“Credo che sia giusto portare le conoscenze personali agli altri e per gli altri.”

 

Questo mese si va al Polo Sud, grazie al racconto dell’esperienza intrapresa da Giorgio Giordanengo, ingegnere e ricercatore robilantese. Nel 2016 ha avuto la possibilità di trascorrere un periodo tra i ghiacci dell’Antartide, grazie ad un progetto sulla meteorologia spaziale, in compagnia di monitor, sonde, attrezzi tecnologici e…pinguini! Giorgio ci racconta il suo lavoro con passione e con un enorme sorriso ci parla della sua carriera, dell’esperienza vissuta e della sua vita. Tra le tante risate, scopriamo un mondo nuovo e rimaniamo affascinati dal suo racconto, ma soprattutto dalla modestia con cui narra, tipica di un uomo che ama il suo lavoro e che non ha paura di sperimentarsi.

 

  • A quando risale la tua passione per l’ingegneria?

Dalle elementari: mi sono sempre piaciute le materie tecniche. Ho scelto di fare l’ITIS indirizzo elettrotecnico e dopo la scelta più adeguata era quella di continuare in quell’ambito, così ho frequentato la triennale di ingegneria a Mondovì che adesso non c’è più,  poi sono andato a Torino per la specializzazione in telecomunicazione. La tesi l’ho fatta all’estero, in Canada, sulla navigazione satellitare e una volta tornato non ne volevo più sapere di studiare. Così ho iniziato a lavorare in Alenia aeronautica (aerei militari) per due anni, per poi essere richiamato al Politecnico per entrare nel mio attuale gruppo di ricerca e tuttora sono sette anni che lavoro nell’ambito dei campi elettromagnetici e delle antenne. Non solo: nel frattempo mi hanno chiesto di fare il dottorato di ricerca e così ho preso anche quello.

  • Avresti mai pensato di raggiungere livelli così alti nella tua carriera?

Non so. In realtà non ci penso mai: io inizio, intraprendo cose nuove e poi vedo come va. Diciamo che per ora sono soddisfatto, ho sempre fatto quello che mi piace fare e nonostante il lavoro sia tanto, non mi pesa, è la passione quello che serve.

  • Come è nata l’idea del progetto di ricerca che ti ha portato al Polo Sud?

È nata un po’ per scherzo (come quasi tutto!). Praticamente abbiamo partecipato a un bando del Miur con un gruppo che conoscevamo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma che studia l’alterazione dei segnali satellitari. Così si è deciso di iniziare un progetto tramite il gruppo nazionale di ricerca in Antartide che stanzia dei soldi ogni anno per le ricerche. Io e il mio gruppo stavamo sviluppando una tecnologia per stazioni di monitoraggio generiche che fossero controllabili, consumassero poco e richiedessero l’intervento umano. Tale idea è piaciuta molto, essendo trasferibile in Antartide, dove le condizioni sarebbero state ideali. Allora abbiamo scritto il progetto nel 2014, è stato finanziato ed è stato messo in pratica nel 2016. Personalmente, sono partito di mia volontà anche perché nessuno ci voleva andare e non c’era concorrenza, allora io mi sono proposto subito!

  • Quanto è durata la permanenza?

Per quanto riguarda la permanenza ed il viaggio, sono stato circa due mesi (dal 17 novembre 2016 al 6 gennaio 2017).

Il viaggio è stato tutto sommato corto, in aereo: si va fino in Nuova Zelanda in aereo, poi si prende un altro aereo militare adatto per l’atterraggio sul ghiaccio, e si atterra direttamente sulla base in Antartide. Il ritorno è stato decisamente più lungo siccome siamo atterrati prima sulla base francese, poi in elicottero abbiamo attraversato il mare ghiacciato, per prendere poi una nave e viaggiare dieci giorni e ritornare…Questa è stata la parte più brutta!

  • Ci puoi descrivere brevemente in cosa è consistito?

Io sono andato giù per montare una stazione di monitoraggio della cosiddetta scintillazione ionosferica, cioè l’alterazione nell’atmosfera dei segnali satellitari. Quindi dovevo montare un apparato fuori dalla base, a mezzo chilometro circa, affinché funzionasse in uno spazio “remoto” mandando i dati direttamente alla base, in maniera autonoma. Questo è stato il primo obiettivo che ho realizzato affiancato ad un altro ragazzo dell’ INGV già stato al Polo sud. Noi due eravamo in totale autonomia e le nostre giornate erano abbastanza monotone: a scandirci il tempo, in mancanza della notte, era l’ora dei pasti e nel mezzo lavoravamo dal lunedì al sabato. La domenica era dedicata alla pulizia e il pomeriggio era libero tra passeggiate, relax, film, chiamate a casa con Skype. Certo, la monotonia si è fatta sentire, per il resto non ho avuto nessuna delusione, nemmeno il freddo dal momento che la temperatura di -20, -25°C era secca e non umida come da noi; comunque dovevamo restare idratati e coperti sempre.

  • Quale è il tuo più bel ricordo di questa esperienza?

Beh, forse quando ho visto i pinguini. È stato unico e impressionante, non te lo immagini finché non lo vedi dal vivo! Erano pinguini Adelia (quelli comuni e piccoli) e pinguini Imperatore.

  • Descrivici il Polo Sud con cinque aggettivi.

Freddo, immenso, unico, isolato e disabitato (per tutto l’anno ci vivono 1000 persone, ma non ne ho incontrate, gli unici sono stati piloti, soprattutto neozelandesi).

  • Spostiamo l’attenzione sul personale.
    • Dove vivi attualmente? Vivo tra Torino e Robilante. A Torino per lavoro ma cerco di tornare spesso nel mio paesino. Appena posso scappo da tutto il traffico torinese e vengo a sciare nella mia zona.
    • Sei sposato? Hai figli? No entrambe.
    • Il tuo sogno per il futuro? Il mio sogno sarebbe quello di tornare in Antartide oppure mi piacerebbe portare questa esperienza al Polo nord dove sarebbe più facile, dato che il centro di ricerca sarebbe sulle isole norvegesi: sempre isolato, ma meno dell’Antartide.
    • I tuoi pregi e i tuoi difetti? Ahahah! Sono puntiglioso, preciso, critico verso me stesso e di conseguenza verso gli altri. Sono uno che si dà da fare per tutti senza problemi. Ad esempio, adesso sto lavorando per installare il wifi per tutti a Robilante e mi sta occupando molto. Credo che sia giusto portare le conoscenze personali agli altri e per gli altri.

  • Sappiamo che hai vinto il bando internazionale sulla meteorologia spaziale, di cosa si tratta?

Era l’oggetto del progetto che abbiamo vinto e grazie al quale sono andato in Antartide. Prima ho accennato alla scintillazione ionosferica, l’analisi dell’alterazione della ionosfera che permette di condurre studi sulla meteorologia spaziale (space weather). Non è il meteo come lo intendiamo noi, ma è la previsione di come si evolverà l’atmosfera nel tempo, con previsioni anche a ungo termine. Questo perché gli effetti della scintillazione ionosferica non sono visibili sulla vita normale ma, ad esempio, al seguito di una tempesta solare si creano problemi riguardo la trasmissione dei satelliti con ripercussioni sui segnali, le telecomunicazioni e i navigatori satellitari (soprattutto in aereo). Dunque con la meteorologia spaziale si lavora specialmente sulle situazioni critiche e di sicurezza che riguardano le comunicazioni e la navigazione.

  • A proposito di meteorologia, sistemi a basso consumo, tecnologia e comunicazioni, qual è la tua opinione sull’innovazione scientifica?

Credo che si debba sempre innovare: l’innovazione scientifica è importantissima, con i suoi pro e i suoi contro. L’esempio più banale è Facebook: utilissimo, inclusivo, ti permette di riallacciare i contatti e sentire gente dall’altra parte del mondo; dall’altra c’è tutto il problema della sicurezza dei dati, basti pensare ai recenti scandali…

  • Cosa ne pensi del cambiamento climatico strettamente connesso allo sviluppo?

Premetto che io non sono un esperto di clima. Però, da ciò che ci raccontavano al Polo sud, il cambiamento climatico, specie agli estremi del globo, è palese. Infatti, rispetto a dieci anni fa, il ghiaccio è rientrato molto e lo si può vedere. Comunque, che tutto questo sia dovuto solo o in gran parte all’uomo è in discussione, poiché ci sono state fasi nella storia dove si verificarono situazioni simili. Dunque può darsi che ci sia una doppia congiuntura: da un lato il naturale processo climatico, dall’altro l’accelerazione causata dall’uomo. Sicuramente il cambiamento climatico è in atto, anche se magari non lo subiremo noi, chissà.

  • Pensi che il progresso porterà l’uomo ad avere una vita migliore?

Il progresso porta quasi sempre ad un miglioramento, poi dipende sempre dall’uso che se ne fa. La bomba atomica è l’esempio più estremo che ci mostra a che punto può arrivare il progresso se usato male: dall’uso utilissimo in medicina nucleare, all’uso micidiale in guerra.

Dal mio punto di vista il progresso serve, pensiamo ai passi avanti fatti in medicina o in biotecnologia, togliendo molte barriere. Però, se usato male, può portare all’incomunicabilità anche tra persone sedute vicine ed è assurdo! Bisogna cercare di farne un buon uso.

  • Parliamo ora di Cuneo.
    • Come giudichi la città? Cuneo è Cuneo. È una città che aspetta, è poco attrattiva rispetto ad altre più piccole ma più vive (come Saluzzo), comunque è bella e tranquilla: una città a misura d’uomo. Forse avrebbe bisogno di un po’ di…rispolvero!
    • Cosa ti piace e cosa vorresti cambiare? (Scherzando: la ztl in via Roma è bellissima, ah ah ah!!!). Bisogna cambiare un po’ l’animo dei cuneesi, far uscire di più la gente, c’è troppa chiusura. Essendo di questa zona, alla fine, mi piace stare qui e ogni volta che vado via, vorrei ritornare.
    • Cuneo è una città 2.0? Lo potrà diventare? Non lo è ma lo potrà diventare. È necessario prendere l’esempio di altre città europee e portare il meglio che c’è altrove anche dove si vive. Per questo bisogna conoscere, andare in giro, per poi copiare da Amsterdam o da Berlino quelle idee 2.0 che innovano la vita di tutti (pali della luce interconnessi ed intelligenti, così come le info meteo a disposizione di tutti, il wifi…). Serve la connettività.
    • Tra Robilante e Cuneo noti differenze e/o somiglianze? Beh, Cuneo per noi di Robilante era considerata La città. Io ho vissuto poco Cuneo ma più che una grande città mi dà l’impressione di un insieme di piccoli paesi e quartieri molto simili, anche a livello di mentalità.