Tra falò sulla spiaggia e isole caraibiche da sogno: come la serie Outer Banks alimenta il nostro desiderio di estate

Negli ultimi anni il famosissimo sito di streaming americano Netflix ci ha abituati a diverse serie cult, iniziando da Stranger Things, passando per La casa di carta e arrivando a Rick and Morty , eppure tutte queste non riescono a trasmettere la voglia di festeggiare sulla spiaggia e godersi la bella stagione come Outer Banks, serie ideata da Josh e Jonas Pate e da Shannon Burke, che tocca diversi temi quali: l’amore adolescenziale, le differenze sociali, la ricerca di un tesoro perduto e la vendetta.

La serie parla di un giovane, John B. Routledge, che insieme al suo gruppo di amici detti Pogues (termine che riprende il nome di un pesce, in inglese Pogie, che, come detto fin da subito proprio dal protagonista, è un tipo di animale che viene pescato molto facilmente ma che viene subito rilasciato in quanto inutile) cerca di trovare suo padre, scomparso da ormai otto mesi per cercare il tesoro presente sulla Royal Merchant, una nave affondata qualche secolo prima, per la quale ha dedicato gli studi di una vita. Nel suo cammino per riconciliarsi con Big John Routledge, John B. affronta innumerevoli peripezie, che lo portano anche a legarsi sentimentalmente con Sarah Cameron, figlia del ricco imprenditore Ward, e componente principale dell’altra classe sociale presente sull’isola, ovvero i Kooks. Essi compongono la parte ricca delle Outer Banks, e ciò porta loro a disprezzare il gruppo del protagonista, dato che i Pogues sono ragazzi scapestrati e anticonformisti, i quali vivono ai limiti della legalità. L’amore tra i due è però un sentimento che trascende i limiti imposti dalla società, motivo per cui i giovani si allontanano dalla loro casa per seguire il tesoro perduto fino alle Bahamas, contando solo su loro stessi.

Successivamente, la coppia riesce a riconciliarsi con i restanti ragazzi al fine di fronteggiare una minaccia incombente, vero motore della trama della serie. Durante le tre stagioni, divise ognuna in dieci episodi, i protagonisti viaggiano moltissimo, arrivando addirittura a isole deserte con paesaggi mozzafiato, accrescendo la nostra sete di scoprire tutte le meraviglie naturalistiche che il pianeta Terra può offrire, possibilmente in periodi in cui il clima è favorevole come in quelli estivi.

In particolare, se si vogliono visitare i paradisi terrestri dove è stata girata Outer Banks, c’è bisogno di prendere una crociera per le Barbados, cosicchè si abbia la possibilità sia di fare delle vacanze dall’altre parte del mondo e in luoghi fantastici, sia di potersi recare negli ambienti presenti nella serie, come la Cove Spring House. Oltre a ciò in diversi episodi i personaggi, soprattutto coloro che fanno parte della classe dei Krooks, organizzano vari party sulla spiaggia, durante i quali spesso ci si raduna intorno ad un falò, elemento immancabile durante un evento del genere.

Per queste motivazioni, personalmente credo che Outer Banks sia una serie adatta ad un pubblico prettamente giovane, che possa aver provato sulla propria pelle quelle esperienze di amicizia, amore e condivisione di momenti significativi onnipresenti nelle diverse puntate, che possa prendere spunto dalle avventure vissute da John B. and co. per passare un’estate all’insegna del divertimento, e chissà se anche a ritrovare qualche tesoro perduto da secoli…

 

Arturo Nathan ed il mare della solitudine

Con l’articolo di oggi inizierà una piccola rubrica di brevi pillole su artisti significativi nel panorama nazionale spesso dimenticati.

Per l’appuntamento di oggi parleremo di un artista poco noto al grande pubblico: Arturo Nathan. Triestino, nato nel 1891 si avvicina al mondo dell’arte da autodidatta ma la sua formazione è legata al clima romano degli anni ’20 di Giorgio De Chirico.

Le sue opere sono spesso ricondotte a sentimenti di disperazione e lacerazione, sensazioni amplificate dal suo destino, l’artista morì infatti nel 1944 nei campi di concentramento nazisti.

La pittura è spesso filosofica, ricca di riferimenti ai grandi maestri britannici come Turner che Nathan ebbe modo di studiare durante un suo soggiorno a Londra nel 1911. Ulteriori influenze derivano dall’entourage culturale di cui si circondava, costituito da psicanalisti come Edoardo Weiss, Linuccia Saba, dai più colti filosofi e pittori italiani del momento.

Le opere della sua maturità sono estremamente legate al mondo del mare, un elemento simbolo di casa, di quella Trieste che fin da piccolo lo attrae, ma che riconduce irrimediabilmente alla solitudine dell’uomo di fronte alla vita, al ricordo del passato.

Il suo è un mare, quello dei sentimenti di un uomo “nostalgico del mito”, come lo definisce lo stesso Vittorio Sgarbi, attore di una scena infinitamente silenziosa.

Molti quadri si caricano di simboli come statue, barche, cavalli che sono al contempo elementi scenografici e onirici dai quali emerge una solitudine totale, che non offre vie di scampo, fatta di luci fredde e sinistre in cui si avverte costantemente il terribile presagio della morte.

Nathan fu un artista interessante, al passo coi tempi arrivando a creare una “metafisica del mare” che sarà molto lodata dallo stesso Giorgio De Chirico.

Dopo la sua morte avvenuta nel terribile campo di sterminio di Biberac, sono molti coloro che hanno voluto omaggiarlo organizzando esposizioni e mostre personali in suo onore.

 

Casa nostra va a fuoco

La senti la puzza di bruciato, l’odore di gomma sciolta a causa del caldo? Non è immaginazione, il mondo intorno a te si sta surriscaldando e se non agisci in fretta presto andrà a fuoco.

Il cambiamento climatico è un fenomeno che esiste e riguarda tutti noi. Le cause che lo provocano sono molteplici, iniziamo da qualche dato che fa venire la pelle d’oca: servono migliaia di tonnellate di petrolio e vengono emesse milioni di tonnellate di CO2 per produrre una bottiglia di plastica.

Secondo alcune statistiche negli ultimi 10 anni è stata prodotta più plastica di quanto si sia fatto nel secolo precedente. La metà dei prodotti sono usa e getta, ma essendo la plastica indistruttibile, dove finisce quando viene gettata? Ricopre terre e oceani. Il WWF, ha stimato che oggi vi siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani e che nel 2050 avremo, in peso, più plastica che pesci.

Tali rifiuti, a causa dei raggi ultravioletti, del sale e delle onde del mare, si disintegrano in piccoli pezzi di microplastica, ricca di veleno tossico, che viene poi ingerita dai pesci che mangiamo.

Avete presente i braccialetti della 4Ocean? Semplicissimi: uno spaghetto bianco in cui sono infilate perle di vetro trasparente. 4Ocean è un’associazione nata negli Stati Uniti il cui obiettivo è ripulire gli oceani. Le bottiglie raccolte vengono riciclate e usate per costruire un braccialetto. Per ogni bracciale venduto 4Ocean rimuove il corrispettivo di un chilo di immondizia.

I volontari sono riusciti a raccogliere circa 40 mila chili di rifiuti dalle spiagge e dalle acque di USA, Caraibi e Canada in meno di un anno: non male come iniziativa.

Altro fenomeno che contribuisce al cambiamento climatico è il greenhouse effect.

L’anno scorso Paul Nicklen, fotografo di National Geographic, ha ripreso un orso polare morente alla disperata ricerca di cibo in Somerset Island, isola dell’arcipelago artico canadese. Ha commentato dicendo “This is what climate change looks like” e ha ragione.

I gas che vengono rilasciati nell’atmosfera creano una bolla attorno alla Terra: più CO2 viene emessa, più la bolla si irrobustisce e trattiene il calore, portando il nostro pianeta a temperature elevatissime.

Nel momento in cui le temperature si alzano, i ghiacciai si sciolgono: ciò modifica l’habitat e la salute degli animali, ma è anche la causa scatenante di moltissimi disastri ambientali. In futuro molte aree dovranno essere abbandonate perché diventate invivibili.

Ansia? É giusto essere consapevoli di ciò che sta succedendo in modo da poter intervenire e cercare di rimediare. C’è ancora speranza, la stessa che i volontari di 4Ocean vogliono trasmettere.

Il 20 agosto 2018 Greta Thunberg, sedicenne svedese, ha dato il via alle sue proteste contro il cambiamento climatico sedendosi davanti al parlamento svedese in compagnia di un cartello su cui c’era scritto “Skolstrejk för klimatet”: sciopero scolastico per il clima.

In un primo momento nessuno le aveva prestato attenzione, ora migliaia di adolescenti seguono il suo esempio e scendono in piazza per ricordare a tutti le responsabilità in materia di cambiamento climatico. Greta è la promotrice dello sciopero internazionale degli studenti per il clima indetto per il 15 marzo ed è riuscita dove organizzazioni enormi come Greenpeace hanno fallito.

Se usare i combustibili fossili minaccia la nostra esistenza, come è possibile che continuiamo ad usarli? Perché nessuno parla dei pericoli del cambiamento climatico che è già in corso? E che 200 specie animali si estinguono ogni giorno? Sento la gente dire che il cambiamento climatico è una minaccia alla nostra esistenza, però tutti vanno avanti come se niente fosse”.

L’Unione Europea si è mobilitata per prendere provvedimenti. Tra gli obiettivi c’è quello di ridurre entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra dell’80-95% rispetto ai livelli degli anni ’90 e di incoraggiare investimenti in tecnologie verdi.

Ognuno di noi, nel suo piccolo, può darsi da fare. Volete qualche consiglio? Eccone alcuni:

  1. investire di più nei mezzi pubblici e nella mobilità ciclabile;

  2. scegliere energia rinnovabile o diventare soci di cooperative che la immettono sul mercato;

  3. evitare l’usa e getta, preferire il riusabile;

  4. avere cura dell’ambiente, supportando l’agroecologia e rispettando gli ecosistemi vitali del pianeta;

  5. comprare frutta e verdura locale, di stagione e biologica. Per i più coraggiosi eliminare carne e latticini provenienti da allevamenti industriali.

La crisi del clima è un’emergenza che non ammette soluzioni sfumate, bisogna intervenire ora, collaborare ogni giorno e prevenire: noi giovani più di tutti dobbiamo renderci conto che se non si fa qualcosa subito il nostro futuro, quello dei nostri amici, dei nostri figli e dei loro nipoti è a rischio. Come ha esplicitato Greta Thunberg: Voglio che passiate all’azione e facciate come si fa in qualsiasi emergenza. Voglio che facciate come se casa vostra stesse andando a fuoco. Perché sta andando a fuoco”.

EMILIO SALGARI. Il grigio della vita, il colore della letteratura

«La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere»: queste sono le parole vergate da Emilio Salgari, autore di romanzi e racconti d’avventura, padre del pirata Sandokan e del Corsaro Nero. Già, perché il celebre scrittore, a scapito di ciò che si potrebbe pensare, visse una vita tormentata, di segno opposto rispetto a quella dei protagonisti dei suoi libri. Veronese di nascita, a sedici anni si trasferì a Venezia per compiere i suoi studi all’Istituto Nautico; il suo sogno? diventare capitano di una nave. Il desiderio, però, non si avverò, perché Emilio interruppe gli studi al secondo anno di corso, dopo essersi imbarcato solamente una volta. Pochi furono i viaggi reali che compì, molti, invece quelli mentali e fantastici: i romanzi di Dumas e Verne, i libri della biblioteca civica, le mappe, gli atlanti e la sua mente vulcanica gli permisero, infatti, di conoscere terre lontane senza mai spostarsi; «scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli», affermò, a ragione. Egli fu, quindi, un autore di libri di avventura decisamente poco avventuroso; quello che desiderava fare e che, per una qualche ragione, non era in grado di mettere in atto nella realtà, riusciva a realizzarlo solamente grazie a carta e penna.

Terminata la poco fortunata esperienza scolastica, si dedicò all’attività giornalistica e iniziò a pubblicare i suoi primi racconti e romanzi. A trent’anni sposò un’attrice di teatro, Ida, che gli diede tre figli. Dopo la nascita della primogenita, la famiglia si trasferì in Piemonte, nel canavese; a quest’altezza cronologica, il nome dello scrittore non era ignoto, anzi, Salgari aveva raggiunto un discreto successo, anche se non era ben visto nei circoli letterari, perché i suoi romanzi venivano considerati troppo moderni e di poco spessore. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento diede alle stampe quello che è considerato il suo capolavoro, Il corsaro nero; il successo non fu mai accompagnato dalla prosperità economica: l’autore, difatti, visse una vita instabile e non riuscì né a far fruttare, a livello pecuniario, il proprio talento né a gestire gli scarsi guadagni. Infine, dopo la parentesi canavese, i Salgari si trasferirono per qualche anno a Genova, per poi tornare definitivamente in Piemonte, questa volta a Torino, in Corso Casale.

La malinconia fu un sottofondo costante della vita dello scrittore e diventò più acuta all’inizio del Novecento, quando Ida – moglie di Emilio – iniziò a dare segni di squilibrio e venne internata al manicomio; inoltre, anche la figlia Fatima non godeva di buona salute, poiché si ammalò di tisi. A questo punto, i debiti si moltiplicarono; lo scrittore iniziò a scrivere incessantemente, senza quasi ricontrollare ciò che ideava, per sostentare la famiglia e pagare le cure a Ida.

La vita di Emilio Salgari, a differenza dei suoi libri, non ebbe un lieto fine; nel 1909, l’autore tentò il suicidio e nel 1911 ripeté il gesto efferato, riuscendo nell’intento. L’epilogo della storia è degno di un’opera tragica: il romanziere, prima di togliersi la vita, scrisse alcune lettere – ai familiari, ai giornali, agli editori –, poi salì sul tram armato di rasoio e, giunto nel bosco di San Martino, nella zona collinare appena sopra Corso Casale, si uccise con la pratica giapponese dell’harakiri, squarciandosi l’addome e la gola; il suo corpo dilaniato venne successivamente ritrovato da una domestica. Persino il funerale passò in sordina, perché coincise con i festeggiamenti, nel capoluogo piemontese, per i cinquanta anni dell’Unità d’Italia.

Le ultime lettere attestano la premeditazione del suicidio, nonché l’amarezza dell’autore; Salgari si rivolse così agli editori, denunciando la propria condizione: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna». Ai figli, invece, scrisse di non potere lasciare loro che pochi soldi: «Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 […]».

La vera, inestimabile, eredità che lo scrittore ha lasciato è, in realtà, costituita dai moltissimi libri partoriti dal suo genio: ammontano a ottanta i romanzi attribuiti con certezza a Salgari, mentre altre opere vengono ritenute apocrife; al numero dei romanzi, poi, si deve aggiungere quello dei racconti, come prova della fecondità e della grandezza dell’autore veronese.

*Questo articolo è stato tratto dal decimo numero del magazine di 1000miglia, scaricabile al link https://www.1000-miglia.eu/wp-content/uploads/2017/11/1000MIGLIA-MAGAZINE-NOVEMBRE-2017.pdf

La Linea D’Ombra

Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare – il mare – nell’aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord.
La spiaggia. E il mare.
Potrebbe essere la perfezione – immagine per occhi divini – mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità – verità – ma ancora una volta è il salvifico granello dell’uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un’inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore.

A. Baricco, Oceano Mare

Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di che cosa?

Alla ricerca del mare nel mare.
Il pittore di Baricco ha la presunzione e il desiderio profondo di dipingere il mare con il mare. E la sua ricerca è continua: arriverà a dipingere innumerevoli tele, con l’obiettivo di avvicinarsi ogni giorno di più alla sua idea di perfezione artistica.
Ognuno di noi ha bisogno di sogni per vivere.

Solo i giovani hanno di questi momenti. Non intendo dire i giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. È privilegio della prima gioventù vivere in anticipo sui propri giorni, nella bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezione.
Uno chiude dietro di sé il cancelletto della fanciullezza – ed entra in un giardino incantato. Là persino le ombre rilucono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha un suo fascino. E non perché sia una terra tutta da scoprire. Si sa bene che l’umanità intera l’ha percorsa in folla. È la seduzione dell’esperienza universale, da cui ci si attende una sensazione singolare o personale: un po’ di se stessi.

J. Conrad, La linea d’ombra

Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di  che cosa?

Alla ricerca del tempo indefinito dell’essere adulto.
E così che il Capitano di Conrad si ritrova a dover affrontare la linea d’ombra, che non gli permette di conoscere ciò che sta al di là, ciò che lo aspetta.
Galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare
ma questa linea d’ombra non me lo fa incontrare.

Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di che cosa?

Ricerca continua, futile, lenta, infruttuosa, contorta, interrotta, scientifica, costosa, sbagliata, distratta, fantasiosa, provocatoria, artistica, comica, sospetta, comprensibile, condivisa.

Ricerca di un viaggio, che è attesa e domanda, feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie a fiumi.

Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di che cosa?

Coraggio.

Domani andrò giù al porto
E gli dirò che sono pronto a partire
Getterò i bagagli in mare,
studierò le carte
e aspetterò di sapere
Per dove si parte,
quando si parte
E quando passerà il monsone dirò:
Levate l’ancora!
Dritta, avanti tutta
Questa è la rotta
Questa è la direzione
Questa è la decisione

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