L’ago della bilancia

La manovra di bilancio che è stata approvata lo scorso anno contiene molte cose interessanti e altre meno. Ad esempio si è limitata molto la 18 App! Prima di tutto dobbiamo chiederci “che cos’è la 18 App?”. E’ il cosiddetto “bonus cultura”, un atto che incoraggia i giovani  ad andare ad una mostra, a un concerto, a teatro e in libreria. È un incentivo aperto a tutti i ragazzi e ragazze della nostra comunità con l’obiettivo di fare della Cultura un farmaco contro l’ignoranza. Che legame c’è con lo sport? In questo modo sono stati recuperati duecentottanta milioni utilizzati poi per le squadre di serie A!

Ci sono molti pareri su questo: affermazioni come “è l’unico modo per salvare il calcio italiano”, il quale è da un po’ di anni in crisi perché oramai abituato a essere sostenuto con un sistema dai costi esorbitanti, a constatazioni come “i presidenti e i dirigenti delle nostre squadre italiane dovrebbero imparare a gestire meglio i budget, aprirsi di più ai mercati internazionali e ai diritti televisivi”. Io spezzo una lancia in favore delle squadre di serie A che in passato hanno provato a fare un salto di autonomia senza dover dipendere dallo Stato italiano attraverso il progetto Superlega che è stato totalmente annientato. 

Intanto, la 18 App non sparisce del tutto ma viene cambiata dal Governo nella Carta della Cultura e nella Carta del Merito. La prima saranno cinquecento euro di Bonus spendibili sempre in ambito culturale a tutti quei diciottenni/e che rientrano fino ai trentacinquemila euro di ISEE e la seconda è rivolta a chi prenderà 100/100 alla maturità. La Superlega penso che fosse un inizio sia a livello europeo che a livello mediatico però contestato e che, a mio giudizio consentiva alla società di privatizzarsi di più, gestire direttamente i soldi perché, oltre a partecipare al campionato, ne sarebbero stati soci. Perciò, era l’inizio di un percorso che è stato annullato. Adesso ne stiamo pagando le conseguenze con un forte bisogno dello Stato italiano nel calcio, che deve intervenire economicamente tramite dei sacrifici di contabilità che competono al Ministero dei Beni culturali, e salvare il sistema calcio che si regge ormai su quantità di denaro esorbitanti. Se non si intervenisse molti lavoratori di quel settore rischierebbero il fallimento. 

Io penso che il concetto dello sport ecosostenibile sia più importante e che quei soldi debbano andare al calcio dilettantistico e all’attività motoria sul territorio per incentivare le nostre comunità ad una cultura dello sport. Aiutare tutte le realtà locali soprattutto le piccole frazioni dove i servizi sono più scarsi e laddove le famiglie hanno bisogno per dare delle risposte educative in più ai propri figli e gestirne il loro tempo libero. Anche perché il Terzo Settore dà delle risposte alle famiglie sul territorio, che purtroppo non sempre le amministrazioni comunali riescono a raggiungere da soli, perciò su questo, si potrebbe rinforzare già una normativa presente, che consente a tutte le associazioni dilettantistiche di diventare ETS (Enti del Terzo Settore), cioè la possibilità di essere riconosciute dal Ministero delle Politiche Sociali e poter avere vantaggi fiscali di vario tipo. 

Se lo Stato non si prende cura dei piccoli territori e non riesce a dare risposte vicine alle famiglie, a catena si formeranno problemi legati alla crisi demografica e di conseguenza al problema pensionistico del futuro

Vincere non andando ai Mondiali

L’Italia di Mancini non ha superato la qualificazione ai Mondiali. Iniziamo a ragionare se possa essere l’inizio di un’altra crisi oppure no.

Innanzitutto, io penso che non dobbiamo dimenticare la rottura degli Europei, perché è avvenuto in un periodo non semplice per tutto il mondo sportivo che, insieme ad altri settori, ha subito una profonda crisi legata alla pandemia. Il C.T. Roberto Mancini e il suo staff sono riusciti a compattare una squadra che derivava dalla mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 in Russia, e sono riusciti a raggiungere il titolo europeo trasmettendo così l’affetto per la nazione e la maglia azzurra. Perciò, ricordiamo il passato e non cominciamo ad affermare – come qualcuno ha espresso sui social, facendo della propaganda – che Mancini non è l’allenatore giusto per i prossimi anni. Tutto questo non cancella il problema di fondo che è quello di una politica sportiva che fatica ad avere un ruolo importante in Italia: le associazioni sportive sono deboli sul territorio e fanno molta difficoltà a stare al passo con i tempi attuali.
A mio parere una delle soluzioni potrebbe essere rafforzare i contratti di collaborazione sportiva e fare il passaggio da A.S.D. e di S.S.D ad aziende sportive. Lo so: questi sono pensieri che ci fanno venire i brividi, ma io credo che potrebbe far fare un bel salto di qualità allo sport dal punto di vista gestionale. Un altro pilastro importante è mettere al centro la scuola: in particolare bisognerebbe creare dei percorsi che avviino all’attività motoria, facendo in modo che il bambino approfondisca la motricità e venga poi inserito in un’attività sportiva; sarebbe bello se si rafforzasse il ponte tra scuola e realtà sportive: anche questo vuol dire essere comunità. Lo ripeto di nuovo perché lo trovo importante: attivare dei percorsi motori che avviino il bambino già dall’età infantile e che successivamente lo aiutino ad entrare in un’attività sportiva, utilizzando allo stesso tempo tutti i campi da calcetto oramai vuoti e inutilizzati dai Comuni.

Bellissima il racconto a Che tempo che fa, dove i fratelli Baresi hanno ricordato che da piccoli giocavano a Milano nell’oratorio della loro chiesa, dove il parroco, vedendoli giocare, prese una decisione: li portò dalla periferia a fare il provino nelle due grandi squadre del capoluogo lombardo. In Italia siamo sempre stati una grande scuola di atleti e soprattutto nel calcio eravamo i migliori, possibile che ci siamo dimenticati il “Come si fa?”. Dove sono finiti gli allenatori che hanno insegnato a giocare a calcio a Rivera, Oriali, fino ad arrivare a Maldini? Qualcosa va cambiato e mi auguro che questa sconfitta, sebbene abbia il sapore amaro di tutte le altre, faccia riflettere l’intero sistema.

giustizia e sport

Le figure femminili nella storia non finiscono mai di stupirci. Nella storia greca, Antigone viene citata nell’Opera tragica di Sofocle per la prima volta alle Grandi Dionisie nel 442 a.C. In essa viene raccontata la storia di Tebe, oggetto di competizione tra due fratelli, Eteocle e Polinice. Il primo vuole difendere la città e il secondo conquistarla ma i due si uccidono reciprocamente durante un duello. Creonte, padre e Re di Tebe, applica la legge della pòlis che prevede la degna sepoltura soltanto per i cittadini. Di conseguenza Eteocle può essere sepolto mentre Polinice, in quanto traditore, non ne avrebbe diritto. In questa diatriba interviene la sorella dei due fratelli morti, Antigone, che sostenendo davanti a suo padre la legge degli Dei, richiede il diritto di tutti i defunti di avere degna sepoltura. 

Questa storia ci mette davanti ad un tema, ancora attuale, che discute la legge morale e la legge positiva, il conflitto tra coscienza e ragion di Stato, tra colpa, errore e responsabilità. Molte le domande che troviamo negli argomenti di oggi: Immigrazione, Pandemia, Carceri… Ecco su quest’ultimo tema voglio soffermarmi anche perché si sta parlando, con l’attuale Ministra della Giustizia Marta Cartabia, di una riforma della giustizia penale in cui prevale ancora oggi il concetto del “buttiamoli dentro e gettiamo la chiave”. 

La domanda è: che cosa si potrebbe fare? Come si può avere una giustizia in carcere che sia responsabile e al tempo stesso garante di una pena? Sia nei confronti della famiglia che ha subito il reato e che chiede giustizia, ma anche nei confronti del detenuto che deve pagare attraverso un percorso di recupero e reinserimento nella società. E che c’entra lo sport in tutto questo? 

Ritengo importante che a livello locale ci sia una rete tra carceri e realtà del Terzo Settore con l’obiettivo di aiutare il detenuto ad un reintegro nella comunità sociale, e il settore sportivo è uno di questi. Cito la “Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica” firmata all’UNESCO nel 1978 che esprime la parità di genere, la contrarietà alla discriminazione e l’integrazione delle persone nella società attraverso lo sport. Sport e Salute promuovono il progetto “Sport in carcere” che, in collaborazione fra il Ministero della Giustizia-DAP e il CONI, incentiva il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione carceraria attraverso la pratica e la formazione sportiva. A livello regionale, in Abruzzo nel carcere della Provincia di Chieti, si sta applicando questo tipo di progetto con gli obiettivi che lo Sport non è solo una pratica disciplinante, come educazione alle regole, ma anche e soprattutto come strumento di valorizzazione di sé, di socializzazione e autostima. Tutto questo deve essere supportato dalle importanti figure che già ci sono quali i giudici di sorveglianza che hanno lo scopo di giudicare la buona condotta e il percorso all’interno del detenuto. 

A Cuneo partecipai ad un progetto organizzato dalla Comunità del Movimento dei Focolari che aveva organizzato insieme al CSI un torneo calcistico nel carcere di Fossano.  I protagonisti erano i giovani della Provincia di Cuneo, i detenuti e la polizia penitenziaria. È stato un bel momento di incontro e di svago per tutti. Specialmente per noi è stata un’occasione di confronto e consapevolezza con una realtà di persone, che con tutte le loro fragilità, hanno solo bisogno di un aiuto per ricominciare una vita migliore.

Guerra e sport

Lo Sport ha un ruolo interessante all’interno della guerra tra Russia e Ucraina. La prima mossa della scacchiera è stata fatta con la scelta di spostare la finale di Champions League da San Pietroburgo a Parigi. Il Presidente Emmanuel Macron ha fatto leva sul senso di appartenenza europeo e si è dimostrato un leader all’altezza del presidente russo. Molti si domanderanno il motivo di questa scelta: in primis vi è sicuramente una motivazione ideologica in quanto lo statuto dello sport presuppone la pace tra i popoli, quindi è inconcepibile che avvenga un evento sportivo in uno stato promotore di una guerra. La Russia non ha iniziato il conflitto precedentemente in quanto ha voluto rispettare la pace olimpica determinata dalle Olimpiadi in Cina dimostrando quindi l’importanza dell’ordinamento sportivo a livello internazionale. Oltretutto la Russia è stata punita a livello sportivo: in primo luogo da parte della Federazione Internazionale Pallavolo che ha dichiarato l’impossibilità di organizzare i Mondiali in Russia che dovevano svolgersi tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre; poi è stata sanzionata nuovamente dalla UEFA con la cancellazione dello Spartak Mosca dalla Champions League e con l’esclusione dall’Eurolega delle squadre di basket sovietiche: Zenit San Pietroburgo, Unics Kazan e Cska Mosca. La Formula 1 fa la sua parte sospendendo il Mondiale a Sochi di quest’anno e il Taekwondo toglie la cintura nera onoraria 9°Dan data al presidente Putin. Insomma, molte federazioni sportive hanno fatto scelte di questo tipo, trasmettendo il messaggio che lo sport deve essere promotore di ideali di pace. Logicamente ci si può domandare a che cosa serve togliere tutti questi eventi sportivi in favore dell’Ucraina: servono a colpire economicamente le grandi, medie e piccole aziende, ad esempio a chi avesse sponsorizzato gli eventi e le squadre delle varie federazioni che avranno una ripercussione di fatturato; al mercato aziendale e contrattuale che si forma quando si devono fare manifestazioni sportive, che producono opportunità di lavoro ed introiti sul territorio interessato, legati al turismo e all’immagine.  La politica dello sport ha quindi le idee chiare e si sta muovendo velocemente.Intanto nel panorama locale,precisamente a Torino nel quartiere Santa Rita, una ventina di ragazzi russi, ucraini, ma anche uzbeki, azeri, bielorussi, giocano a calcio in un campetto tra i palazzi sotto il nome di “Unione sportiva parlanti russo”. Una realtà che dimostra come nel nome dello sport si possa restare uniti dentro e fuori un campo.

La distanza dalla curva

Mercoledì sera: Coppa Italia. Sono comodamente seduto sul divano e tra un calcio d’angolo infruttuoso ed un bel tiro di testa, mi cade l’occhio sugli spalti. Che desolazione. Seggiolini vuoti che si cercano di camuffare con un arcobaleno di tonalità per rendere più allegra una scena triste. Piccoli gruppi di tifosi che riesci a malapena ad intravedere in alcune inquadrature. Cori che diventano coretti e coreografie ormai scomparse dal repertorio. Ma cos’è uno stadio senza tifosi?

Paolo Pulici, ex attaccante del Torino, disputò 14 campionati, 437 presenze e 172 gol con la maglia del Toro, nessuno ha segnato tanti gol quanto lui. Un simbolo nella storia del Torino, un beniamino del pubblico, idolo incontrastato della curva e di tutti i cuori granata. Egli stesso ama ricordare che spesso quando era in campo giocava ad occhi chiusi perché era il rumore della tifoseria dalla curva “Maratona” che gli diceva esattamente dove si trovava in campo. I tifosi erano la sua bussola, il suo radiofaro. Si racconta che un giorno, ad occhi bendati lo scarrozzarono per il campo e, una volta fermatosi, con il solo riferimento del tifo dei suoi supporter, seppe dire esattamente a che distanza si trovasse.

È questa la magia che si manifesta negli stadi, nei palazzetti, sugli spalti di ogni competizione sportiva. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo. Batte le mani dando il ritmo per la partenza dell’atleta nel salto, spinge con un boato la palla nel canestro, crea un’onda visiva da una curva all’altra per manifestare il suo entusiasmo ed esprime la sua attenzione e partecipazione con il silenzio durante una partita di tennis.

Questo è il pubblico che manca: quello sano, quello veramente sportivo, quello che sa applaudire anche l’avversario, che sa riconoscere le sconfitte e che rispetta le regole. Quel pubblico che Pulici amava e di cui si fidava per intuire la distanza dalla curva e tirare in rete è fondamentale.

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