spunta solo quel giorno al cui sorgere siamo svegli» H.D THOREAU

 

Per quanto mi riguarda, sono arrivata alla lezione di Mindfulness con curiosità, senza sapere cosa avrei trovato. In una sola ora ho potuto sentire la differenza tra una respirazione automatica e distratta e una respirazione più consapevole e allo stesso tempo più spontanea e naturale, “di pancia”, come quella dei bambini. Attraverso esercizi di meditazione e visualizzazione, guidati dalla voce esperta della Dottoressa Falzone, ho provato a sgombrare completamente la mente per concentrarmi solo sul momento presente, rendendomi conto della difficoltà di una procedura così apparentemente semplice. Ho potuto in generale sperimentare il potere rigenerante di uno sguardo che non giudica. Mindfulness per me è serenità, apertura, accettazione. Consiglio a tutti di provare a guardarsi dentro e fuori in modo diverso, con l’aiuto della Mindfulness, per ritrovare la calma e la consapevolezza necessarie per vivere al meglio ogni momento che la vita ci offre.

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