Quello che non sapevi sulla festa di Halloween

Il 31 ottobre ritornano finalmente streghe, pipistrelli e film dell’orrore, party in maschera e tanto divertimento! Stiamo ovviamente parlando di Halloween, che negli ultimi anni, anche in Italia, si è trasformato in una vera e propria festa popolare in grado di generare un business da capogiro. Con il suo fascino cupo e un po’ macabro è diventato, nel corso del ‘900, protagonista di un’enorme mole di film, serie tv, canzoni, libri e fumetti.

Eppure, nonostante il suo carattere tipicamente profano, Halloween racchiude al suo interno una storia millenaria, fatta di credenze, folklore popolare, epiche leggende e antiche tradizioni, molto spesso sconosciute ai più.

Scopriamo quindi curiosità e falsi miti legati alla festa più terrificante dell’anno!

 Jack-o’-lantern: Simbolo per eccellenza della festa, la zucca di Halloween lega il suo nome a Stingly Jack, leggendario contadino irlandese, che, dopo aver perso una scommessa col Diavolo, fu costretto a vagare nella notte per l’eternità illuminato solamente da una lanterna ricavata in una rapa. La zucca, più diffusa in America, sarebbe poi stata utilizzata in seguito dagli immigrati europei negli States, a partire dal XIX secolo.

 Celti, Romani o americani?: La festa pagana di Samhain, termine che deriva dall’irlandese antico, nella cultura celtica corrisponde ai festeggiamenti per la fine dell’estate. Quando i Romani entrarono in contatto con i Celti, identificarono Samhain come la loro festività dei morti (Lemuria). Con la cultura cristiana la festa venne sostituita da Ognissanti e solo con il XIX secolo gli immigrati scozzesi e irlandesi la esportarono in America.

 Cristianesimo e Halloween: Il cristianesimo festeggia la festa di Ognissanti il primo novembre. Questa festività fu istituita nel IX secolo, quando già i riti di Samhain venivano praticati dalle popolazione di origine celtica. C’è quindi una sorta di continuità tra queste due ricorrenze (All Hallows Eve, “vigilia di Ognissanti” è all’origine del termine Halloween usato a partire dall’800). Solamente alcune correnti fondamentaliste e conservatrici del cristianesimo, sopratutto in America, hanno etichettato questa festa come demoniaca e oscura.

Made in USA: Sono molte le persone che ancora oggi non vedono di buon occhio questa festa, etichettata spesso come semplice “americanata”. Eppure, in tutta Italia abbiamo esempi di festività e riti molto simili ad Halloween: si va dalla Val D’Ossola, dove si imbandisce la tavola per i defunti alla vigilia di Ognissanti, fino alla Sardegna con la festa di Sant’Andrea, durante la quale i bambini bussano alle porte per ricevere dolci e regali.

Dolcetto o scherzetto?: “Trick or treat” significava originariamente “sacrificio o maledizione”. Si tratta infatti di un’antica tradizione legata alla cultura anglosassone e risalente al Medioevo, quando in concomitanza con Ognissanti i mendicanti vagavano in giro per i villaggi e i paesi. Qui ricevevano in dono cibo o vestiti, offrendo in cambio preghiere per i defunti delle famiglie.

Pipistrelli e gatti neri: Questi due animali originariamente non erano associati al mondo dell’occulto e del macabro. A partire dal Medioevo, il cristianesimo li collegherà alla magia nera e alla stregoneria, pratiche duramente condannate dalla Chiesa. Nel XIX secolo il nuovo gusto neo-gotico ispirato al folklore medioevale trasformerà definitivamente questi sfortunati animali negli inquietanti simboli di Halloween che tutti noi conosciamo.

IL FRUTTO PROIBITO ERA DAVVERO UNA MELA?

In fotoPeccato originale e cacciata dal paradiso terrestre, Michelangelo Buonarroti, volta della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Roma.

La tradizione ha tramandato fino ai giorni nostri l’idea che il frutto che Eva nell’Eden, cedendo alla tentazione del serpente, raccolse e offrì ad Adamo fosse una mela. Nella Genesi (3, 6-7), però, non è specificato quale sia il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.»

A partire da questo brano della Bibbia sono state formulate diverse ipotesi riguardo alla natura di tale frutto. Tra queste, la più probabile è che si tratti di un fico, perché, subito dopo averlo mangiato, accorgendosi della loro nudità, Adamo ed Eva si coprirono con alcune foglie fico. La rapidità e l’immediatezza dell’azione fanno presumere che il fico dovesse trovarsi nelle loro vicinanze e che quindi potesse essere l’albero della conoscenza del bene e del male.

Ma da dove deriva allora l’idea della mela? All’epoca della diffusione del Cristianesimo il fico non era conosciuto nell’Europa continentale. Dunque è probabile che il frutto proibito sia stato identificato con la mela a causa di una identità terminologica: infatti in latino il termine che indica il male e l’albero melo è lo stesso, malus o malum.

Anche per la tradizione mitica greca la mela è un segno di discordia. È infatti proprio questo il frutto che viene scagliato da Eris, dea della discordia, e raccolto da Paride, che poi lo assegnerà a Afrodite con una scelta che porterà di conseguenza al ratto di Elena prima e allo scoppiò della guerra di Troia poi.

Vi sono poi altre fonti che identificherebbero il frutto proibito con l’uva, il grano o il cedro. Tuttavia l’ipotesi forse più plausibile è quella sostenuta da alcune correnti della tradizione ebraica, le quali ritengono che il nome del frutto sia stato volutamente taciuto, perché l’intenzione del racconto della Genesi era quella di far ricadere l’attenzione e la colpa del peccato sull’uomo e non sull’albero o sul frutto che l’avevano causato.

Eleonora Numico e Francesco Regolo

LA MURAGLIA CINESE PUÒ DAVVERO ESSERE VISTA DALLO SPAZIO?

La storia
La Muraglia Cinese fu costruita durante l’impero cinese dei Qin, per volere del primo imperatore della dinastia, nel 215 a.C. Eretta per proteggere il territorio cinese dalle incursioni dei popoli mongoli. Con i suoi 8.851,8 km, è classificata come “Patrimonio dell’umanità” dell’UNESCO dal 1987 e fa parte delle sette meraviglie del mondo moderno, occupando un meritatissimo primo posto in classifica.

La credenza

“Per qualche ragione, diverse leggende metropolitane nascono e la loro vita fatica ad avere una fine.” Esordisce Matt Rosenberg, esperto geografo americano, in un’intervista per il sito “about.com” nella sezione “education”. “Molti sono familiari con il fatto che si ritiene che la Grande Muraglia Cinese sia l’unica opera umana visibile dallo spazio, o addirittura dalla luna, ad occhio nudo.”
Uno dei primi riferimenti del mito, si hanno nel 1754 in una lettera scritta dall’archeologo inglese William Stukeley. Stukley scrive “Il possente Vallo di Adriano, di quattro miglia di lunghezza, è superato solo dalla Muraglia Cinese, la quale fa una notevole figura sul globo terrestre, e potrebbe essere individuata dalla Luna.
Insomma l’uomo per anni si è convito di aver vinto anche i limiti dello spazio, costruendo, in tempi che addirittura risalgono a prima della nascita di Cristo, un oggetto che può essere visto da ogni luogo, rendendo così il nostro pianeta ancora più unico.
Ma le manie di grandezza spesso e volentieri portano ad errori anche grossolani.
La Grande Muraglia Cinese può quindi davvero essere vista dallo spazio?

Un mito sfatato

La risposta alla domanda, come ben potete immaginare è “no”.
I motivi oltre che essere di natura logica e oserei dire intuitiva, sono soprattutto scientifici. Infatti, anche se lunga migliaia di chilometri, la Grande Muraglia è però larga meno di dieci metri, pertanto, già ad un centinaio di chilometri di altezza – e, a maggior ragione, da migliaia o centinaia di migliaia di chilometri dal pianeta – essa non è visibile data la limitata capacità visiva dell’occhio umano.
Per avere un riferimento ancora più certo, alcuni giornalisti hanno posto il quesito a uomini e donne che nello spazio ci sono state: astronauti dalle più importanti agenzie di programmi e scoperte spaziali.
Armstrong e Aldin, i primi uomini a mettere piede sulla luna, affermarono, al ritorno dalla famosa missione, che alla notevole distanza a cui la Luna si trova dalla Terra (34.000 km) è a malapena possibile distinguere i continenti.
Altri astronauti, come per esempio l’americano Alan Bean hanno testimoniato che: “l’unica cosa visibile dalla Luna è una splendida sfera, per la maggior parte bianca (le nuvole), su cui si intravedono il blu del mare, le macchie gialle del deserto e molto raramente una piccola porzione di vegetazione. Nessuna costruzione dell’uomo è visibile su questa scala”.
Ciò nonostante osservazioni recenti fatte da altri astronauti durante alcune missioni spaziali hanno registrato che la Muraglia, come molte altre opere dell’uomo, sono visibili dall’orbita più bassa della NASA, vale a dire da 160 km dal suolo terrestre. Non esiste perciò nessun luogo nello spazio dal
quale l’unica opera umana visibile sia la Grande Muraglia.
I libri di storia e geografia dell’orgogliosissima Cina sono stati rivisti e l’autostima del suo popolo in parte stroncata. Ciò non toglie che il nostro pianeta continui ad essere unico nel suo genere nel sistema solare, e chi lo sa, magari anche nello spazio.

UTILIZZIAMO SOLO IL 10% DEL NOSTRO CERVELLO?

“Sai, noi utilizziamo sempre solo il 10 per cento del nostro cervello. Provate a immaginare cosa si potrebbe realizzare se si utilizzasse l’altro 90 per cento!” Quante volte avete sentito questa affermazione?
In realtà non si tratta che di una credenza: noi utilizziamo tutto il nostro cervello. Se il peso medio del cervello è di 1,400 grammi e noi rimuovessimo il 90% di esso, non resterebbero che 140 grammi di tessuto celebrale, praticamente la taglia del cervello di una pecora. È risaputo che il danneggiamento di una piccola porzione di cervello può causare disabilità devastanti, quindi il non usare porzioni di cervello è dovuto esclusivamente a malattie celebrali.

Da dove deriva il mito
I ricercatori suggeriscono che questa popolare leggenda metropolitana esista almeno dal 1900. Potrebbe essere stata generata da un malinteso o da un’errata interpretazione della ricerca neurologica. Il mito del 10 per cento potrebbe essere emerso dagli scritti dello psicologo e filosofo William James. Nel suo libro del 1908, The Energies of Men, ha scritto: “stiamo facendo uso di solo una piccola parte delle nostre possibili risorse mentali e fisiche.”
Secondo altri, fu Einstein ad attribuire le sue capacità intellettuali al fatto di usare più del dieci per cento normalmente sfruttato, ma questa attribuzione pare sia falsa. Altra possibile origine sono le ricerche sul cervello svolte negli anni ’30 da neurochirurghi, in cui si parlava di corteccia silente per le aree del cervello cui apparentemente, alla stimolazione elettrica, non corrispondeva una funzione.

Come è stato sfatato il mito
Scansioni di imaging del cervello mostrano chiaramente che quasi tutte le regioni del cervello sono attive anche durante compiti abbastanza di routine, come parlare, camminare, e ascoltare musica.
Se il mito fosse vero, sulle persone che soffrono di danni cerebrali dovuti ad un incidente o un ictus non si sarebbero probabilmente notati gli effetti reali del danno. In realtà, non c’è una singola area del cervello che può essere danneggiata senza provocare una conseguenza più o meno grave.
Non avremmo sviluppato un cervello così grande se avessimo utilizzato una così piccola porzione di esso.
Il cervello utilizza circa il 20 per cento dell’energia del corpo. Avrebbe poco senso evolutivo che una parte così grande delle nostre risorse energetiche fosse utilizzata da una quantità del cervello a tal punto piccola.
La ricerca e la mappatura del cervello devono ancora trovare una regione del cervello che non serva neanche ad una funzione. “Numerosi tipi di studi di brain imaging mostrano che nessuna area del cervello è completamente silenziosa o inattiva”, hanno scritto il dottor Rachel C. Vreeman e il Dr. Aaron E. Carroll in uno studio dei miti medici.
Dopo decenni di studi gli scienziati sono arrivati alla conclusione che il cervello non può crescere ma solamente sviluppare le proprie capacità e superare alcuni suoi limiti. Ma, per la complessità dell’organo in questione, è presumibile che la scienza abbia ancora molto da scoprire.

Leggere con poca luce

Quante volte ti sarà capitato di andare a letto e, una volta sotto le coperte, di ricordarti di avere un capitolo di quel libro tanto amato in sospeso, per poi chiederti: “Come farò a riposare davvero col desiderio così intenso di sapere cosa avverrà dopo?”. Dunque, allunghi il braccio verso il comodino e afferri il libro, pronto a leggere. Ed ecco che un nuovo pensiero ti perseguita: “E se leggendo con così poca luce, la mia vista si rovinasse?”.

Non c’è affatto il caso di preoccuparsi: non vi sono infatti prove secondo le quali leggere in condizioni di bassa luminosità provochi danni agli occhi.

Se da un lato però è vero che la vista non corre pericoli, dall’altro è certo che nel momento in cui la luce è fioca il contrasto tra le parole e la pagina non è così forte: è quindi richiesto agli occhi un maggiore sforzo per distinguere le parole. Ne consegue che la lettura risulti più faticosa e gli occhi stanchi.

Più nel dettaglio, cosa succede all’occhio quando legge con luce tenue?

Quando si cerca di distinguere lettere e parole dal resto della pagina, in condizioni di scarsa luminosità, vengono utilizzate due specifiche parti dell’occhio: il muscolo ciliare, che va ad accomodare il cristallino (in parole più semplici avviene la messa a fuoco degli oggetti posti a distanza ravvicinata), e i bastoncelli; in questi ultimi è presente una proteina (radopsina), inattivata alla luce, ma che si riforma in condizioni di oscurità. Con luce fioca, quindi, la struttura molecolare cambia: la lettura è più faticosa, ma, come già accennato, non pericolosa: gli occhi stanchi e affaticati, infatti, potranno rilassarsi non appena chiusi.

Dunque, se sei solito avere un libro fra le mani prima di addormentarti, non preoccuparti riguardo alla poca luce, ma termina tranquillamente quel tanto atteso capitolo.

La vera storia dei Pellerossa

(In foto “The Lone Chief, Cheyenne” di Edward Sheriff Curtis)

 

Ricordati falsamente nei western e nel cimema americano del secolo scorso perlopiù come minacce per i pionieri in ricerca dell’oro o come selvaggi assassini che assaltavano le diligenze, i Pellerossa furono in realtà piuttosto vittime di un assedio da parte del governo e dall’esercito statunitense, perpetrato per ragioni prettamente economiche e territoriali. secondo gli storici furono decine di milioni i Pellerossa morti in 200 anni: un vero e proprio genocidio. Per lungo tempo un simile sterminio venne ignorato o sottovalutato dalla storiografia ufficiale, perlomeno fino alla metà del XX secolo.

Sfatiamo il falso con la realtà dei fatti:

Non c’erano grandi capi tribù. Esistevano esperti per la guerra, sciamani, uomini di medicina e così via. Grandi indiani come Nuvola Rossa o Cavallo Pazzo erano nati dal bisogno di coalizzarsi contro i “visi pallidi”. Tutte le decisioni venivano prese dai consigli delle tribù. Si ritiene che la Costituzione americana abbia preso spunto anche dalla democrazia degli Irochesi!.

Augh! Gli indiani non si salutavano con “augh”, bensì con “hog”. L’errore comune deriva dal modo in cui gli inglesi trascrivevano il saluto, ”haug”.

Un popolo imbattuto: I Seminole. «La loro forza era aver stabilito un patto di rispetto con la natura, l’essere stati una società pacifica e matriarcale, aperta all’accoglienza. Anche sessuale. L’amore tra una donna della loro tribù e chi arrivava da terre lontane era benvisto, portatore di figli sani e vigorosi» racconta Dario Fo nel suo libro Storia proibita dell’America.

Macabri per necessità? Collezionare scalpi come cimeli di guerra non era tipico della cultura nativa americana. Fu adottato dalla resistenza indiana durante gli scontri tra francesi ed inglesi, i quali davano un premio ai soldati per ogni indiano ucciso.

Vecchi saggi. Le tribù indiane non erano assistenziali. Quando i vecchi, nonostante fossero molto ascoltati, diventavano un peso in genere si allontanavano dal gruppo per andare a morire.

Il cavallo selvatico fu reintrodotto per sbaglio in Nord America. Un gruppo di cavalli scappati da un forte spagnolo in Messico nel 1600 (circa) diede origine alla razza dei mustang. Gli indiani riuscirono ad addomesticarli abilmente inventando persino uno specifico stile di cavalcata.

Geronimo! Geronimo fu un condottiero nativo americano, si tratta di uno dei più famosi capi degli Apache, che per oltre 25 anni guerreggiò contro gli Stati Uniti e la loro espansione ad occidente. L’abitudine a gridare “Geronimo” deriva da alcuni paracadutisti dell’esercito degli Stati Uniti d’America, i quali videro l’omonimo film del 1939 in cui il protagonista urlava il suo nome prima di lanciarsi da un alto burrone in un fiume. Il soldato scelto Aubrey Eberhardt per primo decise di imitarlo per dimostrare che non aveva paura e fu poi seguito dai suoi compagni: da li poi il grido si diffuse nella cultura popolare.

 

Ricevi i nostri aggiornamenti

Ricevi i nostri aggiornamenti

Iscriviti alla newsletter di 1000miglia per non perderti nemmeno un articolo! Una mail a settimana, tutti i martedì.

Grazie per esserti iscritto!