Un caso Natalizio

Siete al supermercato con vostra madre in un qualsiasi giorno di dicembre. Dagli altoparlanti fuoriesce improvvisamente una melodia ovattata: la prima canzone di Natale dell’anno è stata messa in onda. La scelta è praticamente univoca con Michael Bublè e il suo acclamato disco natalizio. Le sue note permeate di romanticismo non sarebbero male, anzi si sposano piuttosto bene con la necessità di sentirsi coccolati in questo periodo dell’anno. Tuttavia, la maggior parte di noi non è in grado di provare nulla. Cosa è successo a noi e alla musica di Natale negli ultimi anni?

Come è solito in questa rubrica, prendiamo un primo spunto da osservazioni sociologiche. Il moderno spirito del Natale ha avuto origine nei paesi industrializzati a partire dagli anni ’50. I grandi classici natalizi nelle loro versioni più famose sono stati registrati proprio a partire da quegli anni. Citando solo i titoli più celebri possiamo ricordare Jingle Bells di Frank Sinatra, Let it snow! e Jingle Bells rock, ancora riprodotte in radio dopo decenni. Senza mettere in discussione la vivacità di queste composizioni viene comunque spontaneo porsi una domanda: quanto potranno ancora durare?

Il natale ancora risente dopo settant’anni di un’atmosfera che nella pratica ha ormai cessato di esistere. I tempi sono cambiati ma per tradizione culturale e commerciale si continua a insistere su un modello distorto rispetto alla realtà. A dimostrazione di questo vi sono i moderni singoli di natale che con estrema goffaggine tentano di riprodurre il romanticismo del boom economico o la nostalgia degli anni ’80-’90. Inoltre, mostrare con superficialità l’aspetto social applicato al natale non risolve comunque l’inevitabile invecchiamento della sua immagine, rendendolo per alcuni ancora più irritante. È curioso da questo punto di vista il brano “Natale di merda” di Spaziobianco che con un po’ di cinismo critica gli aspetti ridondanti delle feste natalizie (comunque mantenendo un tono scherzoso e a tratti nostalgico). Che la critica sia sincera o mossa dallo spirito alternativo della musica indie non ha molta importanza dato che un numero non indifferente di persone riesce comunque a rispecchiarvisi. È triste, da un certo punto di vista, constatare che tale numero ha una discreta prospettiva di crescita indotta da un’eccessiva esposizione al marketing e dalla generale fretta a cui siamo sempre più esposti nella vita di ogni giorno. Questi fattori ci portano a trascurare o a vivere con scarsa presenza mentale un momento da sempre riservato alla bontà d’animo.

La conclusione del discorso può seguire la logica che ognuno di noi preferisce. La musica natalizia non ha ancora raggiunto un grado di maturazione tale da garantirne un cambiamento consistente, e la sua prospettiva di vita allo stato attuale è ancora lunga. Spetta quindi a noi la decisione di viverla nel ricordo e nella tradizione (anche nei suoi goffi tentativi di ammodernamento) o ignorarla completamente, accettando la mancanza di qualcosa in grado di sostituirla.

Abbraccia l’incoerenza

Vi è mai capitato di sentire uscite del calibro “gruppo x si è venduto!” oppure “eh, non sono più quelli di una volta!”? Se percepite un leggero senso di autodisprezzo per averle pronunciate o ne siete stati vittime anche voi non preoccupatevi: è del tutto normale.
Meno normale è la pretesa che un progetto possa rigare dritto a tempo indeterminato, in un viaggio privo di qualsiasi tipo di attrito economico e sociale. Un progetto per sua natura è ordinato – o almeno, tenderebbe all’ordine -, ma i fenomeni economici e sociali procedono invece nella direzione opposta, ammesso che ne abbiano una. Sostanzialmente a livello culturale la musica si rinnova in maniera significativa ogni dieci anni circa. Ogni decade del Novecento ha una sua corrente portante. Per fare alcuni esempi possiamo vedere il dominio del rock negli anni ’70, del metal negli anni ’80, del grunge negli anni ’90, ecc… Ognuna di esse è stata la manifestazione di determinati comportamenti sociali e modi di vivere lo spettacolo. Questi fenomeni, in quanto di natura umana, hanno avuto una durata molto limitata portando la musica degli ultimi settant’anni ad un’evoluzione sfrenata, quasi innaturale. La società del ventesimo secolo è stata un catalizzatore potentissimo per l’ingegno artistico-musicale portando alla nascita di uno scenario senza precedenti. L’aumento di complessità e la saturazione del sistema lo ha reso sempre più fragile fino ad arrivare alla forte crisi creativa che contraddistingue i nostri giorni. Molti gruppi e cantanti non percependo prontamente il cambiamento si sono trovati di fronte sostanzialmente a due scelte: la prima, quella di non cambiare per nulla (talvolta azzeccata, talvolta no). La seconda, un restyling forzato (Loredana Bertè ne sa qualcosa). Un caso ancora diverso, ma non isolato, è quello dei Metallica, band che provando a innovarsi non ha fatto altro che scrivere le pagine più brutte della propria carriera. In ogni caso la prova del nove viene sempre dal pubblico. La sua reazione è un indicatore fondamentale per capire se una determinata scelta artistica avrà effetti positivi anche sul lungo termine. Tuttavia, con un po’ di amarezza si deve constatare la staticità del fan medio e la sua generale tendenza a lamentarsi anche dei piccoli cambiamenti.
Veniamo ora all’aspetto più incoerente di un progetto musicale, la base di scelte apparentemente prive di senso e poco ortodosse: i soldi.
Un fenomeno sociale è effimero e muore per far spazio ad un altro. Dal punto di vista economico la spinta proveniente da un fenomeno si esaurisce ciclicamente portando a un periodo di restrizione economica. A questo punto la band o il cantante deve decidere quale strada intraprendere. Supponendo che precedentemente si sia proseguita una strada già collaudata e questa non abbia funzionato come in passato, sia artisticamente che economicamente, si tenta un restyling. Il successo è clamoroso dal punto di vista delle vendite, ma una fetta dei fan è completamente disorientata (un po’ come quando tua madre mette in ordine la tua camera). Ora applicatelo alle band che amate e che ultimamente vi stanno facendo prudere le mani.
Non è difficile comprendere che con l’avanzare dell’età si vogliano anche migliorare i propri bilanci in visione del raggiungimento di una nuova fase di sviluppo. Arricchirsi non è mai cosa malvagia dato che consente di applicare strategie di autofinanziamento e migliorare in genere la qualità del servizio. Poi insomma, chi accetta le regole del music business deve anche accollarsi l’aspetto cinico di questo mondo ed eventualmente imparare a sfruttarlo a proprio vantaggio.
Per concludere, che vi piaccia o no, l’incoerenza e il cambiamento sono aspetti inevitabili e di vitale importanza nella vita di un progetto musicale. Alcuni progetti possono sembrare stagnanti e vivere di rendita, ma sempre ringraziando buone strategie commerciali e intuito artistico applicati con prontezza e coraggio. Addirittura alcuni imprenditori dell’industria musicale hanno costruito il proprio brand sull’incoerenza e la volatilità attraverso i talent show (come X Factor ad esempio).

Tuttavia, questa è un’altra pillola difficile da ingerire e forse è meglio affrontarla la prossima volta.

Il vinile e l’operazione nostalgia

Negli ultimi anni si sta assistendo al ripescaggio del leggendario formato fisico del vinile, esaltato spesso non solo per l’indubbio fascino estetico, ma anche per la qualità audio ritenuta da molti ancora imbattuta. Tuttavia, questo fenomeno letto da un altro punto di vista risulta preoccupante sotto diversi aspetti e rappresenta con grande chiarezza la fragilità artistica e commerciale che la musica sta vivendo nell’ultimo decennio. Dagli anni di Napster la musica ha subito irrimediabili trasformazioni rimaste a lungo ignorate dalle case discografiche ancorate ad un modello sempre più obsoleto. Il risultato fu il proliferarsi della pirateria e un calo drastico nella vendita di prodotti di minor portata. 

La conseguenza maggiore scaturita dall’incontrollato fenomeno è uno scenario segnato dalla mancanza di rispetto per il lavoro di musicista, dall’eccessiva fruibilità al suo lavoro (grazie al download illegale) e dalla scarsa consapevolezza dello sforzo che si cela dietro (questo non riguarda solo la musica, ma per adesso non ci interessa andare più a fondo). La Apple con Itunes anticipò già di più di un decennio il business della musica digitale, ma Itunes rimase (e rimane tuttora) un prodotto prevalentemente di nicchia. Il suo contributo fu comunque fondamentale nell’aprire la strada alle moderne app streaming. Queste offrono tramite un pagamento mensile, una libreria musicale quasi sconfinata con diverse possibilità di riproduzione. Alla luce di tutto ciò risulta spontaneo chiedersi quale sia effettivamente il ruolo del vinile nella musica moderna, ormai profondamente legata allo sviluppo digitale. I costi di produzione di un vinile sono troppo alti da risultare insostenibili e vengono perciò stampati in tirature limitate. La sua riproducibilità è relegata unicamente alla dimensione domestica e richiede attrezzatura adatta per goderne pienamente le qualità. L’unico aspetto positivo è forse il gusto del collezionismo che il digitale nella sua volatilità non riesce a restituire.

Possiamo supporre si tratti di una fase di transizione, un attacco di immatura malinconia che cela dietro di sé la paura del futuro. Questo tipo di ragionamento è nocivo sul lungo termine e sporca il passato glorioso di un formato che ha fatto storia. La musica accrescendo la sua complessità, ha anche covato una sempre maggiore fragilità che si sfoga spesso in operazioni nostalgiche. Un sistema fragile e ordinato per crescere deve assumere il comportamento opposto. Solo rompendo e rimescolando si può avere la speranza di raggiungere qualcosa di nuovo ed è inutile pretendere di prevedere quello che potrà accadere. Il nostro compito a questo punto risulta tanto semplice quanto difficile: rimettere tutto in discussione per l’ennesima volta, a cominciare dal 33 giri.

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