Film da quarantena

La recente epidemia ha costretto tutti in una quarantena forzata. Nonostante sembri l’inizio di un qualsiasi zombie movie, è purtroppo la realtà, ma l’essere costretti a casa, per gli appassionati di cinema, è un’occasione più unica che rara per vedere finalmente i tanti film che stavano sovraffollando inesorabilmente le nostre watchlist su Prime Video e Netflix. Se però i cataloghi dei due colossi dello streaming non bastassero, altre piattaforme stanno venendo incontro ai bisogni di noi spettatori: Infinity offre infatti il suo catalogo gratis per due mesi; Rakuten ha inserito più di cento film gratuiti; Vvvvid si sta dimostrando sempre più interessante dal punto di vista cinematografico con grandi classici di maestri del cinema come Lynch e Cronenberg oppure i primi e introvabili film di Peter Jackson: Bad Taste e Splatters; infine Cg Entertainment ha pubblicato sul suo canale Youtube dieci film completi e ne continua ad aggiungere. Insomma di prodotti interessanti ce ne sono in abbondanza, decisamente troppi per un singolo articolo, quindi mi soffermerò brevemente solo su opere non troppo conosciute di Netflix, Prime video ed Infinity e più avanti mi concentrerò su altre piattaforme.

Cominciamo subito con Netflix, il cui catalogo non brilla purtroppo per originalità, ma che ha saputo risollevarsi recentemente grazie all’aggiunta dei prodotti dello studio Ghibli, che consiglio ovviamente tutti. In mezzo al catalogo super commerciale di Netflix, si nasconde però un’opera horror atipica e indipendente: Creep e il suo seguito. La saga è girata in found footage e narra la storia di Josef, assassino psicopatico che in entrambi i film assume giovani film maker per raccontare la sua storia. Inutile aggiungere altro: sono infatti film molto semplici ma dalla scrittura brillante. Mark Duplass è la mente dietro il progetto, ed è infatti: scrittore, produttore e meraviglioso protagonista dei due film. L’opera ricorda per molti versi l’ultimo Von Trier, La casa di Jack, mostrandoci le macchinazioni di un folle, ma se Von Trier ricerca l’arte nel proprio killer, Creep ne mostra l’umanità rendendo l’opera molto più realistica, merito anche di un ottima tecnica found footage. In poche parole una saga inquietante per quanto sia reale, film lenti ma che tengono lo spettatore incollato allo schermo per entrare nella mente di un folle.
Gli ultimi due film Netflix che voglio consigliarvi sono due thriller con protagonista Jake Gyllenhaal ovvero Lo sciacallo e Animali notturni. Il protagonista è l’unica cosa in comune nelle due opere; il primo narra la storia di un giornalista privo di scrupoli, mentre il secondo racconta la storia di uno scrittore che invia il suo libro alla ex e di come questo ne risvegli i ricordi di una relazione ormai perduta. Lo sciacallo è un thriller lineare che si regge su una incredibile interpretazione di Gyllenhaal; il film trasporta lo spettatore nel deprimente mondo di Louis Bloom, giornalista indipendente che, grazie a una radio della polizia, documenta i crimini notturni di Los Angeles. Il
film non ha solo grandi performance attoriali ma anche un’incredibile atmosfera, che ricorda anche sotto alcuni punti di vista il sopracitato Creep, e un finale bomba che ci mostrerà fin dove è disposto a spingersi il protagonista in un crescendo di tensione.
Animali notturni invece va visto anche solo per la sua incredibile realizzazione tecnica: con tre storie intrecciate, il passato, il presente e il libro, il film salta continuamente tra una dimensione e l’altra ma rendendole tutte e tre facilmente riconoscibili cambiando per ognuna atmosfera, filtri cromatici e ambientazione ma essendo sempre facile da seguire senza essere mai confuso, anche se andrebbe visto almeno un paio di volte per capire i dettagli che influenzano le tre storie in questo
splendido mosaico.

La prima opera di Prime video è uno zombie movie francese straordinariamente adatto alla situazione che stiamo vivendo noi tutti: La notte ha divorato il mondo. Comincia tutto con una festa in cui il protagonista Sam si addormenta, la mattina scopre che tutta la città è ora infestata di non morti e si barrica in casa; da quel momento dovrà sopravvivere in isolamento e capirà come la solitudine è più pericolosa dei morti che gli danno la caccia. Non sicuramente un capolavoro ma il film perfetto per questo periodo di quarantena.
Un altro film che parla a grandi linee di isolamento è Hotel Artemis: durante una rivolta per l’acqua a Los Angeles in un futuro prossimo, dei criminali, per sfuggire alla polizia, si rifugiano all’Hotel Artemis gestito da una sempre brava Jodie Foster, ma in pieno stile Agatha Christie ognuno di loro nasconde qualcosa. Un film leggero ma divertente e più concreto di quanto le premesse lasciassero sperare, peccato per un finale frettoloso che lascia molte domande, ma sicuramente un film da vedere per passare una buona ora e mezza.
L’ultima opera è forse la più particolare e che dividerà di più ma che il sottoscritto ha amato, aggiunta da pochissimi giorni al catalogo Prime con Daniel Radcliffe e la splendida Samara Weaving: Guns Akimbo. Il film racconta l’assurda storia di Miles, sfigato e mezzo depresso programmatore di videogiochi, che dopo un litigio virtuale con l’admin di SKIZM, programma del deepweb che mette due assassini in lotta tra di loro in diretta streaming, viene rapito e gli vengono imbullonate due pistole alle mani con cui dovrà combattere in diretta contro la campionessa di SKIZM. Se la trama non vi ha fatto gridare al capolavoro allora probabilmente il film non fa per voi, se invece volete dargli una possibilità vi ritroverete davanti un film folle, divertente e molto giovanile, se riuscite a farvi trasportare dal suo frenetico ritmo riuscirete sicuramente a passare avanti ai suoi evidenti limiti di sceneggiatura.

Per quanto riguarda Infinity invece la prima opera è una folle storia vera, la storia dell’uomo più misterioso di Hollywood, Tommy Wiseau, eccentrico personaggio che scrisse, diresse, produsse e interpretò uno dei film peggiori di sempre, The room. Tutto questo e molto di più in The disaster artist a opera di James Franco in veste di regista e protagonista, accompagnato dal fratello Dean. Il film è estremamente divertente e racconta una storia vera decisamente interessante e assurda. Passiamo poi a un film di Giuseppe Tornatore del 2013 con produzione Italiana e Americana: La migliore offerta, opera meravigliosa con Geoffrey Rush protagonista, per un film di tale spessore è inutile raccontare la trama, visto che la produzione parla chiaro: in breve Virgil Oldman è uno stimato battitore d’aste invitato a valutare le opere presenti in una villa abitata da una giovane e affascinante ereditiera affetta da agorafobia, il cui incontro gli cambierà la vita. Inutile anche stare a parlare degli innumerevoli pregi dell’opera, dove la meraviglia dell’arte si fonde all’uomo, non uno dei migliori di Tornatore, infatti il finale, per quanto meraviglioso, risulta forzato, ma sicuramente da vedere almeno una volta.
L’ultimo film di oggi è un opera spiazzante di James Gunn, famosissimo regista di I guardiani della galassia: si tratta di Super, visione cinica e realistica di un eroe improvvisato di nome Frank e della sua missione per riprendersi sua moglie da un pericoloso criminale. Il film ricorda ovviamente Kick-Ass ma decisamente più estremo, molto più violento, più cinico e con uno humor decisamente più nero. Da guardare assolutamente, ma non aspettatevi un film leggero, anzi tenetevi pronti a un finale devastante, per un’opera estremamente sottovalutata.

Joker

Joker è stato sicuramente il film più chiacchierato dello scorso anno, un’opera che ha convinto critica e pubblico, diventando istantaneamente un cult. Il film è sicuramente innovativo per il genere cinecomics e si spera aprirà una nuova generazione di film supereroistici più maturi, ma rimane comunque una pellicola non priva di difetti. Dal punto di vista tecnico l’opera si presenta molto bene, a partire dalle musiche, tutte allegre, che creano un contrasto con le atmosfere del film. Le canzoni infatti rappresentano l’unico momento di evasione del film sia per gli spettatori, sia per lo stesso protagonista Arthur, il quale danza in scene diventate già iconiche.

La regia e le scenografie trasmettono una forte sensazione di oppressione: gli ambienti risultano claustrofobici, come la piccola casa di Arthur e le macchine, metro e ascensori in cui spesso troviamo i personaggi. Nelle scene all’aperto sono presenti molte persone e altri elementi che riempiono lo schermo in maniera soffocante, in senso buono però.

La punta di diamante dell’opera è sicuramente il suo protagonista, merito della meravigliosa interpretazione di Joaquin Phoenix.

I problemi del film sono nella narrazione: l’idea di base non è affatto innovativa, sono infatti tanti i film che trattano il tema dei disturbi mentali. Mi ha divertito pensare a un parallelismo tra Joker e Forrest Gump: se a Forrest va tutto bene e ci mostra il sogno americano in cui chiunque, anche una persona con dei problemi, può essere ciò che vuole, in Joker avviene il contrario. La sua malattia non è accettata né capita, il sogno americano è morto e a lui va tutto male. La prima ora e mezza del film ci mostra solo le sfighe del protagonista, aspetto che che se da un lato ci fa immedesimare ancora di più in lui, dall’altro risulta troppo lungo e prevedibile.

Nel film sono presenti dei colpi di scena che risultano essere privi di spessore [spoiler]: Phoenix è protagonista assoluto, tanto da divorare gli altri personaggi. La sua storia d’amore con Sophie è molto tiepida e il colpo di scena legato ad essa non coinvolge, perché il film non mostra praticamente nulla della ragazza: essendo troppo concentrato su Arthur, non permette allo spettatore di affezionarsi a Sophie.

Sorte simile spetta al colpo di scena su Thomas Wayne, padre di Bruce: in una rivelazione molto confusa, prima viene detto che Arthur è suo figlio, poi dicono che non lo è, poi lo è… Finisce per essere così poco chiaro da eliminare ogni pathos.

L‘omicidio della madre rappresenta per Arthur il punto di non ritorno e la nascita di Joker, ma risulta al tempo stesso incoerente, visto che il protagonista pretende comprensione per la sua malattia mentale ma risulta spietato con la sua stessa madre, anche lei affetta da problemi mentali, toccando a mio avviso il punto più basso del film.

L’unico elemento veramente sconvolgente è il finale del film, che ribalta totalmente la situazione e il significato del film: l’opera passa infatti dalla lotta di classe a qualcosa di molto più sottile e dalla dimensione più umana. A cominciare dall’invito in TV da Murray Franklin, interpretato da Robert De Niro (riferimento importante a Il ritorno del cavaliere oscuro, fumetto di Frank Miller). Il personaggio di De Niro rappresenta un’importante critica alla televisione che, come diceva Pasolini, riesce a elevare anche degli idioti, come appunto Murray, venerati dalle persone non per loro meriti ma per il semplice fatto di trovarsi in TV. L’omicidio di Murray da parte di Joker rappresenta l’uomo comune che si libera di questi falsi simboli di superiorità, ma allo stesso tempo Joker stesso diventa un simbolo, veicolando il suo messaggio tramite la televisione e riducendo il proprio gesto ad una mera sostituzione e non una liberazione. La rivoluzione violenta che si scatena, che ha come simbolo il Joker, viene infatti resa negativa e priva di senso con la scena della morte dei genitori di Bruce Wayne. Proprio a causa di questa perdita Bruce diventerà un “pazzo” che si veste da pipistrello, un nuovo Arthur, con chiari rimandi al fumetto The killing joke di Alan Moore. Molte dichiarazioni lasciavano intendere che non vi fosse nulla di fumettistico nel film, ma i riferimenti sono tanti e, soprattutto per quanto riguarda l’opera di Moore, molto influenti sul messaggio finale del film.

La pellicola si chiude con Arthur rinchiuso nell’Arkham Asylum, instillando nello spettatore il dubbio su ciò che ha visto: che sia stata tutta una sua fantasia? Ritengo che in parte sia vero, che Arthur abbia immaginato che i suoi gesti l’abbiano trasformato nel simbolo di una rivoluzione. Il regista, in maniera molto amara, ci dice che un uomo solo non può cambiare il mondo, anzi sarebbe sbagliato. Il finale diventa un inno alla follia in cui il manicomio rappresenta una prigione mentale, da cui Joker tenta in modo rocambolesco di fuggire. Un terzo atto che eleva sicuramente il film, non tanto da renderlo un capolavoro ma sicuramente un film da vedere.

Pascal Laughier e l’insostenibilità dell’essere

Accantonata la spensieratezza delle feste è finalmente giunto il momento di parlare di qualcosa di serio, ossia un regista che, nonostante non sia stato molto prolifico (si contano infatti all’attivo solo quattro pellicole dirette da lui), ha saputo lasciare una grande impronta nel cinema horror moderno. Sto parlando di Pascal Laughier regista di Saint Ange, Martyrs (disponibile su Amazon prime video), I bambini di Cold Rock e La casa delle bambole.

La sua prima opera, Saint Ange, benché non sia molto conosciuta, mostra il talento del giovane regista, anche se la sua regia risulta ancora impersonale e derivativa del cinema di genere italiano di Fulci, Bava e Argento. Nel 2008 dirige Martyrs la pellicola che lo rese famoso a livello internazionale, che creò scandalo per la sua efferata violenza, tanto da essere inizialmente vietato ai minori di 18 anni in Francia – cosa che non accadeva da vent’anni – e, dopo un ricorso da parte dei produttori, venne ridotto a 16. Nonostante il film non sia adatto a tutti, riuscì comunque a conquistare critica e pubblico, tanto da aprirgli le porte di Hollywood dove girerà la sua opera più commerciale: I bambini di Cold Rock. La pellicola però è un flop di pubblico e critica: questo porterà Laughier a tornare al cinema indipendente con La casa delle bambole, film che conquista pubblico e critica anche se non raggiunge i fasti di Martyrs.

Le opere di Pascal Laughier sono immediatamente riconoscibili grazie ai suoi stilemi narrativi che le accomunano tra cui i più famosi sono: le protagoniste femminili – per la loro maggior sensibilità -; l’home invasion, decostruendo la casa come luogo sicuro, e i colpi di scena che ribaltano totalmente la prospettiva dei film. Infine, il più importante a mio avviso, la distruzione del concetto di famiglia.

In Saint Ange, la gravidanza della protagonista è frutto di uno stupro; in Martyrs la famiglia all’apparenza normale viene massacrata; ne I bambini di Cold Rock i pargoli vengono strappati alle loro famiglie dall’Uomo Alto e infine in La casa delle bambole l’omicidio della madre delle protagoniste.

Laughier riesce così a distruggere tutte le sicurezze dello spettatore: casa e famiglia non sono più sinonimi di sicurezza e i colpi di scena rendono imprevedibili gli sviluppi della trama, confondendoci come le protagoniste dei film. Quando niente è più sicuro tutto diventa pericolo  ed è allora che è possibile notare il fil rouge delle opere di Laughier ossia la sofferenza.

Un dolore analizzato in ogni film con un occhio diverso: in Saint Ange si affronta il calvario della malattia, che sia essa mentale o fisica, ma anche gli echi delle atrocità passate: nel film i rimandi ai nazisti e ai bambini morti dell’orfanotrofio, che gridano allo spettatore come voci nella testa di un malato, che vorremmo ignorare ma non possiamo perché parte di noi.

In Martys, l’opera più intensa di Laughier, l’accettazione del dolore: la protagonista è privata di tutto ciò che la rende una persona e tutto è sostituito dal dolore; una volta che la protagonista avrà accettato la sofferenza di lei non rimarrà nulla, tanto che verrà privata anche della sua pelle, unico suo residuo di umanità, e potrà così trascendere.

Con questo film, Laughier vuole far accettare allo spettatore il fatto che tutto ci possa venir sottratto in un attimo, donandoci la consapevolezza di essere soltanto dei sacchi di carne.

Ne I bambini di Cold rock, il dolore derivato dal proprio luogo di nascita e dalla condizione sociale, in un paese dove i bambini non hanno speranze per il futuro, compare l’Uomo Alto, un essere che rapisce bambini per chissà quali scopi, un mostro delle favole, ma questa creatura altro non è che un uomo normale che li consegna a famiglie che possano garantire loro una vita migliore, dimostrando come i mostri non esistono o, meglio, di come i veri mostri non esistano ma ciò che fa veramente paura è il domani (emblematica la scena finale con due dei bambini rapiti che si incontrano per caso con le loro rispettive nuove famiglie e si ignorano come a esorcizzare un passato che si sono lasciati alle spalle).

Ne La casa delle bambole per trovare sollievo nelle proprie fantasie per sfuggire al dolore della realtà o, per meglio dire, del diventare adulti, la giovane protagonista fugge dai suoi problemi in una realtà ideale, entrando in uno stato comatoso, diventando di fatto una bambola, con fattezze umane ma priva di volontà, finché non ritorna in contatto con la realtà e lotta per la propria vita. Passa così dall’essere una bambina, priva di volontà e fragile come una bambola, fino a diventare una donna, rinascendo nel sangue come annunciato dal primo sangue mestruale a inizio film. Una parabola della crescita in cui non tutto andrà come sperato ma bisognerà lottare perché il dolore è parte della vita di ogni adulto e bisogna affrontarlo. Ovviamente queste sono semplificazioni del dolore esistenziale descritto nei film di Laughier. Spero, almeno, che questo breve approfondimento vi spinga a scoprire o riscoprire le strazianti opere di Pascal Laughier.

Film per tutti

Finalmente è arrivato quel periodo dell’anno: Natale è alle porte e con lui è giunto freddo e le giornate sono sempre più corte… Il momento perfetto per passare qualche serata in compagnia di un buon film e una tazza di cioccolata calda. Ecco quindi una carrellata di film che potete comodamente guardare su Netflix e Prime Video, film semplici ma impattanti, che possono comunque dare molti spunti di riflessione e ottimo intrattenimento.

Cominciamo con i film Netflix. La prima opera di cui voglio parlare s’intitola American Ultra, film sottovalutato da pubblico e critica ma che secondo me riesce a descrivere perfettamente una provincia americana opprimente e senza possibilità future per i giovani, i quali non riescono a esprimere le proprie potenzialità. È la storia di una coppia, Mike e Phoebe (Jesse Heisenberg e Kristen Stewart), che vive la propria monotona vita senza aspirare a nulla di più. Fino a che Mike non scopre di essere un agente dormiente della CIA a cui stanno dando la caccia: da quel momento inizia la lotta dei due per la sopravvivenza e il loro rapporto verrà messo a dura prova. Un action molto semplice e divertente, con un ottimo cast, impossibile non empatizzare con i due protagonisti, con una regia che fa il suo dovere per un film assolutamente da vedere almeno una volta.
Passiamo a uno degli horror più divertenti e originali degli ultimi anni, ossia Quella casa nel bosco, un’opera geniale che prende tutti i cliché del cinema horror e li spiega allo spettatore in una maniera geniale e metacinematografica, come non si vedeva dai tempi di Scream. La storia narra le vicende di un gruppo di ragazzi che decide di passare qualche giorno in una casa sperduta nel bosco, ma che risveglia qualcosa di malvagio che cercherà in ogni modo di eliminarli; nel mentre qualcuno li sta osservando e sta condizionando le loro azioni per impedire loro di sopravvivere. Film consigliato a chi desidera un horror commerciale ma intelligente.
L’ultimo film Netflix di oggi è Baby Driver, film diretto dal talentuoso Edgar Wright, un action divertente e toccante, è la storia di un giovane autista per rapine, costretto a fare il driver a causa di un debito nei confronti di un boss e che un giorno conosce una ragazza di nome Deborah di cui si innamora follemente. La vera particolarità di questo film è la colonna sonora, con musiche molto belle e non banali, le scene d’azione si piegano al ritmo della musica in maniera fluida, merito di una scelta dei pezzi molto ragionata e di grande tecnica registica. Poi il film è caratterizzato dall’english humor del regista, famoso per le sue commedie, mai volgare o eccessivo ma comunque divertente. Questo in breve è Baby Driver, fatevi un favore e guardatelo.
Passiamo a Prime Video con un film recente ma che nessuno ha considerato, ossia Overlord. Ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, è la storia di una squadra di soldati americani che devono distruggere l’antiaerea nazista situata in un villaggio francese. La missione, suicida fin dall’inizio, si complica quando i nostri s’imbattono nei terrificanti esperimenti dei Nazisti. Nonostante le premesse da B-Movie il film si dimostra molto equilibrato tra orrore, dramma e azione. La tensione ci accompagna per tutto il film, fin dall’inizio ci viene fatto capire come chiunque possa morire da un momento all’altro. Molto azzeccata l’atmosfera del fronte dove nessuno è mai al sicuro, il tutto condito da elementi horror ben dosati che non sminuiscono l’efferatezza della guerra e scene action molto divertenti.
Per il prossimo film ci spostiamo nel sol levante con Shin Godzilla, diretto da Hideaki Anno, leggendario creatore di Neon Genesis Evangelion. L’opera ci presenta il Godzilla più terrificante e mostruoso di sempre, ma il focus del film è la politica. La storia è sempre la stessa, Godzilla arriva e comincia a spaccare cose, ma l’elemento veramente interessante è la classe politica giapponese che deve trovare un modo per fermarlo, mentre protegge i propri cittadini e sigla accordi internazionali. Le pesanti scene politiche sono intervallate dalla distruzione totale perpetrata da Godzilla, rendendo il film più scorrevole, anche se rallenta solo un po’ nella parte centrale. Un’opera consigliata soprattutto a chi conosce solo il Godzilla americano e vuole approcciarsi all’originale.
L’ultimo film che voglio consigliarvi è una chicca tutta italiana del maestro Mario Bava, Reazione a catena. Non intendo parlare della trama perché vi rovinerei i primi minuti del film che sono folli. L’opera è uno dei primi slasher di tutti i tempi, è uscito nel 1970, e, come suggerisce il titolo, un primo omicidio scatenerà una spirale di morte che coinvolgerà tutti i personaggi del film, fino a un finale assurdo che lascerà gli spettatori stupefatti, sta a voi decidere se in senso positivo o negativo. Sicuramente il film più borderline della lista, che potrebbe non piacere a tutti ma che ho inserito lo stesso per la sua valenza storica.

Come ultima cosa vi auguro un buon Natale e buona visione.

Madre! Uomo, Dio e Natura

Madre! di Darren Aronofsky è la storia di due coniugi i cui equilibri vengono sconvolti dall’arrivo di uno sconosciuto nella loro casa completamente isolata. Questa è, in breve, la trama (voglio evitare in ogni modo gli spoiler per questa prima parte della mia breve analisi sul film). Madre! è un gioiello sotto ogni punto di vista, dalla recitazione dei due protagonisti, Javier Bardem e Jennifer Lawrence, alla regia che mette in risalto le doti recitative della Lawrence, mai così in parte come in questo ruolo. L’unico difetto che ho trovato, dal punto di vista tecnico, sono gli effetti speciali che, per fortuna, sono pochi e non compromettono la qualità generale del film. Madre! è stato, ingiustamente dal mio punto di vista, massacrato dalla critica: addirittura, quando è stato presentato al festival del cinema di Venezia, molti critici hanno fischiato il film e abbandonato la sala. Per fortuna io, che non sono un critico, ho amato il lavoro di Aronofsky, che – ricordiamolo – ha diretto film del calibro de Il cigno nero o The wrestler, sicuramente non filmetti come Una notte da leoni (piccola frecciatina a Joker, di cui parlerò prossimamente).

Tornando al film, la storia si divide in due macro atti profondamente simili fra loro ma non per questo meno d’impatto sullo spettatore. La prima parte è più riflessiva, riuscendo comunque a tenere alta la concentrazione di chi guarda e permettendo alla nostra attenzione di concentrarsi solo sul personaggio della Lawrence. La macchina da presa, infatti, non si allontana mai dalla protagonista, dandoci il suo punto di vista per praticamente tutto il film e donando tensione a scene che altrimenti sarebbero risultate prive di mordente, se non addirittura comiche. La seconda parte mantiene il focus, ma cambia totalmente il ritmo, trasformando il film in una spirale di violenza e follia, e lasciando lo spettatore confuso e scioccato come la protagonista, fino a giungere a un finale molto criptico e surreale e per questo poco apprezzato dal grande pubblico, bisognoso di una chiave di lettura che possa spiegare un film altrimenti privo di senso per i più.

Madre! non è però un’opera da “capire”, il film funziona alla perfezione e riesce a intrattenere per tutta la sua durata: il fatto che l’opera si muova in un piano spazio-temporale proprio, e che non sia condizionata dalle leggi della fisica, ci rende più semplice accettare ciò che vediamo sullo schermo, e questa natura onirica dell’opera fa sì che “una visione chiara” risulti qualcosa di superfluo. La storia è comunque aperta a più interpretazioni, ma vorrei concentrarmi su quella che più mi ha convinto, di cui ha parlato anche il regista in alcune sue interviste, dunque considerabile più  “ufficiale” [prima di andare avanti, però, una precisazione: spero che questa breve introduzione, priva di spoiler, abbia stuzzicato la vostra curiosità e il desiderio di recuperare il film, disponibile tra l’altro su Netflix; da adesso qualche spoiler ci sarà, per chi il film l’ha già visto].

La spiegazione dell’opera parte direttamente dal titolo e dall’inconsueta scelta di inserirci un punto esclamativo, che serve a dare un senso assoluto al termine “madre”, una moderna “madre natura” rappresentata dalla Lawrence. Se la nostra protagonista è l’umanizzazione della natura, la casa è una metafora del mondo, le due entità hanno un rapporto simbiotico, le sofferenze dell’una si riflettono sull’altra. Questa considerazione deriva anche dal fatto che la struttura del film è ciclica, con eventi che vengono riproposti in un evidente ciclo di vita, morte e rinascita come in natura.

Se la Lawrence assume il ruolo di madre natura, Bardem è, invece, qualcosa di molto diverso, l’unico elemento del film non condizionato dal ciclo vita e morte, eterno, un Dio. Nel film i riferimenti biblici si sprecano, come per esempio il fratricidio di Caino e Abele, e basta dare una rapida occhiata alla locandina del film per riconoscere riferimenti all’arte classica religiosa.

L’unico elemento che manca è l’umanità, che è rappresentata dagli, per così dire, “ospiti”, che invadono la casa/madre solo perché Dio l’ha permesso. L’uomo accecato dalla fede porterà morte e devastazione all’interno della casa, fino a condurla all’autodistruzione, metafora che risulta tristemente molto contemporanea. La natura, tuttavia, rinascerà ancora, con una nuova forma, e il ciclo ricomincerà. Il film si conclude con la morte della madre e il suo amore cristallizzato è l’ultimo tributo al suo Dio amante, altra meravigliosa rappresentazione di un concetto astratto come l’amore, indicato come un cristallo puro e trasparente ma con venature ardenti di passione, un sentimento ambito da tutti, tanto che chiunque lo veda ne rimane ammaliato; è proprio questo amore a spingere la nostra divinità a ricominciare ancora e ancora il ciclo per sempre.

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