Mi ha sempre colpito pensare a che cosa succeda sulla nostra pelle una volta che ci siamo procurati una ferita. Piccole cellule operaie iniziano a preparare il cemento mentre altre si armano di pala e mattoni per andare a chiudere la ferita. Un’immagine un po’ particolare, forse, eppure mi ricorda quando da bambino sognavo di diventare un muratore creando castelli di sabbia in riva al mare o fantasticavo di progettare una casa tutta mia su un albero in giardino. Ero pieno di entusiasmo in quei momenti e così, anche le cellule, si mettono in moto per ricostruire una casa un po’ diversa, ma forse la più importante: la pelle del mio corpo. E lo fanno in modo veloce e preciso: almeno loro, al mio corpo, un po’ ci tengono. Un po’ tanto.

Spesso, se ci guardiamo allo specchio, c’è qualche parte di noi che assolutamente non ci piace e vorremmo avere diversa: ho un sedere troppo grande e sono senza seno per la parte femminile, sono basso e senza muscoli con i denti storti per la parte maschile, giusto per fare qualche esempio. Per non parlare di quella cicatrice che mi porto sul viso o quel segno di bruciatura sulla mano. E quel neo? Proprio lì doveva venirmi?

Un amico frate, molto arzillo e alquanto sconvolgente nei suoi modi di fare assai diretti e rivoluzionari, suggerisce sempre di fare un esercizio su se stessi: mettersi davanti allo specchio nudi, come mamma ci ha fatti, guardarsi negli occhi e poi ammirare tutto il proprio corpo lodandolo per quello che è e per quello che ci permette di vivere. Grazie occhi perché oggi ho potuto vedere la neve, grazie braccia perché oggi mi avete fatto abbracciare mamma, grazie naso grande che mi hai fatto sentire il profumo della lasagna di nonna,… e così via.

Non è affatto un esercizio semplice: richiede tempo e al giorno d’oggi vuoi perdere cinque minuti per questa stupidaggine? Inoltre,ci vuole il coraggio di saper ringraziare, ossia lo sforzo di accettare anche le parti di noi che non ci piacciono e ringraziare pure loro.

Sempre più, molte persone decidono di modificare il proprio aspetto con il mito della chirurgia plastica. Ho incontrato certe signore che a vederle sembrano finte, ma in realtà un po’ lo sono. Non solo dal punto di vista estetico, ma interiormente. Prendere la decisione di non accettare il proprio corpo e volerlo cambiare tendendo al mito della perfezione, oltre che essere un atteggiamento incarnato da Dorian Gray più di cent’anni fa (sappiamo tutti come la storia sia andata a finire), è sinonimo di falsità, di mentire a se stessi. Però, mentire a se stessi, non significa per forza essere delle brutte persone. Forse, molto più semplicemente, è sinonimo di poco amore ricevuto, di tristezza e freddo nel cuore, di qualche zona d’ombra che proprio bisogna nascondere per evitare che qualcuno possa pensare qualcosa di più elevato su noi rispetto al solo commentare la consistenza del seno o il numero di rughe che abbiamo sulla fronte.

Dietro tutto questo, non c’è solo l’apparenza di una pelle liscia e nutrita alla perfezione. Non c’è solo il sogno di una bellezza oggettiva da rincorrere. C’è l’arte di accettarsi per quelli che si è, c’è l’arte di ridere del proprio invecchiare, c’è l’arte di non guardarsi dagli occhi degli altri ma lasciarsi guardare e basta.

“La verità è che ti fa paura,

l’idea di scomparire,

l’idea che tutto quello che a cui ti aggrappi

prima o poi dovrà finire”.

I giorni passano anche per noi giovani e, sovente, rispetto alla generazioni passate, proprio non ce ne accorgiamo: come pensare di avere ventiquattro anni e non considerare minimamente l’idea di essere uomo o donna per davvero, di essere grande e maturo da avere un’età che fino a pochi anni fa era sinonimo di famiglia, di figli e di lavoro stabile per campare.

Tutto questo fa sorridere, perché molti anziani sognano di essere giovani e spesso i giovani non sognano più di essere adulti, ma si abbandonano al non crescere, a quel divertimento che non fa pensare e non ci si rende nemmeno conto di quanti anni si ha.

Mettermi nudo davanti a uno specchio mi ha donato la lacrima che scende quando a guardarmi negli occhi vedo la mia vita, il bene che ho ricevuto dai miei genitori e dagli abbracci della famiglia e le fatiche passate, seppur banali per molti (ma sempre fatiche erano). Guardare la mia pancia mi ha fatto rievocato tutte le torte di compleanno mangiate,l’osservare le mie cicatrici tutte le ferite che mi hanno portato fino a qui.

Ecco, il mio corpo parla di me, di chi sono e dei momenti vissuti. Il mio corpo ha l’arte di curare le ferite profonde da sé, con quelle cellule operaie che tanto mi fanno ancora sognare. Il mio corpo sono anche io e se c’è una cosa che Giampy mi ripete spesso, e sulla quale faccio molta fatica, è rimanere fedeli a se stessi.

Il corpo non l’ho scelto e non c’è libertà più grande di accettare le cose che ci sono state date. Il corpo è come un biglietto da visita, ma dietro c’è molto di più che vale la pena conoscere. Il corpo ha una sua dignità, forse è l’ora di ridare dignità al corpo del prossimo uscendo dalla mentalità che ognuno pensi solo a se stesso e non alla dignità della persona che ha di fronte: chi svende spesso cerca amore vero, non piacere.

E così, anche il corpo di Giampy, rannicchiato e un po’ storto, è un dono immenso da ringraziare per la sua imperfezione perché è il biglietto da visita di una persona libera e che, nonostante tutto, ha il coraggio di ascoltare, di ridere e di farmi ad arrivare a scrivere tutto questo, con il solo sguardo di chi guarda amando, di chi guarda dentro, di chi guarda l’altro in potenza di chi l’altro possa essere.

Arrivare a questa profondità richiede molto tempo, è un allenamento quotidiano, ma l’amore per se stessi e per il proprio corpo ha completamente trasformato Giampy: perdonare le proprie gambe che non gli permettono di camminare e perdonare le proprie mani che non gli permettono di afferrare una fetta di torta non è stato facile. Accettare il proprio corpo e i ricordi a cui rimanda è un primo passo da compiere per restare fedeli alla propria natura, come aprire una serratura a forma di cuore per arrivare al centro della propria anima.

E’ stato un dono grande conoscere una donna che ha svenduto il proprio corpo ed è riuscita a perdonarsi accettando di nuovo la propria sessualità. Perdonare tutto è la libertà della fedeltà a se stessi e poi, come d’incanto, la propria vita sembra rinascere.

Insomma, una delle prime realtà da guardare così com’è per non mentire a se stessi è il proprio corpo. E poi, d’un tratto, ci si riconosce bellissimi nonostante se stessi, nonostante il proprio corpo e magicamente anche tutto quello che ci circonda ci sembra inizi a cambiare e a sembrare più bello.

Provare per credere, per intanto buona visione.