<< Nonna, questi invece chi sono? >>, una bambina stava fissando una fila di foto in un museo del suo paese piemontese: erano uomini e donne al giorno delle loro nozze. << Questi sono i signori Rosso, questi altri i Draperis e questi ancora i Destefanis. Non sono più qui, sono partiti per l’America appena si sono sposati. >>. Erano i primi anni del Novecento quando sui porti italiani si potevano vedere le valigie di numerose famiglie, in attesa di essere caricate sulle navi. Benché l’emigrazione più copiosa fosse al Sud, vi erano anche molteplici casi al Nord. Insomma, era un fatto che riguardava tutta l’Italia.
Ma cos’era che portava la popolazione ad abbandonare la propria terra, e soprattutto a cercarne una così lontana? Ciccotti, storico italiano, direbbe che “a spingere verso l’ignoto avevano concorso la scarsa produttività del suolo, i sistemi arretrati di coltura e le crisi agrarie “. Infatti gli emigranti erano perlopiù agricoltori, i quali nei territori meridionali dovevano sottostare ad abusi feudali e a sistemi amministrativi corrotti.
Con paura, ma soprattutto con molto coraggio, questi uomini salpavano verso una meta che rinchiudeva nel loro immaginario ideali quasi mitologici. Successivamente gli italiani venivano “accolti” sulle coste americane con ribrezzo. Erano discriminati, e lo si può constatare leggendo i resoconti dell’Ispettorato per l’emigrazione del Congresso Americano; essi erano considerati ladri e sporchi mendicanti, che chiedevano l’elemosina lungo le strade della città. Inoltre, come riporta Levi nel libro “Cristo si è fermato ad Eboli “, “essi vivevano a parte, fra di loro, non partecipavano alla vita americana”. Infatti, anche per questo nacque a New York quel quartiere dal nome “Little Italy”. Tuttavia con il passare degli anni, le generazioni successive hanno iniziato a sentirsi più parte di quel paese, per arrivare a considerarsi americani a tutti gli effetti. Grazie alle rimesse i parenti rimasti in Italia riuscivano a vivere dignitosamente e la disoccupazione tornò ai minimi livelli durante gli anni del boom economico.
In seguito, l’Italia da paese emigrante divenne terra di immigrati. M. Napoli, giurista italiano, dice che vi era “un tendenziale rifiuto dei lavori più dequalificanti e più faticosi” da parte degli italiani; quindi queste occupazioni venivano prese da albanesi, rumeni o da altre persone provenienti dall’Europa centro-orientale. Essi immigravano per le stesse ragioni degli italiani di cento anni prima: trovare un lavoro per riuscire a mantenere la propria famiglia.
Dagli anni 2000 invece l’Italia è divenuta terra di immigrazione clandestina, un’ancora di speranza e di aiuto per chi nel suo paese rischia la vita. Eppure queste persone, dopo aver digiunato per giorni, aver combattuto per la vita, devono imparare una nuova lingua, chiedere un permesso di soggiorno che poi viene rinnovato il 3% delle volte e devono ancora riuscire a convivere con alcuni individui che li discriminano, che li considerano ladri e sporchi mendicanti. Ricordiamoci che un secolo fa eravamo noi italiani ad avere nel cuore solo la speranza di un futuro migliore.