Francesco Stasi (aka Kid Yugi) è un rapper emergente classe 2001, originario di Massafra, un centro di circa trentamila abitanti della provincia di Taranto. Il suo nome è comparso sulle bocche degli appassionati del genere dopo l’uscita del disco d’esordio, The Globe, avvenuta il 4 novembre 2022 per Universal. L’album aveva colpito positivamente il pubblico per il suo estro lirico fin dal titolo, che già denotava una forte tendenza alla citazione. Yugi, come dichiarato in un’intervista a Billboard, voleva richiamare infatti il teatro a cielo aperto messo in piedi dalla compagnia di William Shakespeare nel 1599, con l’intento di porlo a confronto con la cosiddetta “vita di strada”, topos lirico costante nei testi di genere rap. “Queste strade sembrano teatri / ‘sto sipario non vuole abbassarsi” sono i versi che chiudono “Hybris” (sì, la stessa hybris dell’Iliade), la prima traccia di The Globe. E i riferimenti al teatro non si fermano alla prima traccia: “Grammelot”, “King Lear” e “Il ferro di Čechov” sono i titoli di alcuni pezzi del primo album che testimoniano l’affiatamento del rapper con alcuni elementi o testi fondamentali del teatro moderno (rispettivamente: la tecnica teatrale onomatopeica messa in atto, tra gli altri, da Dario Fo; la nota tragedia di Shakespeare e la pistola (o fucile) di Anton Čechov, il principio narrativo ideato dall’autore russo per cui un’arma, presente in una messa in scena, prima o poi deve aprire il fuoco). 

 

Il primo marzo di quest’anno Kid Yugi ha rilasciato la sua seconda fatica, I Nomi del Diavolo, declinando in ciascuna traccia dell’album i diversi nomi e volti che può assumere il male. Per farlo Kid Yugi attinge a letteratura (la copertina, il pezzo “Il Signore delle Mosche”), musica (“Paganini”), mitologia (“Lilith”, “Lucifero”), ma anche alla realtà (“Denaro”, “Ilva”), mostrando il ventaglio di identità che nel suo immaginario il diavolo può incarnare. Ciò non deve però far pensare a un album “satanista”, anzi: come dichiarato nell’intervista a teatro rilasciata per Esse Magazine, il diavolo da lui immaginato non assume una forma totalmente maligna, ma lascia aperto lo spiraglio per una tensione verso il bene.
Al di là di scelte o limiti artistici che possono caratterizzare più o meno piacevolmente il lavoro del rapper pugliese, ciò che è nuovamente interessante per le orecchie degli ascoltatori è il numero di pregnanti citazioni a cui Yugi riesce a dar vita. Come fa notare una pagina IG di divulgazione sulla musica hip-hop, TastieraCapitale (https://www.instagram.com/tastieracapitale?utm_source=ig_web_button_share_sheet&igsh=ZDNlZDc0MzIxNw==), la dote particolare di Yugi è quella di accostare elementi di campi d’interesse culturale apparentemente opposti nel giro di poche rime, senza che questo risulti forzato o poco credibile per i suoi fini. Un esempio lo troviamo in una serie di versi autocelebrativi tratti da “Yung 3p 4”, la nona canzone de I Nomi del Diavolo

 

La mia merda è culto, il mio zoccolo duro sono i papaboys

Non è trap, è voglia di far sesso come Sigmund Freud

Dieci K al mese, spingo come un Boeing

(Kid Yugi – “Yung 3p 4”)

 

Tralasciando qualsiasi giudizio morale, fuorviante nell’analisi di certi testi musicali (questo discorso è lungo, complesso, più di quanto si possa pensare, e non è questa la sede per discuterne), possiamo notare ciò che è stato segnalato sopra: il cliché per cui i trapper hanno meno problemi “a rimorchiare” non è espresso dal rapper in maniera diretta, ma passando attraverso Sigmund Freud, il più noto studioso di psicanalisi del ‘900, che riservava a desideri inconsci di tipo sessuale le cause di certe inclinazioni individuali(es. complesso di Edipo). Nel frattempo troviamo attacchi ironici alla religione («il mio zoccolo duro sono i papaboys») o ostentazione di una ormai agiata condizione economica («Dieci K [= diecimila euro] al mese, spingo come un Boeing»). Il suo immaginario è questo, e a trascinarlo avanti sulle basi musicali è la sua voce possente, forse talvolta poco orecchiabile, ma di certo veemente, sia per i contenuti d’impatto comunicati, sia per il timbro grave che la caratterizza.

L’analisi di TastieraCapitale è acuta nell’evidenziare tale pregio della penna di Kid Yugi, e la sua riflessione porta me a farne una riguardo alla definizione stessa di citazione. Essa assume infatti valore quando ciò che viene ripreso dal modello precedente non è semplicemente un richiamo letterale, ma ottiene un nuovo significato, più ricco, dato dall’autore della citazione tramite le connessioni testuali sorte nel suo pensiero, tra il momento di lettura del modello precedente e il momento di scrittura. Kid Yugi si dimostra un maestro nel far fruttare l’intertestualità, un concetto affine alla memoria letteraria su cui i filologi del XX secolo hanno riflettuto a lungo. Se l’intertestualità, secondo il critico letterario francese Roland Barthes (1915-1980), prevede che ogni testo (letterario e non) possa essere interpretato in molteplici modi da ogni singolo lettore capace di tessere con esso nuove relazioni testuali, anche allontanandosi dalle iniziali volontà dell’autore, allora possiamo capire come il rapper di Massafra sia un lettore particolarmente fertile, in grado di esemplificare, tramite i suoi testi, la teoria letteraria dello studioso francese (per info in più a riguardo: https://www.eroicafenice.com/salotto-culturale/il-dialogo-intertestuale-dalle-origini-ad-oggi/ ). Ma non solo testi, perché Kid Yugi guarda, ascolta, respira; film, musica, ma anche la vita stessa, sono elementi, frutto della sua esperienza individuale, che vanno ad impilarsi nel suo vasto bagaglio di conoscenze. Quando scrive, poi, riversa questo bagaglio sulla pagina, forgiando il suo stile impregnato di citazioni.

 

Per qualche altro esempio, basti guardare la copertina de I Nomi del Diavolo, dove il rapper si trova su un «un trono demoniaco circondato da fanatici che si dimenano per toccarlo e quasi soppiantarlo dallo status raggiunto, omaggio alla celebre opera di Michail Bulgakov (Il maestro e Margherita, ndr) che rimanda alla scena del ballo di Satana», come indicato sapientemente in questo articolo di rapteratura.it (“I Nomi Del Diavolo”: l’Apocalisse di Kid Yugi è in terra – Rapteratura). Oppure si ascolti “Lilith”, brano in cui Yugi, attraverso il riferimento alla religione mesopotamica, descrive la propria amante come il demone femminile associato alla tempesta, portatrice di sciagure e morte. O, ancora,“Paganini”, che già dal titolo rivela un richiamo al celebre violinista di epoca romantica Niccolò Paganini, noto anche per la leggenda di un misterioso patto con il diavolo allo scopo di ottenere, in cambio dell’anima, il talento musicale. In questo brano, prende forma la visione violenta e contemporaneamente erudita tipica della scrittura del rapper di Massafra, che si avvale persino, a fini autocelebrativi, di riconoscere la complessità dei propri testi («Il mio slang indecifrabile, sembra latinorum»). 

 

Sei dolore senza limiti, zoodiaci di lividi

La stanza degli spiriti, la danza delle Silfidi

L’affetto di Misery, le fiamme degli inferi

Il canto delle sirene nei tuoi occhi limpidi

(Kid Yugi – “Lilith”)

 

Dieci mitra in sincro, sembreranno il chorus

In un live al Forum, Yugi ultimo shōgun

Questa merda è il mio tesoro, lo difendo come Gollum

Pressione addosso, salvo la mia terra come Goku

Voglio comprarmi un Panzer, non voglio una Lotus

Terzo occhio è quello di Horus, Fat Man sull’Atomium

Questa non è trap, puoi definirla un Horcrux

Non ho mai preso il Valium, San Cosimo era opium

Il mio slang indecifrabile, sembra latinorum

Torno a casa su un nastro di Möbius, rap magnum opus

(Kid Yugi – “Paganini”)


Menzione speciale va fatta anche a “Ilva” (perlopiù, anche remix di un brano originale del cantautore tarantino Fido Guido), in cui il rapper mette mano a una denuncia sociale nei confronti dell’omonimo stabilimento delle acciaierie di Taranto, noto per i problemi di inquinamento – e non solo – provocati alla città pugliese e ai dintorni. 

 

Si vede da lontano una nuvola tossica

Una terra rossa e la mia gente che soffoca

Quaggiù la vita quanto costa? Voglio una risposta

Se tutto quello che ci uccide lo chiami risorsa

(Kid Yugi – “Ilva (Fume Scure rmx)” feat. Fido Guido)

 

Se dovessimo vedere l’insieme del sapere umano come il suolo di un qualsiasi ambiente naturale, potremmo considerare Kid Yugi come un individuo che getta semi sul terreno, facendo crescere in profondità delle radici tanto solide da tenere insieme ogni strato sedimentato sotto la superficie, e dando contemporaneamente luce a una nuova forma di vita. Sono gli alberi ben radicati, infatti, che impediscono a un versante in pendenza di non franare: così il rapper di Massafra lega gli strati di conoscenza accumulati nel suo patrimonio culturale, dando loro nuova linfa vitale nella forma musicale.

Per questo, forse mi viene da pensare che Kid Yugi non sia solo un grande scrittore, ma più che altro un formidabile raccoglitore – lettore o osservatore, poco cambia – in grado di conservare le lezioni dei propri modelli ed evolverle, attuando anche un’opera di divulgazione verso i propri ascoltatori. Lo ha fatto con il teatro a cielo aperto di The Globe e si è ripetuto magistralmente con I Nomi del Diavolo, un progetto che ha il sapore di una vera e propria monografia sulle sfaccettature del male quotidiano. Perché va tenuto bene in mente che Kid Yugi non ha usato i propri riferimenti per sfuggire alla realtà di tutti i giorni, ma li ha piuttosto sfruttati per raccontarla con ancora più consapevolezza.