L’idea del progetto Pietre d’inciampo (in tedesco Stolpersteine) è nata dall’artista berlinese Gunter Demnig con l’intenzione di tenere viva nelle città europee la memoria di tutti quei deportati che dai campi di concentramento non sono più tornati a casa. Si tratta di un piccolo blocco quadrato di pietra, grande quanto un sanpietrino, ricoperto di ottone lucente, posto davanti alla porta delle case in cui vivevano le vittime. Si vuole ricordare il loro nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione e la data di morte. Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si è ridotto soltanto a numero.
Ovviamente non è possibile inciamparvi davvero, poiché sono a livello della pavimentazione. Chi non le vuole vedere ci passa semplicemente sopra. Non sono invadenti. Forse è proprio questo il segreto del loro grande successo: il loro carattere discreto e modesto. Niente espedienti per richiamare l’attenzione, nessun gesto eclatante. Le pietre d’inciampo giacciono semplicemente lì come modello antitetico al memoriale monumentale.

Ma come è nato il progetto? «Ho iniziato il progetto per ricordare lo sterminio del popolo Rom nel ’94, dopo aver assistito a una cerimonia in strada per commemorare i gypsy deportati. Durante quella cerimonia venne fuori una signora a dire che non era vero che erano stati deportati. Allora decisi di rimettere le cose a posto e diedi vita a questa iniziativa. Le pietre sono prima di tutto per i parenti che altrimenti non avrebbero un posto dove piangere i loro cari morti in quegli anni. Come dice il Talmud ebraico, quando il nome di una persona è scritto, non si disperde la memoria di quell’uomo o quella donna» dice Demnig.
La prima pietra fu posata a Colonia, nel 1995. Un anno dopo a Berlino ne vennero portate altre in occasione della mostra Künstler forschen nach Auschwitz (Gli artisti esplorano Auschwitz). Da allora, è diventato il suo progetto di vita: ha posato oltre 70mila pietre in 24 Paesi Europei, sempre davanti all’ultima abitazione delle vittime dello sterminio nazista. Il suo messaggio: l’orrore non iniziò ad Auschwitz o Buchenwald, ma fra di noi. Tra i vicini che fecero finta di non vedere, tra gli amici che non trovarono il coraggio d’intervenire. L’obiettivo è quindi collegare la storia con il presente nel luogo simbolo della vita quotidiana, la loro casa. Grazie a un passaparola tanto silenzioso quanto efficace, oggi si incontrano Pietre d’Inciampo in oltre duemila città sparse in tutta Europa. In Italia, le prime Pietre furono posate a Roma nel 2010 e attualmente se ne trovano a Bolzano, Genova, Milano, Torino, Venezia e altre città. Nella provincia di Cuneo, a Dronero, l’artista tedesco ha posato cinque pietre d’inciampo dedicate a cinque cittadini droneresi arrestati il 2 gennaio 1944 e deportati nel campo di sterminio di Mauthausen dove trovarono la morte.

Il mosaico di pietre d’inciampo è diventato il più grande monumento diffuso del mondo. È una valanga inarrestabile: da una piccola iniziativa privata è nato un vasto movimento d’impegno civile che continua a crescere affinché l’indifferenza e l’odio non siano più il motore di molti di noi.