Una bellezza necessaria

Vedere Vera Lytovchenko suonare il suo violino nello scantinato di casa sua a Kharkov, sotto le bombe, mi ha fatto capire quanto l’arte, la musica in questo caso, non sia un lusso inutile ma una compagna indispensabile per continuare a sopravvivere. Vedere Elena Osipova scendere in piazza, a quasi ottant’anni, con due suoi disegni che richiamavano l’Urlo di Munch e la scritta: “Soldato, lascia cadere la tua arma e sarai un vero eroe” mi ha fatto capire quanto l’arte possa essere uno strumento potente di ribellione, in modo quasi silenzioso, contro ciò in cui non si crede. 

Picasso diceva che l’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità. L’arte ci aiuta a prendere posizione, a trasmettere dei messaggi, a imprimere nella nostra memoria la storia. L’arte è fondamentale. Come faremmo a vivere in un mondo senza musica, senza film, senza libri, senza danza, senza quadri? Sarebbe impensabile.

L’arte ha il potere invisibile di rimanerci in testa in ogni situazione. Non c’è un momento della nostra vita che non sia associato ad una canzone che stavamo ascoltando in quel periodo o ad un film che abbiamo visto. L’arte ha il potere di farci aprire gli occhi di fronte agli orrori del mondo. Perché quando vediamo certe atrocità poi non possiamo più far finta di niente.

Arte significa libertà di pensiero e di espressione. Ecco perché ai regimi dittatoriali fa paura l’arte. Durante il regime nazista tutte le forme d’arte che non riflettevano i valori nazisti erano chiamate Arte Degenerata (entartete Kunst). Oggi l’artista cinese Badiucao attraverso la sua arte di protesta denuncia il controllo ideologico e morale esercitato dal potere politico. Prima dell’arrivo dei talebani l’artista afghana Fatimah Hossaini fotografava le donne della sua terra. Oggi in Corea del Nord gli unici film messi in circolazione sono a scopo propagandistico.

Gli artisti ci regalano una bellezza necessaria. Le farfalle di Terezin disegnate dai bambini per sfuggire dalla loro triste realtà e sperare nella libertà mi ricordano quanto io sia fortunata in questo momento a potermi esprimere liberamente. Ogni giorno tutti noi in fondo creiamo arte in un modo o nell’altro. L’arte è preziosa, ci fa sentire vivi. La pittura, la scultura, la fotografia, la scrittura, l’architettura, la musica, il design, il teatro, il cinema, i fumetti, la danza sono una bellezza necessaria. 

Pietre d’inciampo: l’arte per la memoria

L’idea del progetto Pietre d’inciampo (in tedesco Stolpersteine) è nata dall’artista berlinese Gunter Demnig con l’intenzione di tenere viva nelle città europee la memoria di tutti quei deportati che dai campi di concentramento non sono più tornati a casa. Si tratta di un piccolo blocco quadrato di pietra, grande quanto un sanpietrino, ricoperto di ottone lucente, posto davanti alla porta delle case in cui vivevano le vittime. Si vuole ricordare il loro nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione e la data di morte. Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si è ridotto soltanto a numero.
Ovviamente non è possibile inciamparvi davvero, poiché sono a livello della pavimentazione. Chi non le vuole vedere ci passa semplicemente sopra. Non sono invadenti. Forse è proprio questo il segreto del loro grande successo: il loro carattere discreto e modesto. Niente espedienti per richiamare l’attenzione, nessun gesto eclatante. Le pietre d’inciampo giacciono semplicemente lì come modello antitetico al memoriale monumentale.

Ma come è nato il progetto? «Ho iniziato il progetto per ricordare lo sterminio del popolo Rom nel ’94, dopo aver assistito a una cerimonia in strada per commemorare i gypsy deportati. Durante quella cerimonia venne fuori una signora a dire che non era vero che erano stati deportati. Allora decisi di rimettere le cose a posto e diedi vita a questa iniziativa. Le pietre sono prima di tutto per i parenti che altrimenti non avrebbero un posto dove piangere i loro cari morti in quegli anni. Come dice il Talmud ebraico, quando il nome di una persona è scritto, non si disperde la memoria di quell’uomo o quella donna» dice Demnig.
La prima pietra fu posata a Colonia, nel 1995. Un anno dopo a Berlino ne vennero portate altre in occasione della mostra Künstler forschen nach Auschwitz (Gli artisti esplorano Auschwitz). Da allora, è diventato il suo progetto di vita: ha posato oltre 70mila pietre in 24 Paesi Europei, sempre davanti all’ultima abitazione delle vittime dello sterminio nazista. Il suo messaggio: l’orrore non iniziò ad Auschwitz o Buchenwald, ma fra di noi. Tra i vicini che fecero finta di non vedere, tra gli amici che non trovarono il coraggio d’intervenire. L’obiettivo è quindi collegare la storia con il presente nel luogo simbolo della vita quotidiana, la loro casa. Grazie a un passaparola tanto silenzioso quanto efficace, oggi si incontrano Pietre d’Inciampo in oltre duemila città sparse in tutta Europa. In Italia, le prime Pietre furono posate a Roma nel 2010 e attualmente se ne trovano a Bolzano, Genova, Milano, Torino, Venezia e altre città. Nella provincia di Cuneo, a Dronero, l’artista tedesco ha posato cinque pietre d’inciampo dedicate a cinque cittadini droneresi arrestati il 2 gennaio 1944 e deportati nel campo di sterminio di Mauthausen dove trovarono la morte.

Il mosaico di pietre d’inciampo è diventato il più grande monumento diffuso del mondo. È una valanga inarrestabile: da una piccola iniziativa privata è nato un vasto movimento d’impegno civile che continua a crescere affinché l’indifferenza e l’odio non siano più il motore di molti di noi.

Moriremo tutti cinesi?

Moriremo tutti cinesi? È la domanda che si pone Federico Rampini quando scrive La seconda guerra fredda: lo scontro per il nuovo dominio globale (2019). Il giornalista, corrispondente per lungo tempo nel paese asiatico, avvisa il lettore che è cominciata una seconda guerra fredda, che sarà profondamente diversa dalla prima. Cambieranno molte cose per tutti noi. Nella sfida tra America e Cina nessuno potrà rimanere neutrale. Ogni terreno sarà investito dal nuovo conflitto: dall’economia alla tecnologia, dai valori politici e alla cultura. Il mondo è cambiato molto più di quanto noi occidentali ci rendiamo conto.

Il tramonto del secolo americano è vicino e la possibile transizione al secolo cinese è dietro l’angolo. Negli ultimi anni la Cina ha subito una metamorfosi sconvolgente: ci ha sorpassati nelle tecnologie più avanzate, e ora punta alla supremazia nell’intelligenza artificiale e nelle innovazioni digitali. È ormai protagonista a tutti gli effetti negli scenari dello Spazio. Nelle infrastrutture cinesi sfavilla la modernità: tra i bullet train ad alta velocità e il mega aeroporto di Pechino.
È estremamente all’avanguardia nella modernità ma rimane un regime autoritario, ancora più duro e nazionalista sotto Xi Jinping. Ad esempio, molte videocamere e dispositivi di sorveglianza h24 sono stati piazzati in alcune parti del paese per controllare la popolazione. Tutto questo non sembra poi così lontano dal distopico «Big Brother is watching you» in 1984 di Orwell. Ma la Cina ne va fiera. In Africa è in corso un’invasione cinese di portata storica.
Ma non solo, anche noi italiani siamo coinvolti nel progetto cinese: infatti l’Italia è terreno di conquista per le Nuove Vie della Seta. La Nuova Via della Seta è un ambizioso progetto infrastrutturale, commerciale e strategico che collega la Cina con l’Europa. Quando verrà ultimata sarà la più importante via commerciale e strategica tra l’Oriente e l’Occidente. La destinazione finale della importante tratta marittima è Venezia. È possibile pensare come il più grande progetto infrastrutturale del globo debba passare per la città d’arte più famosa d’Europa?

La Cina sta già finanziando attività in Europa, sotto forma di prestiti, per lo sviluppo sia di porti che di collegamenti ferroviari efficienti e moderni, oppure immettendo soldi per acquistare o per accedere alla compartecipazione nella gestione di aziende statali europee. La Repubblica popolare è il primo partner commerciale per molte nazioni occidentali. In Italia, per il momento la Cina controlla il 49% del porto di Vado Ligure.
Oltre a ciò squadre di calcio italiane sono in mano ai cinesi così come molte università italiane. La Cina sta intensificando gli scambi e le partnership con le università italiane, incrementando i centri di ricerca. La questione sui rischi connessi ad accademie e centri di ricerca finanziati dal governo cinese è centrale in Europa già da tempo. In Italia finora la politica è rimasta piuttosto afona. Ma il problema comunque esiste. I nostri atenei hanno una grande carenza di fondi e il fatto che ne arrivino da aziende cinesi dà la possibilità di proseguire svariati progetti. Bisogna però considerare anche il rovescio della medaglia: non si tratta di beneficienza ma la Cina vuole in cambio tecnologia e know-how senza troppi controlli.

L’America si è convinta che, «ora o mai più», la Cina va fermata. Chi sta in mezzo, come gli Europei, rimarrà stritolato? Nessuno è veramente attrezzato ad affrontare la tempesta in arrivo. Questo progetto egemonico cinese sostiene il grande sviluppo economico ma persegue allo stesso tempo un piano di chiusura verso l’informazione e la libera circolazione delle idee. È il paradosso di questa superpotenza. Se l’Occidente resterà unito forse avrà una speranza di non morire cinese. 

LATE BLOOMERS

A 6 anni devi saper leggere, a 13 devi avere già un’idea di cosa vuoi fare da grande perché devi scegliere la scuola più adatta a te per prossimi cinque anni, a 18 devi prendere la patente e il diploma e quindi scegliere cosa fare della tua vita, a 22 tocca alla prima laurea e magari a un fidanzato/a, a 30 dovresti avere un buon lavoro e iniziare a pensare alla famiglia e così via per il resto delle nostre vite.

Fin da piccoli impariamo che per ottenere l’approvazione degli altri ed essere felici è necessario soddisfare alcuni standard entro determinati archi di tempo. Ci deve essere un obiettivo per ogni ambito della nostra vita: dall’essere i migliori a scuola ad andare all’università per poi avere un lavoro come si deve. Ci viene insegnato che c’è un’età adatta per tutto. Traguardi da raggiungere necessariamente entro un preciso periodo di tempo. Tutto questo forse perché è più facile categorizzare tutto per non pensarci. Sapere esattamente cosa sia giusto fare in ogni momento della vita. Seguire delle istruzioni sociali per non essere giudicati. Nessuno ti potrà giudicare se a 19 anni fai l’università ma se sei fuori corso a 25 anni o se torni a studiare a 40 anni allora lì sì che è un problema. Ma c’è davvero un’età giusta per tutto? Tanti hanno paura di essere indietro rispetto alle tappe della vita che la società considera consone per loro. Un fenomeno che tra i giovani si è addirittura acutizzato in questo periodo perché ci si sente di “aver perso tempo”. Negli ultimi due anni i dati su ansia, depressione e tasso di suicidi tra gli adolescenti ci dimostrano come questa pressione, in molti casi, sia diventata insostenibile. Anche se in parte è normale che certi eventi ci accadono in determinati periodi della nostra vita,certe volte la pressione sociale intorno al raggiungimento di alcune tappe è esasperata e non tiene conto della storia personale di ognuno di noi. Questo porta le persone a sentirsi inadeguate se non raggiungono gli stessi obiettivi dei loro coetanei in una tempistica adeguata. Essere fuori dagli standard viene vissuto come una vergogna. Il bello è che siamo tutti intrappolati in questi meccanismi, chi più chi meno, ne siamo inevitabilmente condizionati. Ma se fossimo dei Late Bloomers? Forse non siamo tarati per rispettare alla lettera gli standard imposti dalla società. Forse siamo delle persone che “sbocciano tardi” cioè sviluppano talenti e capacità anni dopo i propri coetanei, a volte superandoli. Sono spesso persone considerate indietro rispetto alle tappe della vita ma che hanno solo bisogno di aspettare il momento giusto per sbocciare. La vita non è una legge fisica universale: J.K.Rowling era una madre trentenne e disoccupata quando riuscì a pubblicare il libro Harry Potter diventando così famosa in tutto il mondo. Julia Child ha scoperto una passione sfrenata per la cucina francese a 50 anni, diventandone uno dei massimi esperti mondiali.

Pensare di essere troppo vecchi per cambiare, arrendersi e seguire la corrente è la strada più semplice che ci viene in mente. Bisogna trovare il coraggio di ascoltare il proprio bisogno di lentezza, il proprio tempo interno. Presto o tardi l’importante è trovare la propria strada per fiorire. Meglio essere Late Bloomers che sentirsi sbagliati per tutta la vita senza riuscire a cambiare.

Questo non è normale

«NON È NORMALE che si organizzino dibattiti con soli maschi e il punto di vista delle donne venga escluso.

NON È NORMALE che le atlete, anche quando vanno alle Olimpiadi o ai Mondiali, siano sempre dilettanti.

NON È NORMALE che il governo faccia task force, comitati, nomine e si dimentichi di inserirvi le donne.

NON È NORMALE questo e molto altro».

È così che comincia il libro Questo non è normale. Come porre fine al potere maschile sulle donne scritto da Laura Boldrini, deputata del PD ed ex presidente della Camera.
È un saggio dedicato a una grande battaglia di civiltà, che, mettendo in fila fatti, testimonianze e storie, fotografa un’Italia basata ancora sul modello patriarcale. La scrittrice riflette sulle discriminazioni di tutti i giorni, in ogni ambito della società. Ad ogni capitolo utilizza una parola chiave di presentazione (dominare, svilire, annientare, intimidire) per accompagnare il lettore fino al momento culminante del «mollare gli ormeggi», ovvero rompere il silenzio. 

Si parte proprio con un elenco di proverbi ritenuti espressione della saggezza popolare come «Donne e buoi dei paesi tuoi», «Donna al volante pericolo costante», «Donna baciata mezza guadagnata». Tutti frutto di una cultura maschilista dalla quale non abbiamo ancora preso le distanze perché purtroppo vengono pronunciati ancora oggi. Si vuole portare l’attenzione su cos’è il patriarcato: è patriarcato che nei libri sia il papà che lavora mentre la mamma fa le torte e stira, che la madre non possa trasmettere il proprio cognome ai figli, che i bambini abbiano a disposizione giochi che ne stimolano l’ambizione e la creatività mentre alle bambine sono destinate bambole e pentoline.
Inoltre il sessismo non è normale: ovunque campeggiano in maggioranza busti e ritratti di soli uomini, su cento vie non più di cinque sono dedicate alle donne, se sei una «donna con le palle» allora sei in gamba, se sei un uomo che «piange come una femminuccia» sei un debole.
Escludere le donne dal dibattito pubblico non è normale: è un modo per oscurale e controllarle. È fondamentale il punto di vista femminile nei media, ma in Italia i talk show televisivi sono dominati dagli uomini e le donne intervengono al massimo come moderatrici.
Il fenomeno della violenza di genere perpetrata nei confronti delle donne in quanto donne, e per nessun’altra ragione, è allarmante. Il femminicidio da parte di mariti, compagni, figli che dovrebbero soltanto amare non è assolutamente normale. E noi lo raccontiamo in tv dicendo che è la donna che se l’è cercata perché aveva il vestito troppo scollato o la minigonna, che è lei che l’ha provocato.
Oltre a ciò la Boldrini si sofferma su una questione che la riguarda da vicino: l’odio misogino. Le brutali minacce e l’odio incontrollato dilagano non solo online nei confronti di molte donne, soprattutto quelle che hanno il coraggio di alzare la voce e prendere posizioni scomode. Qui la denuncia è importantissima per far sì che non si sminuiscano questi fatti con doppi sensi, risate e luoghi comuni facendo finire tutto nel dimenticatoio.
Le donne devono sormontare i pregiudizi nel lavoro, nello sport, nei contesti processuali. Vi è poi la grande battaglia dell’aborto. In Italia l’obiezione di coscienza fa sì che si possa usufruire dell’interruzione di gravidanza in maniera molto limitata.
L’autrice arriva poi a chiedersi: ma perché nell’agenda della politica italiana si tende a rimuovere il femminismo? Perché si ritiene «roba da donne» la bassa occupazione femminile e la disfunzione del welfare, anziché un’emergenza? Perché il più grande partito progressista italiano, paladino dei diritti e dell’inclusione, è composto principalmente da uomini? La scrittrice suggerisce: «fino ad ora in Italia si sono succeduti sessantasette governi, tutti a guida e impronta maschile: non mi pare che le cose siano andate e vadano benissimo. Per quale motivo, allora, non vogliamo lasciare spazio alle donne, cioè alla maggioranza della popolazione?».

Per concludere viene presentata una figura politica importante ma spesso dimenticata dalla storia: Salvatore Morelli. Un femminista ante litteram che immaginava una società in cui anche le donne avessero diritti e potessero esprimere le loro opinioni. Fu il primo in Europa a presentare un progetto di legge per l’abolizione della schiavitù domestica e fu anche il primo a capire che si trattava di un’emergenza sociale che si sconfigge con le leggi ma anche con un cambiamento di mentalità.
Bisogna dunque essere vigili e fare un pezzo di strada nella società perché solo le leggi non bastano se il paese non segue. Se quotidianamente accettiamo queste storture della società non ci possiamo poi lamentare. Invece se vogliamo veramente cambiare le cose dobbiamo fare democrazia attiva. 

Se tutto questo non è normale per noi, dobbiamo alzare la voce e gridare BASTA:

«Se non cambiamo innanzitutto la nostra quotidianità, se non rifiutiamo le tante piccole e grandi ingiustizie avallate come normali da millenni di pregiudizi, non vi sarà mai quel mutamento necessario per vivere bene e non esistere e basta».

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