Mauro abita a Casa Betania da un anno e mezzo, Luca da un mese.
«La vita è imprevedibile, a volte succedono cose che non dipendono da te» ci dice Mauro guardandoci con due occhi azzurrissimi. È seduto al tavolo della cucina e con le mani liscia la tovaglia. Noi siamo sedute di fronte a lui, Luca è su una poltrona lì di fianco.
«Ci siamo ritrovati a vivere qui insieme. Di solito non è facile abitare con altre persone, bisogna rispettarsi e trovare un equilibrio tra le necessità di tutti» continua Mauro.
Loro l’equilibrio l’hanno trovato nell’ordine. Piegano gli stracci della cucina sulla destra del lavandino dopo averli usati, impilano i cioccolatini sul vassoio, danno ad ogni alimento un posto ben preciso nella dispensa, puliscono il bagno subito dopo esserci andati. 

Le loro stanze profumano d’incenso. Due aromi diversi. Si sente che l’hanno acceso da poco, l’hanno appoggiato sulla scrivania con la stessa cura e precisione con cui hanno rimboccato le coperte dei loro letti e piegato i vestiti nell’armadio.

 

 

Con loro vive anche Alessandro, un ragazzo disabile, di cui Mauro si sente il fratello maggiore: «gli metto le lenzuola in lavatrice, gli ricordo di farsi doccia e tagliarsi la barba. Mi prendo volentieri cura di lui, non ha nessuno».

«Mi sembra di aver trovato una famiglia — dice Luca sorridendo — Stiamo bene insieme, abbiamo le nostre abitudini».

La sera, tornati dal lavoro, Mauro cucina e Luca lo aiuta, quando è tutto pronto chiamano Alessandro e mangiano insieme. Dopo Luca sparecchia la tavola e lava i piatti. 

 

 

«Prima di venire qui sono stato a Casa Tabita, un’altra casa di accoglienza. Prima ancora stavo nei dormitori della Caritas».
Un anno fa Luca è stato licenziato. Ha fatto causa all’azienda per cui lavorava per l’assenza di una motivazione fondata per il licenziamento e l’ha vinta. Intanto però è rimasto senza lavoro. Ha iniziato a bere e la moglie, che non sopportava più questa situazione, ha chiesto il divorzio. A maggio del 2018 ha dovuto lasciare la casa dove viveva con la moglie e la figlia di undici anni. Ha vissuto per un paio di settimane da un amico, poi in un camper e alla fine è stato ammesso in uno dei dormitori della Caritas. Durante il giorno stava per strada e continuava a bere. La mattina si svegliava con le mani che tremavano a causa del troppo alcol assunto.

Dopo un mese nel dormitorio ha deciso che non poteva andare avanti così. Si è fatto ricoverare in una clinica e ha iniziato il suo percorso di disintossicazione. Andava da uno psicologo, mangiava bene, faceva attività fisica.
Quando l’hanno dimesso però non sapeva dove andare.
Attraverso la Caritas è stato inserito nelle case di accoglienza della parrocchia del Cuore Immacolato di Maria, prima in Casa Tabita e adesso in Casa Betania. 

«Siamo immensamente riconoscenti a don Ocio» dice Mauro. Gli occhi azzurri diventano lucidi mentre racconta del parroco che ha dato vita alle case di accoglienza. «Quando mi sono trovato in strada mi sono rivolto alle istituzioni ma non mi hanno aiutato, dicevano di non poter fare nulla. Ho iniziato a fare volontariato nella parrocchia del Cuore Immacolato: davo una mano quando c’era bisogno, facevo il pane e altri lavoretti. Lì ho incontrato don Ocio. Per me è stato un miracolo».

Don Ocio insieme alla Caritas di Cuneo ha messo a disposizione cinque appartamenti per ospitare chi bussa alla porta della parrocchia in cerca di aiuto e di un tetto sotto cui poter ricominciare una nuova vita.

«Adesso ho voglia di rialzarmi — ci dice Luca prima di salutarci — ho voglia di trovare un nuovo lavoro e di innamorarmi ancora, di condividere la mia vita e la mia casa con una compagna. Appena potrò lascerò il posto a chi ne ha bisogno, come ne ho avuto io». 

Uscite da casa Betania attraversiamo la strada e andiamo a suonare ad un altro campanello di Corso Nizza, quello di Casa Silvia. È l’ultima casa che è stata allestita.

 

 

I suoi muri, le sue stanze e i racconti dei sette ragazzi africani che sono ospitati lì sono impregnati di una storia pesante. Una storia che parla di morte e rinascita, di un dolore che incontra un altro dolore. È nata per ricordare Silvia Maffi, una ragazza cuneese morta il 27 febbraio 2018 a vent’anni, e per portare avanti il suo sogno di fare qualcosa per i ragazzi che sbarcavano sulle coste italiane.
Dare loro una casa è stato un mondo concreto per non disperdere la sua vita.   

 

 

 

Fotografie di Alessia Actis e testi di Eleonora Numico