Nell’immagine: Michelangelo Merisi detto Caravaggio, La decollazione di San Giovanni Battista; 1608.

 

In un recente studio il ricercatore inglese Deivis De Campos ha identificato una piccola caricatura di Michelangelo, da lui nascosta nel bozzetto preparatorio del ritratto della poetessa Vittoria Colonna nelle probabili vesti della Maddalena. Il piccolo ritratto, nascosto nelle pieghe della veste, lo ritrae piegato o inchinato nell’atto di dipingere, e tale postura potrebbe essere indicativa dello stato di salute in cui versava l’artista.

La necessità di nascondersi, di celare la propria identità negandone la conferma con una firma autografa, si potrebbe far risalire al divieto dell’epoca per gli artisti di firmare le proprie opere.

Vi basti sapere che dell’intera produzione pittorica di Caravaggio solo un dipinto – La decollazione di San Giovanni Battista del 1608 – riporta la sua firma autografa.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio,
La decollazione di San Giovanni Battista; 1608.
In questo particolare del dipinto è visibile la firma di Caravaggio, anche se non totalmente leggibile.

 

In effetti gli artisti iniziarono a firmare in maniera “sistematica” le proprie opere solo a partire dall’Ottocento, pratica che poi divenne a sua volta ricerca e soggetto di alcune operazioni artistiche portate avanti da artisti dadaisti come Marchel Duchamp e il suo famigerato orinatoio, peraltro firmato sotto il falso nome di R. Mutt.

Anche molti artisti dell’epoca Barocca ricorsero all’utilizzo di caricature, rebus e metafore per “autenticare” le proprie opere. É il caso di Felice Boselli, noto come autore di nature morte. Boselli era molto apprezzato già al suo tempo per la capacità di indagine e la resa stilistica forte e vibrante: fumose cucine settecentesche e tavole riccamente imbandite di pietanze e cacciagione, scene di vita quotidiana abilmente descritte, in cui spesso s’affaccia un gatto. Il pittore emiliano era solito siglare le proprie opere con la traduzione latina del proprio nome ovvero Felix, giocando con la somiglianza alla parola felino: ecco comparire in scena questi gatti pronti a balzare sulla cacciagione.

Ancor prima di Boselli si può citare il San Girolamo di Dosso Dossi, realizzato nel 1518, in cui il pittore inserisce marginalmente, in basso a sinistra, una D attraversata da un osso umano e quindi: Dosso. O il caso di Bartolomeo Passerotti (1529 – 1592)  nei cui quadri comparivano, testimoni innocui della scena, alcuni dei piccoli volatili suoi omonimi: dei piccoli passeri per l’appunto.

La volontà di rivendicare la paternità delle proprie opere si consolidò nel Quattrocento e divenne  consuetudine nel Cinquecento; essa fu sintomatica dei cambiamenti e della rivalutazione intellettuale che la figura dell’artista subì durante il Rinascimento.

Ma come ho accennato solo nell’Ottocento la pratica dell’autografare i propri lavori, come fosse una lettera o un contratto, divenne sistematica. Questo perché cambiò radicalmente il modo di produrre arte: gli artisti si trovarono infatti nella condizione di lavorare al di fuori del sistema delle committenze e quindi in anticipo rispetto al mercato, tentando di interpretare i gusti dei possibili acquirenti. Nei secoli precedenti infatti l’artista lavorava su commissione e secondo le esigenze del committente con cui sottoscriveva un regolare contratto di compravendita – era la presenza di questo contratto a sancirne la paternità, rendendo non necessaria la firma dell’opera stessa – ed è grazie a questi contratti che spesso è possibile l’attribuzione delle opere ai relativi autori. Questo radicale cambiamento portò alla moltiplicazione di mostre personali e collettive presso gli atelier privati, esterni ai concorsi indetti dai Salon – che mantennero invece uno stampo accademico – che spesso servivano per scegliere l’artista cui assegnare determinate committenze.

Claude Monet fu forse uno dei primi a comprendere il valore pubblicitario che la firma stava assumendo nell’ambito commerciale dell’arte. Seppe creare una firma che risultasse chiara e leggibile, fattore non scontato, e che al contempo si legasse perfettamente alla materia dipinta grazie ad un misto di lettere trascritte in un maiuscolo aggraziato e altre in minuscolo che quasi fa pensare ad un moderno timbro di fabbrica.