Superlega e dintorni

La Superlega doveva essere quella nuova realtà che si poneva l’obiettivo di comprendere al suo interno poche squadre fondatrici e firmatarie di un neo-campionato privatizzato. Le società che venivano invitate avrebbero avuto la possibilità della gestione diretta dei soldi, quindi sarebbero state socie del campionato a cui avrebbero partecipato. Lo scandalo è legato al fatto che questa nuova serie avrebbe messo al centro il profitto ed escluso il tifoso e il calciatore in quanto persona. Anche se la Pandemia ha messo in luce diversi problemi che in realtà si basavano su sistemi con un giro di capitali molto elevato, bisogna tenere in conto che non è sempre valido parlare di “mangia mangia”. Ci sono in gioco infatti interi tessuti aziendali il cui sistema va necessariamente oltre il calciatore dallo stipendio milionario. Oggi il profilo di un calciatore è diventato una vera azienda con alle spalle un gruppo di lavoro che si occupa di curarne l’immagine, infatti non si parla più di sponsorship ma di partnership (un esempio concreto sono i profili social degli atleti delle diverse nazionali sportive o di calciatori come Neymar che in passato sponsorizzava Tik Tok e poi è passato alla neo-piattaforma Triller o ancora Pogba che lo ha fatto con Wish). Purtroppo, il periodo storico ha sicuramente portato un profitto minore che ha avuto delle ricadute su tutto il sistema intorno alle squadre e agli atleti. Da qui la Superlega è stata una scelta necessaria, ma con dei principi che non hanno i valori e l’etica di uno sport, il calcio, che è fatto non solo di soldi ma anche di cuore, tifosi, famiglia e pallone. La conclusione è stata che il Primo Ministro inglese Boris Jhonson ha deciso di muoversi velocemente applicando un aumento fiscale alle società che si sarebbero iscritte alla Superlega, determinando la fuoriuscita immediata delle squadre inglesi che avevano aderito al progetto. I soci fondatori, tra i quali Perez e Agnelli, sostengono che il progetto non sia stato capito bene e che avrebbe avuto dei fini non così cinici come quelli descritti dai mass-media. La Superlega voleva essere un sostegno ad un sistema che se non alza l’asticella degli obiettivi di lucro rischia di crollare e di trascinarsi dietro molto altro. Le critiche al progetto sono state numerose e sono arrivate da molte parti. Tra le ultime la lettera di Fedez letta dal palco del concerto del 1° Maggio. Premettendo che, se un’importante televisione pubblica come la RAI decide di mandare in rete un evento di natura polemica, è logico aspettarsi che gli ospiti si possano esprimere liberamente. Però, in merito alla citazione della Superlega inserita nell’intervento del cantautore e influencer, viene il dubbio che il messaggio che potrebbe passare a livello mediatico sia quello di una guerra tra il mondo sportivo e quello artistico. Quest’ultimo, insieme al comparto della cultura in cui rientra, si è sicuramente, e purtroppo, distinto per la scarsa tutela contrattuale nei confronti di tutte le figure che vi orbitano intorno, tuttavia non è puntando il dito contro i grandi sistemi che si trovano delle soluzioni. Si rischia infatti di generare polemiche a cascata che andrebbero a penalizzare un settore apparentemente stabile. Comunque, a mio parere, è solo l’inizio. Staremo a vedere…

La donna e lo sport

La donna e lo sport, nella storia dell’essere umano, hanno sempre fatto fatica a camminare insieme. La figura femminile ha avuto difficoltà a farsi riconoscere alla pari dell’uomo, non solo nel settore sportivo, ma anche in altri ambiti sociali, e ancora oggi questa tematica è molto sentita. Ripercorrendo il passato, possiamo trovare che ai tempi delle Olimpiadi greche (che prendono il nome dalla città dove sono nate nel 776 a.C., Olimpia) non si consentiva alle donne né la partecipazione né la possibilità di assistere alle gare. Nel 1896 furono riproposte da De Coubertin le prime Olimpiadi dell’era moderna e fu lui stesso che, per rispettare la tradizione classica, mantenne l’impossibilità di partecipazione delle donne. Però Stamata Revithi, una maratoneta greca, ci provò lo stesso e, non essendole consentito gareggiare con gli uomini, decise di correre il giorno seguente da sola ed in modo non ufficiale. Solamente nel 1900 si diede la possibilità ad un paio di donne di partecipare a Parigi ai giochi Olimpici e l’inglese Charlotte Cooper diventò la prima campionessa olimpica di tennis nella storia. Nel 1959, Rena “Rusty” Kanokogi, appassionata di judo, per gareggiare al campionato YMCA si travestì da uomo. Si fasciò strettamente i seni, si tagliò i capelli e cambiò il suo nome in Rusty, un nome che l’accompagnò per tutta la sua carriera. Nel 1966 Bobby Gibb corse la maratona di Boston, competizione allora preclusa alle donne, senza pettorale e aspettando di partire poco distante dalla linea del via, nascosta dietro un cespuglio. L’anno successivo ci riprovò Kathrine Switzer che riuscì ad ottenere il pettorale 261 iscrivendosi con le iniziali solo del nome e, all’intervento dei giudici per toglierla dalla pista, venne difesa dal fidanzato, atleta anch’egli, che le consentì di portare a termine la gara. In seguito a questo episodio l’atleta stessa diede vita al progetto 261 Fearless, dedicato all’inclusione delle donne nel mondo della corsa e dello sport. Nel 1968, a Città del Messico, la campionessa di atletica leggera Enriqueta Basilio fu la prima atleta donna ad accendere la fiamma olimpica. Nel 1991 Hassiba Boulmerka è stata la prima donna africana a vincere un titolo mondiale nell’atletica. Nel 1996 alle Olimpiadi di Atlanta, una donna iraniana partecipò per la prima volta ai giochi: la straordinaria Lida Fariman, che gareggiò nel tiro a segno.

Solo nel 1985 al Parlamento Europeo è nata la Carta dei diritti delle donne nello sport con lo scopo di difendere le pari opportunità dei sessi in ambito sportivo, ma non si può affermare che i problemi siano risolti. Infatti, anche in questo settore si riflettono le stesse problematiche che si trovano in tutto il mondo del lavoro. È materia attuale il caso di Lara Lugli: accusata di non aver rispettato l’accordo con la società Volley Pordenone perché non aveva dichiarato l’intenzione di diventare madre. Lara Lugli è finita in un contenzioso. Facendo emergere, a mio parere, l’indisponibilità del mondo lavorativo davanti al desiderio di una donna di essere madre, la giocatrice sostiene: «il mio non è un caso isolato ma riguarda tantissime ragazze che si sono sentite usurpate dei loro diritti più basilari» (La Repubblica, 15 marzo 2021).

Perciò, è una situazione che non va analizzata solo attraverso questo episodio: è infatti un problema con il quale le atlete hanno a che fare da anni all’interno del sistema. Anche perché sappiamo benissimo (e lo ha detto anche l’attuale sottosegretaria allo sport, Valentina Vezzali) che purtroppo, siccome il mondo sportivo è ritenuto un ambito da “hobbisti”, i contratti sportivi sono deboli e senza tutele previdenziali. L’Onorevole ha esordito nel suo ruolo con l’impegno di tutelare la maternità e la genitorialità nel settore sportivo rispondendo ad un’interpellanza della parlamentare Laura Boldrini sul caso di Lara Lugli. Nella pratica verrà rinforzata la riforma dello sport che è stata approvata il 1° marzo 2021 ed entrerà in vigore il 1° luglio 2022 attraverso decreti, cosa che verrà fatta lavorando insieme alle autorità delegate alla materia sportiva e agli organismi sportivi.

La Ragione di Stato: di calcio e altre sciocchezze

Di calcio e altre sciocchezze. Una frase apparentemente buttata lì, se non fosse che proprio il calcio e le “sciocchezze” sono i due grandi temi trattati da una pagina seguitissima sui social network (più di 25mila follower solo su Facebook): La Ragione di Stato. Una pagina e basta, perché definirla sarebbe troppo difficile. Parla di sport? Sì, ma non solo. Racconta la propria contemporaneità con ironia? Anche, ma non solo. Raccoglie sotto un velo di semplicità profonde conoscenze di politica e attualità? Più di ogni altra cosa, probabilmente, ma non vogliamo esagerare.

Insomma, non riuscendo a riassumere un prodotto culturale di ottima qualità proposto ormai da tempo su Facebook e Instagram ma anche e soprattutto su Youtube (seguiteli ovunque!), per la Pillola Sportiva del mese di marzo abbiamo pensato di rivolgerci direttamente ai suoi fondatori, gli umbri Stefano Mondi, Matteo Santarelli e Andrea Adriani, provando a conoscerne meglio ragioni e obiettivi.

Piccolo spoiler: le risate sono state tante, ma probabilmente il vero senso de La Ragione di Stato è che… un senso non ce l’ha.

Partiamo dall’origine: come nasce La Ragione di Stato?

“Vorremmo poter dire che nasce per parlare in un modo nuovo del calcio, dello sport e dei loro annessi e connessi, con un taglio più ironico, ma, in fondo, la verità è che La Ragione di Stato è il sintomo di un nostro problema: il riflesso di anni di solitudine, fallimenti e incapacità a relazionarci con il mondo che ci circonda. È una storia di dolore, sopraffazione e malcelato disagio”.

La Ragione di Stato parla di calcio e di altre sciocchezze. Questa è la descrizione della vostra pagina. Il calcio lo conosciamo, ma quali sono queste sciocchezze?

“Sveliamo un segreto: sono in realtà le cose cruciali per un grande popolo come quello italiano. Gli intrighi di palazzo, i cambi di casacca, i resti della Prima Repubblica che diventano decisivi in una crisi di governo, il grande spettacolo, Sanremo e poi la grande arte contemporanea. Non vorremmo essere immodesti, ma crediamo, ad esempio, di aver dato un grande contributo alla critica artistica italiana e non, affermando per primi che Silvio Berlusconi è il più grande artista contemporaneo vivente. Una banalità direte, invece non era mai stata detta e oggi tutti la condividono”.

Insomma, le altre sciocchezze sono un po’ la Storia, quella con la “S” maiuscola. Ma che ruolo ricopre il calcio nella grande narrazione dell’umanità?

“Ogni epoca ha avuto il suo momento sportivamente rilevante. Pensiamo alle lotte tra i gladiatori e alla caccia alle streghe, solo per citare le più famose. Il calcio ricopre la loro stessa funzione: è un modo per capire e raccontare la realtà, e, proprio come i fenomeni sociali che lo hanno preceduto, va preso con l’adeguata non serietà. Noi ci stupiamo di come ci potesse essere un seguito verso attività come quelle di un tempo e vogliamo immaginare che la stessa cosa accadrà per la nostra epoca tra qualche secolo: i nostri pronipoti guarderanno con incredulità al nostro rapimento di fronte a ventidue persone che corrono dietro a un pallone per 90 minuti, ne siamo certi”.

Lasciamo per un attimo da parte la retorica. La vostra è una pagina di successo, tutt’altro che immaginata per caso. Avete già definito il vostro pubblico-tipo?

“Abbiamo fatto delle indagini di mercato, pagando dei grandi professionisti del settore, ma essendo ignoranti in materia non riusciamo a comprendere le analisi che ci hanno inviato. Quindi, se ci fosse qualcuno in grado di leggerle tra i nostri follower, ce lo dica, perché vorremmo essere più famosi e saremmo felici di essere aiutati. Al momento, restiamo di nicchia, proprio perché facciamo scelte spesso dettate dal caso, che portano a un pubblico a caso. Definirlo è difficile: è un popolo di amanti del calcio, che ogni tanto ama confrontarsi con i grandi temi. Ci rende orgogliosi ma temiamo che sia troppo eterogeneo per immaginare una cena tutti insieme: alla tredicesima grappa potrebbe volare qualche parola di troppo!”.

Alla base de La Ragione di Stato ci sono, però, soprattutto degli spettacoli, in cui trasformate i vostri post in storie da raccontare. Quali sono le gesta che cercate di portare sul palco?

“Quei racconti sono il riassunto dell’esigenza che sta alla base della pagina: dopo anni di storytelling sportivo in televisione, tanto affascinante quanto retorico e pesante, abbiamo sentito il bisogno di narrare il calcio, cercando di riportare tutti sul pianeta Terra. Da qui, sono nati alcuni spettacoli, incentrati principalmente sul tema dei Mondiali, nei quali vogliamo essere maggiormente “filologici”, togliendo quella patina esageratamente forzata di retorica di cui sono pieni i racconti sul calcio. Citando “Boris”, vogliamo lasciare spazio all’emozione, ma senza mandare missili sulla luna, come direbbe Massimiliano Allegri”.

Spettacoli, momentaneamente stoppati dal Covid, che sono un condensato di tutto ciò che è La Ragione di Stato: follia, ironia, senso critico, competenza. “Nel momento in cui sarà possibile ripristinare questa nostra principale attività, saremo lieti di fare una lunga trasferta in Piemonte per aumentare il nostro bagaglio culturale assaggiando qualche buon vino!”. Un invito che non ci lasceremo scappare!

Mi chiamo Noemi e faccio la pallavolista

La passione per gli animali, un amico a quattro zampe di nome Macchia, le giornate in cortile a divertirsi da bambina con gli amici. Sembra la descrizione di una ragazza qualunque e invece è la storia di una delle pallavoliste italiane più forti in circolazione.

O meglio, quella di Noemi Signorile è anche la storia di una bambina come le altre, che aveva però un grande talento, partita da Torino per arrivare ai vertici del volley nazionale ed internazionale, fino all’approdo a Cuneo, dove è diventata capitano della Bosca S. Bernardo Cuneo, impegnata nella Serie A1 femminile per la terza stagione consecutiva.

Noemi, domanda per nulla scontata in questi tempi: come va?

Bene, nonostante tutto! Purtroppo, come squadra abbiamo dovuto affrontare il coronavirus nella seconda metà del 2020, ma ne siamo uscite più unite di prima. Le sfide, però, non sono finite qui, perché subito dopo sono arrivati alcuni infortuni di troppo, ma noi non molliamo!

Facciamo un gioco. Proviamo a “dividere” la Noemi Signorile in campo da quella fuori. Ci stai?

Va bene, vediamo che ne viene fuori!

Partiamo dal campo. Chi è Signorile?

Signorile è una palleggiatrice e oggi il capitano di Cuneo, con alle spalle diversi anni di pallavolo qua e là per l’Italia e l’Europa.

Sei sempre stata un’appassionata della pallavolo?

Sì, ma non solo. Già da piccola, ho sempre amato tante disciline: stavo poco in casa e perlopiù in cortile con il pallone. Ho fatto un po’ tutti gli sport, dal basket al nuoto, poi ho cominciato a giocare a volley, come aveva fatto mia mamma da bambina. Da lì, ho capito di avere talento e non ho più smesso.

Palleggiatrice sin da subito?

No, anzi, fino a 16-17 anni sono stata un’attaccante, poi, entrando nel Club Italia, mi hanno “trasformata” in una palleggiatrice.

Il tuo idolo?

Avendo iniziato in attacco, il mio riferimento era Elisa Togut, che all’epoca era l’opposto della nazionale. Poi, cambiato ruolo, ho iniziato ad avere come esempio Eleonora Lo Bianco, una delle migliori di sempre. Mai avrei creduto di essere un giorno sua compagna di squadra…

È stata “breve” la strada che ti ha portato al professionismo?

Diciamo che è venuta da sé, ma non c’è nulla di scontato. Per arrivarci, devi fare sacrifici e coltivare il tuo talento, sempre.

Qual è il sacrificio più grande?

Sicuramente vivere lontano da casa. Oggi, a trent’anni, ci ho fatto le ossa, ma quando ho iniziato il mio percorso da adolescente, non è stato per nulla facile!

E l’aspetto più bello?

Sicuramente il viaggiare e conoscere tante persone. Io ho avuto la fortuna di essere accolta in piazze e città importanti, lasciando sempre ottimi amici. Anche in Romania, dove abbiamo vinto campionato e coppa nazionale, mi sono divertita. E poi ho affinato il mio inglese…

Cambiamo soggetto: chi è, invece, Noemi?

Noemi è una ragazza solare, che ama stare con le persone e scherzare. Anche sui social network, e chi mi segue lo sa, mi piace ridere e divertirmi.

Proprio attraverso i tuoi canali molti hanno imparato a conoscere il tuo compagno di stanza…

Il mio cane Macchia! Ormai ha dieci anni ed è diventato anche una sorta di mascotte: mi ha accompagnato nelle principali esperienze della mia carriera, restando al mio fianco nei momenti migliori e in quello meno positivi, in Italia, Francia e Romania. Con lui è tutto più bello.

È lui una delle tue “passioni”?

Gli animali in generale. Anzi, credo che se non avessi fatto la pallavolista, il lavoro della mia vita sarebbe stato sicuramente legato al mondo degli animali.

Dove vedi Noemi dopo la pallavolo?

Sempre nella pallavolo, magari con un ruolo diverso. Sto terminando i miei studi in Scienze della Comunicazione, quindi spero di rimanere in ambito sportivo, magari come giornalista sportiva. Continuare a vivere il mondo del volley sarebbe fantastico.

E il tuo sogno extra-sportivo?

Sicuramente avere una famiglia, ma ora andiamoci piano. Per quello c’è tempo (ride, ndr)!

 

L’IDENTIKIT – Chi è Noemi Signorile

È nata a Torino il 15 febbraio 1990 ed è una pallavolista professionista dal 2005/06, quando ha esordito in Serie A1 con la maglia del Chieri Volley. Attaccante a inizio carriera, oggi è palleggiatrice e capitano della Bosca S. Bernardo Cuneo. Ha giocato per alcune delle squadre più prestigiose in Italia, come Cremona, Bergamo, Pesaro, Novara e Busto Arsizio, vincendo un campionato italiano, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. Ha anche giocato in Romania, a Bucarest, e in Francia, con Cannes, vincendo due campionati nazionali e una Coppa di Romania. La sua medaglia più luccicante, però, è sicuramente l’oro vinto con la Nazionale Italiana alla Coppa del Mondo 2011, disputata in Giappone.

Fossano Senza Barriere: un pallone per integrare

Giocare a calcio e fare sport senza barriere, con un preciso obiettivo: divertirsi per includere. Con questa grande ambizione, tre anni fa è nata a Fossano l’Associazione Sport Senza Barriere Onlus, che, sviluppatasi da una costola dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dal 2017 ha messo in piedi una squadra composta da ragazzi provenienti da ogni parte del mondo, in particolar modo dall’Africa, con il preciso scopo di fare gruppo, giocare insieme e inserirsi un passo alla volta nella nostra società.

“Tutto è partito qualche anno fa in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII, quando abbiamo iniziato ad organizzare il torneo “Don Oreste Benzi”, a cui prendevano parte ragazzi disabili, richiedenti asilo ed amici vari, divertendosi per alcune ore insieme” – spiega il presidente dell’Associazione Claudio Marro. “Da lì è nato un vero e proprio movimento: i ragazzi erano tanti ed avevano voglia di giocare insieme, per cui abbiamo scelto di fare il grande passo e di metterci in moto”.

Dalla stagione sportiva 2017/18, quindi, il Fossano Senza Barriere è una squadra che milita nel campionato di Eccellenza CSI. A guidarla, Stefano Cassine, un uomo che ha dedicato molto tempo della sua vita a questa causa, e Souleyman Hajro, un ragazzo albanese con importanti trascorsi nel mondo del calcio del proprio Paese d’origine e una voglia matta di mettersi in gioco.

“In questa stagione abbiamo un gruppo di trenta ragazzi – sottolinea mister Stefano – La cosa bella è che rappresentiamo praticamente tutto il territorio africano: ci sono ragazzi provenienti da Marocco, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Nigeria, Gabon, Congo, Guinea, Somalia, Mali. Nel gruppo abbiamo richiedenti asilo, immigrati di seconda generazione ed altri che hanno già avviato da un po’ il loro percorso di integrazione. Da quest’anno, poi, e sono felicissimo di poterlo dire, ci sono anche quattro amici italiani, che hanno scelto di scendere in campo con noi”.

Una storia bellissima, nella quale però non sono mancate le difficoltà: “I ragazzi hanno entusiasmo, ma spesso gli oneri economici e burocratici non sono semplicissimi da sostenere – precisa Cassine – Purtroppo negli anni abbiamo anche dovuto affrontare un pizzico di diffidenza da parte delle istituzioni e di molte realtà parrocchiali, che, per usare un eufemismo, hanno faticato a darci una mano. Fortunatamente, però, l’aiuto della Caritas e di altre associazioni non è mai mancato”.

Oggi il Fossano Senza Barriere gioca nel campo della Michelin, in frazione Ronchi a Cuneo: “Ci siamo ritrovati di colpo senza campo, ma gli amici della Michelin sono stati eccezionali, venendoci incontro e capendo i nostri reali bisogni. Non solo, spesso anche altre squadre contro cui giochiamo ci danno una mano, magari consegnandoci delle scarpe da gioco o altro materiale. Questa è la vera integrazione” – ricorda Cassine.

In campo, invece, non manca l’agonismo: “Non sempre vinciamo, ma non siamo neanche una brutta squadra. I ragazzi a volte si lamentano perché faccio giocare tutti, ma la mia linea è sempre stata quella. Le nostre vere vittorie sono arrivate fuori dal campo”.

Già, perché nei tre anni di vita sportiva, il Fossano Senza Barriere qualche “coppa” l’ha ottenuta: “In 3 anni abbiamo trovato tre case in affitto nelle quali oggi vivono undici ragazzi in totale autonomia. Abbiamo trovato un lavoro ad alcuni di loro, rinnovato permessi di soggiorno ad altri sottolineando il percorso d’integrazione che stavano svolgendo proprio attraverso lo sport, consentito ad alcuni di uscire dalla clandestinità attraverso l’aiuto di un avvocato, che ci sta sempre vicino. Quattro o cinque di loro sono anche riusciti a conseguire la patente di guida, grazie al nostro aiuto. E poi, la ciliegina sulla torta: un ragazzo è stato accolto da una famiglia fossanese e presto, probabilmente, anche un altro sarà ospitato. Questi sono i veri trofei!” – concludono con orgoglio Marro e Cassine.

Il pallone come strumento per fare integrazione, costruendo una squadra in campo e nella vita. Un progetto ambizioso ma già ricco di soddisfazioni. Per saperne di più e, perché no, dare una mano: https://www.facebook.com/SportSenzaBarriereASD

Arianna Barale: la ragazzina cuneese che sogna il motomondiale

Dove ve la immaginate, voi, una ragazzina di tredici anni nel tempo libero, quando non è impegnata con le lezioni scolastiche? Proviamo a indovinare: di certo, non in sella a una moto che sfreccia a più di 200 km/h sulle piste più importanti d’Italia.

Eppure a Borgo San Dalmazzo c’è una ragazzina che proprio in sella alla sua moto ha fatto molto parlare di sè negli ultimi tempi, prima che un grave infortunio ne stoppasse momentaneamente la crescita lo scorso giugno. O meglio, Arianna Barale, classe 2007, è una centaura da quando aveva cinque anni e mezzo. Non proprio roba dell’altro ieri.

Ciao Arianna! Intanto, permettici di chiedertelo: come stai?

Diciamo che sto lentamente tornando quella di un tempo. Lo scorso 3 luglio al Mugello nella prima prova del Campionato Italiano Velocità 2020, al mio esordio assoluto nella classe PreMoto3, ho subìto un brutto ed anomalo incidente a tutta velocità, schiantandomi contro le barriere, forse per via di un guasto tecnico. Purtroppo, sono stata per quasi 30 giorni a lottare tra la vita e la morte, visti i gravissimi danni che ho patito a fegato, polmoni, reni e bacino, che si era rotto in tre punti. Quel che conta, però, è che ora sono qui, più carica che mai, anche se ancora un po’ malconcia.

Questo è l’aspetto più importante! Ora facciamo un passo indietro di qualche anno: come nasce la passione per le moto?

Il colpevole numero uno è mio papà Alberto, che mi segue sempre e che è fondamentale per me. Gareggiava a livello amatoriale e io l’ho sempre seguito, innamorandomi da subito del motociclismo: mia sorella, quando sentiva un motore scappava spaventata, io invece volevo salirci sopra. A cinque anni e mezzo mi è stata regalata una minimoto, l’ho provata e da lì non sono più scesa. Sono passata dal cortile di casa, alla piazza di paese fino alle piste.

Immaginiamo che il tuo idolo sia Valentino Rossi…

Di certo, lui è uno dei più amati, e piace anche a me. Il mio vero idolo, però, è ormai da tempo Ana Carrasco, prima donna a battere gli uomini nella categoria 300 Supersport, oltre ad aver preso parte a gare del Motomondiale. Proprio lei, che mi aveva fatto gli auguri dopo l’infortunio, ne ha subito uno altrettanto grave nelle scorse settimane. Spero davvero che possa rimettersi al più presto e tornare a sfrecciare sulle piste!

I tuoi programmi a breve termine dopo la riabilitazione?

Verosimilmente cambierò team quando potrò tornare in pista, ma stiamo ancora facendo valutazioni. Il mio obiettivo è quello di rimettermi in sella già a dicembre, anche perchè i medici mi hanno detto che è possibile. Da lì dovrò allenarmi duramente per tornare in forma e poi sceglierò. Ho ricevuto tante offerte, anche per prendere parte al Campionato Europeo Femminile Supersport 300. Sarebbe bellissimo potervi partecipare!

Qual è, invece, il tuo sogno nel cassetto?

Semplicemente, continuare a divertirmi sulle due ruote. L’utopia è quella di arrivare a partecipare ad un Campionato del Mondo. La strada è lunghissima, incide anche il fattore economico, ma io non voglio smettere di crederci. Di certo, sarà fondamentale l’apporto degli sponsor che credono in me e di altri che si aggiungeranno. Anzi, ne approfitto: ho bisogno di voi!

Lascia che ti facciamo questa domanda. Calcio e motori sono per antonomasia gli sport degli uomini. Ti sei mai sentita un’estranea?

Diciamo di no. Sicuramente a primo impatto c’è un po’ di diffidenza, quasi si volesse sminuire le capacità di una ragazzina. Poi però si entra in pista e conta solo la velocità. Insomma, non ci sono stati problemi. Sicuramente per un maschio è più facile, però credo di aver un carattere forte e non ho mai avuto difficoltà.

Non hai paura dopo il brutto incidente dello scorso luglio?

La verità? La distanza dalla moto mi ha dato ancora più voglia di salirci sopra. Andare in pista e vedere gli altri che corrono e si divertono mi ha fatto venire ancora più fame!

 

 

Ricevi i nostri aggiornamenti

Ricevi i nostri aggiornamenti

Iscriviti alla newsletter di 1000miglia per non perderti nemmeno un articolo! Una mail a settimana, tutti i martedì.

Grazie per esserti iscritto!