Laboratorio di teatro dell’oppresso a Cuneo: rivivere un’oppressione, cercare soluzioni condivise e…divertirsi insieme!

Il 12 e 13 settembre ho preso parte ad un’iniziativa molto particolare che si è svolta a Cuneo, presso il Parco della Gioventù, dove è stato allestito il circo contemporaneo Zoé in città e in collaborazione con delle associazioni del territorio, quali Micò Aps e Fondazione Nuto Revelli.  In particolare, si è voluto coinvolgere anche giovani membri dei progetti Start the change (https://www.startthechange.eu) e P.E.E.R (“Praticare Eguaglianze Esercitare Resistenze” realizzato da Micò Aps, Fondazione Nuto Revelli, Arcigay Cuneo GrandaQueer e Ora e Sempre all’interno del bando “Mondo Ideare” finanziato dalla Fondazione Crc).

Il titolo dell’attività già mi ispirava molto: Laboratorio di teatro dell’oppresso e forum, ma è stata la mia partecipazione in prima persona a confermare l’interesse. In realtà, non sapevo assolutamente di cosa si trattasse, come molti dei partecipanti, ma mi sono buttata e devo dire che ne sono rimasta molto soddisfatta. Conducevano il laboratorio due esperti provenienti da Torino: Monica Prato, psicoterapeuta e attrice e Paolo Pollarolo, antropologo africanista ed economista.

Vi starete chiedendo: “Cos’è il Teatro dell’oppresso?”.

Il TdO è un metodo teatrale molto potente e coinvolgente che utilizza varie tecniche, giochi ed esercizi con lo scopo educativo di portare allo scoperto i conflitti presenti nella società o nel mondo interiore dei singoli e cercare soluzioni collettive. È un dispositivo recente: è nato negli anni ’60 in Brasile, durante la dittatura, per opera di Augusto Boal che unì il suo impegno politico alla formazione teatrale. Il risultato è un teatro corale che può essere considerato un sistema educativo nonché strumento di cambiamento poiché induce i partecipanti a portare in scena dei problemi e dei conflitti, affrontarli attraverso i gesti e le parole, ma soprattutto, cercarne la soluzione insieme e capire le varie alternative proposte. Anche il pubblico diventa attivo grazie al suo coinvolgimento in scena: da spettatore diventa spett-attore. In pratica, il Teatro dell’oppresso ci ricorda che la parola sta alla base della nostra società e che sono il confronto e l’ascolto a permettere il cambiamento, che sia personale o globale.

Le due giornate si sono svolte all’insegna del divertimento e devo ammettere che mi sono portata a casa un bagaglio di conoscenze del tutto nuove. All’inizio, attraverso vari lavori di gruppo, come ad esempio, giochi basati sui nomi dei partecipanti, sulle aspettative riguardo al laboratorio, sulla fiducia, esercizi di preparazione per sciogliere rigidità corporee ed emotive, momenti di improvvisazione e di risate, abbiamo cercato l’unione nel gruppo, formato da persone diverse: giovani e meno giovani, uomini e donne, attivisti, studenti, lavoratori… Non è stato semplice, ma alla fine si è creata un’atmosfera alquanto piacevole ed è stato come se ognuno di noi si conoscesse da mesi! Era proprio uno degli obiettivi principali quello di creare un gruppo unitario, basato sulla fiducia reciproca e sulla bellezza della diversità come punto di forza.

Tra un gioco e l’altro, le ore sono volate ma avrei voluto fermare il tempo per assaporare quei momenti di allegria e spensieratezza tipici dell’infanzia. D’altronde, eravamo un po’ come dei bambini alle prese con dei giochi di gruppo, ma sotto all’apparenza ludica delle attività, si nascondevano valori profondi ed insegnamenti utili per il laboratorio. Infatti, i giochi servivano come preparazione per l’attività principale, cioè la realizzazione di due scene rappresentanti due situazioni considerate conflittuali e oppressive. Ogni partecipante è stato invitato a pensare ad un evento in cui emergesse un’oppressione, sia collettiva che personale, per poi metterla in scena grazie all’aiuto del gruppo e di Monica e Paolo. Sono stati i singoli membri a scegliere i vari attori e a rappresentare, senza l’ausilio della parola, le scene, “plasmandole” a proprio piacimento. Sono emerse situazioni differenti ma molto significative. Dopodiché, insieme, abbiamo scelto le due scene più adatte alla rappresentazione, trasformandole in atti teatrali con tanto di battute. Abbiamo provato molte volte, abbiamo riso e pianto, abbiamo anche finto e spesso la realtà e la finzione sembravano un tutt’uno, mentre l’oppressione emergeva sempre di più, fino a diventare intollerabile, proprio come nella vita reale.

La prima scena rappresentava un conflitto personale: un atto di bullismo avvenuto a scuola. In particolare, trattava i temi della discriminazione e dell’incomprensione nei confronti di una ragazza omosessuale; mentre la seconda scena si basava su un fatto di cronaca cuneese: l’ordinanza n. 488 anti-accattonaggio, finalizzata al contrasto del degrado urbano, causato dall’abusiva occupazione di suolo pubblico ed al bivacco, ed alla tutela della convivenza civile, igiene, bellezza e rispetto dei beni, degli spazi e dei luoghi pubblici. Due tematiche molto rilevanti e profonde che meritano di essere approfondite e capite, affinché se ne possa comprendere l’assurdità.

Infine, con nomi di fantasia, ci siamo esibiti al pubblico domenica 13 alle ore 17 nel grande tendone allestito dal circo Zoé in città. L’emozione era tanta, soprattutto per chi, come me, era alla prima esperienza di teatro. Trattandosi di uno spettacolo forum, il pubblico è stato da subito coinvolto nella ricerca di possibili soluzioni da mettere in pratica nelle situazioni di conflitto rappresentate. In parecchi sono intervenuti: chi ha voluto sostituire un personaggio, chi ne ha aggiunto uno, chi ha cercato di trovare un compromesso, chi ha denunciato pesantemente il fatto… Il risultato ottenuto è stato sorprendente, un vero e proprio coinvolgimento attivo da parte degli attori e del pubblico che hanno interagito insieme in cerca di una o più soluzioni ai problemi. Il cambiamento sulla scena è stato inevitabile poiché erano situazioni dinamiche, come vuole il teatro dell’oppresso in cui i vari punti di vista si intrecciano e modificano sempre la scena di partenza. È stato molto curioso notare come gli spettatori si siano trasformati in attori e viceversa senza un minimo di copione, provando in prima persona l’ebrezza dell’improvvisazione e facendo ricorso soltanto ai propri valori e alle proprie emozioni.

Questa esperienza mi ha lasciato tanto. In primis, un bel rapporto con il gruppo con cui spero di condividere nuove esperienze in futuro. Non eravamo solo attori, eravamo compagni di avventura e condividevamo molte passioni e molti valori che abbiamo cercato di far emergere in scena. Ho provato in prima persona quanto sia arricchente la diversità e ne sono rimasta affascinata. Inoltre, grazie a questo laboratorio, ho potuto lasciarmi andare e dar voce ad alcuni conflitti che mi tenevo dentro, forse per paura di espormi o per timore del giudizio altrui. Ho anche scoperto quanto sia difficile sfidarsi e sfidare le proprie emozioni. Tutto questo grazie alla tecnica del teatro dell’oppresso e in particolare, grazie a Monica e Paolo che hanno reso possibile la realizzazione dello spettacolo, aiutandoci, facendoci divertire, spronandoci e supportandoci.

Ringrazio gli organizzatori dell’evento: Micò Aps, Fondazione Nuto Revelli, Circo Zoè in città, progetto Start the change e P.E.E.R, Monica e Paolo e tutti coloro che ne hanno preso parte. È stata un’esperienza incredibile!

Intervista a Nicole Arione (nipote di Andrea Arione)

«Si viene davvero catapultati in un’altra epoca quando si entra nel locale e penso sia proprio questa la cosa più affascinante: sembra di entrare in un bar parigino nel periodo della Belle Epoque».

Credo che tutti voi conosciate i Cuneesi al rhum, i famosi cioccolatini ripieni al liquore dall’inconfondibile carta rossa che li avvolge. Magari, però, pochi sapranno la storia che c’è dietro, fatta di tradizione ed innovazione che ha permesso al marchio Arione e alla caffetteria che ne prende il nome di diventare celebri non solo a Cuneo. Grazie a Nicole Arione, nipote di secondo grado di Andrea Arione (ideatore dei Cuneesi), ci addentriamo in questa storia curiosa, per conoscere più da vicino quest’eccellenza gastronomica e non solo. Pronti per un viaggio all’insegna della golosità?

  1. Qual è la storia della famosa caffetteria cuneese Arione?
    Nel 1923 Andrea Arione si sposò con Rosa Ricca, giovane donna originaria del pinerolese e in quello stesso anno i coniugi aprirono il loro primo negozio di pasticceria in proprio. Il locale era situato in un palazzo a fianco della chiesa del Sacro Cuore, in corso Nizza 33. Andrea Arione si iscrisse il 17 marzo 1923 alla locale Camera di Commercio e diede inizio all’attività «per la produzione ed il commercio di dolciumi, confetteria e pasticceria».
    Nel 1928 Andrea e Rosa diventarono genitori per la prima volta, al primogenito venne dato il nome di Secondo e ben presto imparò l’arte artigianale del padre. È nel laboratorio annesso al negozio di corso Nizza che Andrea Arione pensò di creare un nuovo prodotto a base di cioccolato e rhum: i Cuneesi al Rhum. Andrea festeggiò i suoi trent’anni trasferendosi in una nuova sede, più centrale rispetto alla precedente, nell’attuale piazza Galimberti (al tempo piazza Vittorio Emanuele II). Con una serie di ampliamenti successivi, il locale acquisì la dimensione attuale e si creò la sala da thè dell’estensione odierna. I mobili in stile neobarocco, secondo un gusto eclettico di fine Ottocento, ancora attuale nella prima metà del Novecento, si abbinavano alla “modernità” del packaging delle scatole per torte in legno, per permettere le spedizioni, o in cartone per la consegna a clienti più vicini. Il successo riscosso dai Cuneesi al Rhum indusse i fondatori a tutelare il nome come marchio di fabbrica presso il Ministero dell’Industria e del Commercio e si giunse a brevettare il prodotto. Purtroppo, la mattina di Natale del 1962, Andrea Arione morì improvvisamente.
    L’attività della ormai celebre pasticceria continuò e ad Andrea subentrò suo figlio Secondo, coadiuvato dalla moglie Graziella Arrigoni. La seconda generazione alla guida ampliò ulteriormente l’attività e i Cuneesi al Rhum oltrepassarono i confini dell’Italia e vennero conosciuti a livello europeo e intercontinentale. Ancora giovane, Secondo morì nel 1974, il 28 dicembre.
    La produzione dei Cuneesi proseguì con il nipote del fondatore, che ne portava il nome, Andrea.
    Andrea Arione, per oltre quarant’anni alla guida della storica pasticceria, consolidò la fama del locale che diventò meta di ospiti illustri del mondo della politica e dello spettacolo. Nel 2012 Andrea Arione fu insignito di un titolo prestigioso a riconoscimento dell’attività svolta nella provincia cuneese e non solo; la Camera di Commercio proclamò Andrea Arione «Cuneese nel Mondo». Tre anni fa Andrea Arione, che non fu mai un pasticciere come il nonno, ma un vero e proprio imprenditore, ha prematuramente e improvvisamente lasciato la famiglia una sera di agosto. La storia continua, questa volta con una conduzione tutta al femminile, con la moglie, la sorella e le figlie di Andrea. Spettano alla quarta generazione della famiglia l’onore e la responsabilità di continuare l’attività di pasticceria sorta quasi cent’anni fa dall’estro e dal genio di Andrea Arione.

  2. Cosa può raccontarci del fondatore, Andrea Arione?
    Non ho mai personalmente conosciuto mio bisnonno, ma dalle amorevoli parole che hanno sempre tutti riservato per lui posso dire che era una persona molto dolce e legata alla propria famiglia. Amava Cuneo, questi territori e tutto ciò che la nostra provincia può e poteva offrire già all’epoca. Era una persona dotata di un grande estro, una spiccata creatività e una particolare attitudine all’imprenditorialità che gli ha permesso di fondare un’impresa con solide basi e all’avanguardia.
    Andrea Arione nacque a Cuneo nel 1899, e, come tutti quelli della sua generazione, i cosiddetti «ragazzi del ‘99», nel 1917 venne arruolato nelle file dell’esercito italiano e fu mandato a combattere al fronte nei giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Finita la Grande Guerra si trasferì a Torino dove iniziò a lavorare come apprendista pasticciere. Il capoluogo piemontese vantava sin dalla metà del Settecento una nobile tradizione nella produzione del cioccolato e nei primi decenni del Novecento vi operavano grandi maestri cioccolatieri come Cafferel, Prochet, Cailler-Stratta. In questo ambiente già famoso per l’attenzione rivolta al mondo del cioccolato decise di aprire una pasticceria e poi, appunto, di inventare i Cuneesi al Rhum.

  3. Oggi da chi è gestito?
    Oggi gestiamo l’azienda io, mia sorella Rossana, mia mamma (Vanna Martini) e mia zia (è la sorella di mio papà. Laura Arione). La ditta è dunque diventata un’impresa al 100% femminile.

  4. A cosa è dovuto tale successo, secondo lei?
    Il successo è probabilmente dovuto all’attenzione e cura che mettiamo nei nostri prodotti. Utilizziamo solo materie prime di alta qualità, abbiamo prodotti e semilavorati creati appositamente per noi e per le nostre esigenze. Cerchiamo di soddisfare una vasta clientela con i gusti più disparati con l’amore che ci contraddistingue da sempre. L’azienda conta circa ventisette o ventotto dipendenti, eppure qui è come una grande famiglia; i nostri dipendenti sono sempre molto disponibili e mettono tutta la loro passione nelle mansioni che svolgono. La dedizione e la cura per i dettagli sono la ricetta migliore per il successo.

  5. Parliamo di lei un po’ più da vicino.

    Di cosa si occupa nell’azienda di famiglia?
    Mi sono laureata nel 2018 in Economia Aziendale a Cuneo (triennale) e ora sto concludendo l’ultimo anno di magistrale a Torino. Essendo occupata a tempo pieno in azienda non sto frequentando le lezioni universitarie, vado in università solo per sostenere gli esami. In azienda mi occupo principalmente delle strategie di business, della gestione del personale e della contabilità. Una parte importante del mio lavoro riguarda la relazione con fornitori, clienti e istituti di credito.

    Cosa ama di più del suo lavoro?
    Del mio lavoro amo il fatto che sia molto vario: ogni giorno mi occupo di cose differenti. Mi piace gestire la parte di pubblicità sui social e il sito di vendite online grazie al quale spediamo i nostri prodotti in tutta Italia ed Europa. Amo il mio lavoro perché è molto gratificante saper di poter rendere felici le persone (ritengo che mangiare dolci, e soprattutto cioccolato, sia una delle gioie della vita) e una delle cose più belle in assoluto è vedere i bambini estasiati quando entrano nel locale e vedono tutti i pasticcini, le torte e i cioccolatini.

    Come ci si sente ad essere la nipote del famoso Arione e a portare un cognome così celebre?
    Per me è un grande onore essere sua nipote, siamo una famiglia molto semplice, amiamo le cose vere e quotidiane della vita. Non sento il peso di un cognome comunque abbastanza conosciuto in Cuneo, sono orgogliosa di fare parte di questa azienda, di poter dare il mio contributo.

    Quali ricordi ha della sua infanzia in pasticceria e nel locale?
    Ricordo che la domenica mattina mamma portava me e mia sorella qui in negozio e facevamo colazione sedute ad un tavolino in sala (sempre lo stesso), era un momento bellissimo, solo nostro. Ho tantissimi ricordi legati al locale, sono praticamente cresciuta qui dentro. Un ricordo bellissimo è legato al fatto che in quarta elementare con la mia classe eravamo venuti qui nel laboratorio di produzione e mio papà ci aveva spiegato alcuni procedimenti legati alla lavorazione del cioccolato. A fine mattinata avevamo rotto un grande uovo di cioccolato e lo avevamo mangiato tutti insieme.

  6. Addentriamoci maggiormente nella storia e nel prestigio del locale e del marchio Arione.

    Qual è, a suo parere, il legame tra la tradizione e l’innovazione in un marchio come il vostro?
    Il legame tra tradizione e innovazione è di certo indissolubile. Rimaniamo legati alle nostre tradizioni, ai nostri procedimenti e alle nostre lavorazioni rigorosamente effettuate a mano, però abbiamo sempre uno sguardo rivolto al futuro. È importantissimo saper innovare sia a livello di prodotti (quindi nuovi prodotti per nuove esigenze) sia a livello di macchinari (tecnologicamente più efficienti e più precisi).

    È risaputo che ospite di Arione fu anche il celebre scrittore Ernest Hemingway. Cosa ci può raccontare a tal proposito?
    Hemingway era in viaggio verso Nizza e su consiglio del suo editore Arnoldo Mondadori decise di fermarsi qui per acquistare due chili di Cuneesi per sua moglie. Sicuramente è per noi grande vanto aver potuto ospitare un personaggio del calibro di Hemingway nel 1954. A tal proposito qualche anno fa lessi un articolo molto interessante su La Repubblica che sosteneva che probabilmente quella fu l’ultima volta che Hemingway venne in Italia, ed era risaputo quanto lui amasse il nostro Paese. Esponiamo ancora oggi nelle nostre vetrine la fotografia di Hemingway scattata l’8 maggio 1954 davanti all’ingresso del nostro locale.

    Quali altri personaggi famosi visitarono il vostro locale?
    Il locale ha fatto da sfondo ad alcune scene del film I compagni di Mario Monicelli, con Marcello Mastroianni e Annie Girardot, film del 1963 candidato all’Oscar per il soggetto e la sceneggiatura. Altri personaggi famosi che frequentano il locale sono scrittori (soprattutto nel periodo di Scrittori in Città), politici e alcune volte personaggi del mondo televisivo.

    All’interno del bar-pasticceria si rimane affascinati dalla calda atmosfera e dallo stile che pare retrò, quasi inalterato nel tempo: come descriverebbe l’ambiente, l’arredamento, la scelta dello stile del locale?
    L’ambiente è originario degli anni ’30, con le poltroncine in pelle rossa e le specchiere in legno, il soffitto a cassettoni. Ancora oggi esponiamo i cartelloni pubblicitari dell’epoca. Direi che l’ambiente è accogliente, caldo; si viene davvero catapultati in un’altra epoca quando si entra nel locale e penso sia proprio questa la cosa più affascinante: sembra di entrare in un bar parigino nel periodo della Belle Epoque. Cerchiamo ancora oggi di preservare questa peculiarità del nostro locale.

  7. Parliamo di Cuneo e del suo rapporto con Arione.

    Cosa ne pensa della città?
    Penso che sia una città a misura d’uomo, ma che allo stesso tempo abbia davvero tanto da offrire. La città è bella, curata nei dettagli e in una posizione strategica: a pochi passi dalla montagna, dalle spiagge liguri e francesi e dalle Langhe, che sono patrimonio UNESCO. Mi piace vivere qui, penso ci siano importanti realtà imprenditoriali che devono essere salvaguardate ed inoltre ritengo ci siano nella nostra provincia molti giovani che hanno voglia di fare e lavorare bene.

    Cosa ne pensava Andrea Arione?
    Non posso rispondere precisamente perché non ho avuto modo di conoscere il suo pensiero, ma credo che anche lui riconoscesse le grandi potenzialità di questo territorio. D’altronde nel momento in cui ha deciso di fondare il suo locale in questa città sicuramente credeva fortemente nella città e nei suoi cittadini.

    Perché Arione decise di aprire la sua caffetteria proprio a Cuneo? E perché in quell’edificio?
    Decise di aprire qui perché lui era originario di queste zone, la scelta dell’edificio direi che fu dettata dall’andamento dell’economia di quel periodo. Decisero di aprire in corso Nizza alta per poi trasferirsi in piazza Galimberti quando la banca che aveva la sua sede nel palazzo Ex Cassin fallì a seguito della crisi del ’29.

    Ci può parlare dello stretto legame che unisce la vostra attività al territorio di Cuneo?
    Siamo veramente orgogliosi di poter lavorare a Cuneo perché crediamo e conosciamo le potenzialità del territorio. Siamo contenti di poter portare con i nostri Cuneesi al Rhum un po’ di Cuneo in tutto il mondo, molti definiscono i Cuneesi al Rhum proprio come degli ambasciatori di Cuneo nel mondo. Un riconoscimento a tal proposito è avvenuto nel 2012 quando la Camera di Commercio di Cuneo insignì mio papà di un prestigioso premio denominato «Cuneese nel Mondo». Questo riconoscimento viene assegnato una volta all’anno ad una persona della provincia Granda che ha saputo, con il suo lavoro di eccellenza, portare Cuneo nel mondo e rendere conosciuta la nostra terra.

    Avete altri punti vendita? C’è l’idea di un ampliamento o di una filiale in zona?
    Per il momento è top secret, io e mia sorella siamo molto giovani quindi abbiamo tante idee e progetti in testa, compreso l’aprire nuovi punti vendita in zone strategiche del nostro Paese. Speriamo in futuro di poter realizzare qualche progetto importante.

  8. Indubbiamente, il vero simbolo della vostra attività è il Cuneese al Rhum. Ci parli di questo famoso cioccolatino.

    Quando è nato? Come?
    Il Cuneese nasce nel ’23 da un’idea di Andrea Arione che era pasticciere e amava sperimentare nel suo laboratorio.

    Che tradizione porta con sé?
    La tradizione è il punto forte del nostro prodotto. I visitatori di Cuneo ne portano sempre via qualche pacchetto da far assaggiare a casa, chi invece è di Cuneo e vuole fare degli omaggi molte volte si affida ai nostri prodotti.

    Come si è evoluto nel tempo? Cosa è cambiato e cosa rimane inalterato?
    Del Cuneese al Rhum non è cambiato nulla, viene fatto da novantasette anni nello stesso modo seguendo la ricetta tradizionale. Il processo manuale è rimasto il medesimo, anche la tradizionale carta in cui vengono incartati non è mutata. Quello che è cambiato è l’assortimento dei nostri Cuneesi, oggi infatti ne esistono diverse varianti: alla nocciola, al cremino, al caffè, al marrone e al Grand Marnier.

    Qual è la ricetta?
    Il Cuneese al Rhum è composto da una crema pasticcera a cioccolato e rhum racchiusa tra due cialde di meringa, il tutto è ricoperto da uno strato sottile di cioccolato extra fondente.

    Quanto contano le materie prime?
    Le materie prime contano davvero molto, penso siano uno dei nostri punti forti. Per realizzare un prodotto di eccellenza è necessario partire da materie di elevata qualità. Abbiamo ancora oggi un’azienda che produce il Rhum in modo particolare soltanto per noi.

  9. Per quali altri prodotti siete conosciuti?
    L’altro nostro prodotto principale sono le meringhe alla panna, davvero apprezzate da grandi e piccini. A Cuneo siamo anche conosciuti per la nostra caffetteria e per le nostre colazioni golose.

  10. Fermarsi da Arione, con l’idea di prendersi qualcosa di caldo o di goloso, magari in una giornata di pioggia, è diventato un rito per tutti i cuneesi, ma non solo: vero che siete una meta affermata anche per i turisti? Cosa ordinano solitamente?
    I turisti che visitano Cuneo sono sempre di più e noi ce ne stiamo davvero accorgendo negli ultimi anni, segno che la nostra è una città meravigliosa da valorizzare il più possibile. Solitamente i turisti vengono da noi per la colazione o gli aperitivi e non dimenticano mai di portare a casa qualche pacchetto di Cuneesi o dei nostri pasticcini.

  11. Se dovesse dare un messaggio ai giovani e meno giovani cuneesi, cosa direbbe loro?
    Ai giovani e meno giovani cuneesi direi di viaggiare il più possibile per scoprire nuove realtà e punti di vista, ma portare sempre nel cuore la nostra meravigliosa città e ovviamente i Cuneesi al Rhum per far conoscere i nostri sapori e tradizioni in tutto il mondo.

Intervista a Luca Fasano (Valverbe). “Il territorio è un’erboristeria a cielo aperto e ci offre grandi opportunità”

Luca Fasano, moncalierese di nascita e cuneese di adozione, lavora nell’azienda di famiglia con la stessa passione e dedizione dei suoi genitori. Dalle sue parole si scorge immediatamente il suo orgoglio per l’azienda e la sua indole positiva e grintosa. Valverbe non è solo un marchio di tisane biologiche di montagna, bensì una filiera etica e innovativa che porta dell’ottima materia prima nelle tazze dei consumatori, mantenendo l’essenziale rapporto con il territorio di origine. In questa intervista, Luca Fasano ci rende partecipi dell’attività di Valverbe, dalla nascita ad oggi e alla fine non può non venirci voglia di una buona e soprattutto sana tisana!

1) Come può descriverci l’azienda in breve? Nascita, sviluppo, prospettive…
L’azienda si è sviluppata a Bellino, paese incantato dell’alta Valle Varaita a 1500 metri in provincia di Cuneo nel lontano 1985. Oggi l’azienda ha sede a Melle ma ha mantenuto un forte legame con il territorio estendendo le proprie coltivazioni di piante medicinali dall’alta montagna fino alla collina del fondo valle su diversi appezzamenti. Oggi produciamo circa 3 milioni di astucci e lavoriamo 85.000 kg di erbe… Prospettive per il futuro? Perseguire ciò che io definisco “crescita felice”, ossia bilanciare le disponibilità di piante che il territorio ci offre per allargare i nostri mercati mantenendo intatta la qualità.

2) Quali sono i principali obiettivi che si pone?
Oggi stiamo lavorando sul mantenimento della filiera di produzione e su un impatto green delle nostre tisane in filtro. Abbiamo infatti scelto di usare filtri in cellulosa non sbiancata e filo di cotone biologico, carta salva aroma compostabile e astuccio in carta certificata FSC per un impatto zero del filtro sull’ambiente. Alimentiamo l’azienda con fonti energetiche totalmente rinnovabili per rispettare il nostro slogan: «Un sorso di benessere per il consumatore e per l’ambiente!».

3) Vi sareste mai aspettati di diventare produttori così rinomati?
Oggi pensiamo di essere un riferimento di qualità nel mondo dei prodotti infusionali e chi ci sceglie generalmente percepisce la differenza rispetto ai competitor. Non pensavo di arrivare così lontano quando trent’anni fa la mia famiglia ha iniziato a coltivare la terra a piante medicinali, siamo orgogliosi del percorso che abbiamo fatto.

4) Già nel nome Valverbe è evidenziata l’importanza della valle: quanto conta per voi il legame con le nostre valli?
Il territorio è un’erboristeria a cielo aperto e ci offre grandi opportunità. Inoltre, la nostra azienda risiede nell’area tutelata riconosciuta come patrimonio dell’Unesco. La nostra vallata è pulita e le aree che coltiviamo sono lontane da fonti di inquinamento: è il posto perfetto per un’azienda come la nostra.

5) Quali tisane e infusi vi rappresentano maggiormente e perché?
Le tisane come la camomilla, di cui siamo tra i primi produttori in Italia, e il finocchio varietà dolce sono tra i prodotti che vendiamo di più e che sono stati anche scelti per la loro qualità da aziende di distribuzioni importanti come Esselunga, per la quale produciamo a marchio del cliente. Altri infusi di successo sono ad oggi il «sonno sereno», tisana rilassante molto efficace, e il «dopopasto», a base di salvia, limone e rosmarino.

6) Essere un’azienda “bio” cosa significa per lei?
Fare bio oggi vuol dire distinguersi non solo per la qualità della filiera che non impiega prodotti inquinanti per l’ambiente, ma anche una scelta di vita e di rispetto per tutto ciò che ci circonda. Vivere a impatto zero è una nostra priorità e facciamo ogni giorno di più per far sì che tutto questo si avveri.

7) Parliamo ora di lei.

  • Dove è nato e dove ha vissuto? Sono nato in città, a Moncalieri, ma da sempre ho vissuto in montagna, prima a Bellino, oggi in un paese di media Valle: Venasca.
  • Quale percorso scolastico ha intrapreso? Ho fatto le scuole superiori a Saluzzo per poi dedicarmi all’azienda.
  • Cosa sognava di fare da bambino? Forse il pilota di aerei.
  • Come si descriverebbe in quanto Luca Fasano? Sono creativo e questo mi aiuta molto nel mio lavoro.
  • È sposato? Ha figli? Non ancora…ci sarà tempo.
  • Come si svolge la sua giornata tipo in azienda? La giornata non ha orari e non ha routine. Ogni giorno si lavora a piccoli passi su tanti progetti per poterli vedere realizzati rispettando tempistiche di mercato o necessità aziendali.
  • Personalmente ama le tisane? Se sì, quale apprezza di più? La mia preferita è la menta e verbena, la verbena è la pianta del buon umore… Sarà per questo che sono sempre positivo su tutto!

8) Al giorno d’oggi, il benessere dell’individuo sembra assumere un estremo valore: ci si cura, si cerca il rimedio per ogni cosa che non va, si assumono integratori per migliorarsi… Insomma, si cerca il benessere a 360 gradi. Lei cosa ne pensa? Cosa significa per lei il benessere?
Il benessere va curato lentamente ogni giorno. Non esiste medicina esistono approcci di vita che possono favorire o meno la salute di ciascuno di noi. Non trascuriamo i segnali del nostro corpo.

9) Parlando dell’ambiente e dell’emergenza ambientale: secondo lei come si può affrontare? È possibile cambiare? Come?
L’emergenza ambientale la creiamo noi ogni giorno con piccoli gesti ripetuti da milioni di persone. Basterebbe cambiare davvero nei piccoli gesti e tutto forse prenderebbe una strada migliore. Personalmente abbiamo investito in un’auto elettrica e crediamo che si dovrebbe fare di più per una produzione totalmente rinnovabile di energia con tempi definiti e rapidi.

10) L’inquinamento e il riscaldamento globale sono due piaghe del nostro tempo che minacciano l’intera biodiversità. È preoccupato per il futuro, per le nostre vallate, per la natura che in qualche modo sono gli ingredienti delle sue tisane?
Siamo costantemente a contatto con questo “cambiamento climatico” che ogni anno sempre più ci condiziona i raccolti e la resa delle nostre coltivazioni. Si, sono preoccupato, non tanto per la situazione attuale ma per quanto poco si sta facendo.

11) Spostiamo l’attenzione su Cuneo e la sua provincia.

  • Le piace la città? Ci indichi i pregi e i difetti. Cuneo è bella! Io amo l’Italia!
  • Che cosa cambierebbe della città? Mi rimane poco tempo per viverla anche perché abito lontano dai grandi centri.
  • Il cuneese offre possibilità per gli imprenditori come lei? Il cuneese è un luogo incantato che sta vivendo un periodo turistico positivo, infatti dal prossimo anno avremo in azienda la possibilità di visitare un giardino botanico chiamato “giardino dei profumi” proprio per offrire qualcosa in più a chi farà visita alle nostre splendide vallate.
  • Il consumo dei vostri prodotti com’è in zona? Qual è il consumatore tipo? Penso che il consumatore tipo sia la famiglia: la signora di casa, mentre fa la spesa, oggi più di un tempo preferisce un prodotto locale rispetto a prodotti di origine sconosciuta. Anche le catene di supermercati locali ci dedicano molta attenzione e li ringraziamo per l’opportunità di visibilità che ci danno.

INTERVISTA A GABRIELE ROBERTO

Probabilmente sarà capitato anche a voi di canticchiare la colonna sonora di qualche film appena visto, magari una di quelle melodie suggestive che non puoi fare a meno di ricordare… Non tutti, però, sanno che dietro a quelle musiche c’è un lavoro non da poco: un’elaborazione lenta e parsimoniosa, che richiede tempo, abilità e passione. Gabriele Roberto ha reso il suo lavoro una passione e in questa intervista emerge tutto il suo amore per la musica. Nato ad Alba e diplomatosi al conservatorio di Cuneo, Gabriele è un compositore musicale famoso in tutto il mondo, dall’Italia al Giappone, nonché il primo compositore italiano ad essersi aggiudicato il Japan Academy Award, il maggior riconoscimento giapponese in ambito cinematografico. Tra i suoi maggiori successi troviamo le colonne sonore di film orientali quali Memories of Matsuko, le musiche di La vita facile, i lavori Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi, nuovi arrangiamenti del celebre brano Con te partirò… Nel 2018 Gabriele è il compositore scelto da Ivan Cotroneo per la serie TV della RAI La Compagnia del Cigno.

Diamo la parola a Gabriele Roberto.

  1. Come ti sei avvicinato alla musica? E al mondo della composizione musicale?

Mio padre è un tastierista e fisarmonicista, appassionatissimo di musica che non ha seguito poi la professione musicale. Ho avuto quindi la fortuna di ritrovarmi in un ambiente dove già a tre, quattro anni potevo ascoltare vinili di ogni genere musicale, dalla classica, ai Beatles, dal pop al rock anni 70. Ne ero rapito e non potevo farne a meno, ho avuto la prima lezione di musica proprio da lui a sei anni.

  1. Avresti mai pensato di “vivere di musica”?

Sì, è stato un obiettivo che sentivo fin da piccolo e che ho cercato di perseguire con tutte le mie forze. In realtà volevo diventare un pianista concertista, ma poi la strada della composizione ha preso il sopravvento e ho seguito quella, lasciando un po’ da parte la tecnica pianistica. Per completare la domanda precedente, ho iniziato a comporre in modo naturale, all’inizio nello stile dei brani per pianoforte che studiavo, già a dodici, tredici anni, e poi l’approfondimento è stato un percorso naturale che non ho potuto fare a meno di seguire grazie alla mia grande passione.

  1. Parlaci dei tuoi successi professionali, sia esteri che italiani.

Ho avuto la fortuna di essere stato “scoperto” da un produttore giapponese, e paradossalmente proprio con il mio primo lavoro per un film ho vinto il Japan Academy Award, il premio più ambito in Giappone per un compositore di colonne sonore. Da quel momento è stato un susseguirsi di lavori, prima per il mercato asiatico (ho lavorato anche con il famoso regista di Hong Kong, Pang Ho Cheung) e poi per quello Italiano. Il mio primo score per un film italiano è stato per La Vita Facile di Lucio Pellegrini, prodotto da Fandango, e direi che anche in questa occasione ho avuto la fortuna di iniziare subito con un film che mi ha dato molta visibilità. Gli attori del film erano Stefano Accorsi, Pierfranscesco Favino e Vittoria Puccini: un bel trampolino di lancio per la continuazione della carriera in Italia.
Ora alterno i progetti asiatici a quelli Italiani, ho scritto per molti registi tra i quali Michael Radford, Maria Sole Tognazzi, Pappi Corsicato, Ivan Cotroneo. Con quest’ultimo ho musicato e arrangiato i brani per la fiction di Rai Uno La Compagnia del Cigno, che ha riscosso un successo incredibile e stiamo per iniziare la seconda serie. Parallelamente, per quanto riguarda la musica da concerto, la Japan Philharmonic Orchestra mi ha commissionato un Concerto per Tromba e Orchestra che ha inserito nella Stagione 2016 assieme alla Sinfonia N.9 di Beethoven, eseguito a Tokyo e Yokohama in due degli Auditorium più prestigiosi del Giappone.
E vorrei ancora ricordare il nuovo arrangiamento e orchestrazione del famosissimo brano Con Te Partirò per il tenore Andrea Bocelli che lo ha ricantato in occasione del ventennale della prima uscita, commissionatomi da Sugar Music.

  1. Lavorando con grandi nomi dello spettacolo e per celebri artisti, cosa hai appreso? Chi ti ha ispirato maggiormente?

Devo dire che per quanto riguarda il mio lavoro l’influenza maggiore l’ho ricevuta dagli studi classici e dai grandi compositori del passato e alcuni del presente. Poi ovviamente ogni lavoro è un arricchimento e un’esperienza che un artista fa proprio, e porta avanti il percorso di crescita.

  1. Quali sono gli step necessari per tradurre in melodie delle immagini, come nel caso delle colonne sonore dei film?

Direi che ogni progetto è un mondo a sé, non ci sono regole preconfezionate. È molto importante cercare di entrare nella mente del regista, capire quali emozioni o sfumature vorrebbe che la musica enfatizzasse, parlarne in modo approfondito, e in questo dialogo cercare di riuscire a portare la propria idea musicale nel film senza snaturarlo ma arricchendolo. A volte posso iniziare anche solo leggendo la sceneggiatura, a volte mi consegnano già il film con il montaggio finale. Non c’è davvero una prassi comune.

  1. Quanto impieghi per creare una colonna sonora?

Anche in questo caso è molto variabile, direi in media circa tre mesi.

  1. Spostiamo l’attenzione sulla tua infanzia e sulla tua vita personale:
  • Che ricordi conservi della tua infanzia nel cuneese?

Dunque, ho vissuto a Cuneo circa sei anni, dai 22 anni a 28 circa, ed ho un bellissimo ricordo. Il Conservatorio, non troppo grande, era un ambiente molto familiare, avevo compagni stupendi che sono diventati amici cari ed è stato il primo luogo dove ho potuto ascoltare le mie composizioni eseguite da musicisti reali. L’orchestra del Conservatorio, infatti, ha eseguito diverse volte mie composizioni, assieme ad altri brani per pianoforte solo, o da camera. Ho avuto insegnanti davvero validi. In Italia si può essere preparati molto approfonditamente, abbiamo una tradizione musicale incredibile. Poi le montagne che circondano Cuneo sono semplicemente fantastiche…

  • Sei sposato, fidanzato, single?

Al momento sono fidanzato con una ragazza giapponese.

  • Oltre alla musica, hai altre passioni?

Mi piace nuotare, leggere, giocare a scacchi, mangiare e bere il favoloso vino delle Langhe!

  • Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?

Diciamo che come “sogno nel cassetto” c’è quello di continuare la carriera e di cercare di lavorare sempre con registi interessanti e sensibili alla forza della musica.

  1.  Dati i tuoi spostamenti in giro per il mondo, possiamo dire che sei cosmopolita: ti senti più vicino all’Italia, al Regno Unito o al Giappone?

Direi che alla fine le radici restano italiane e come vicinanza direi che al primo posto rimane l’Italia.

  1. Ti puoi definire uno dei tanti cervelli in fuga: giovani delusi dal proprio Paese che vanno all’estero in cerca di maggiori opportunità? Perché?

Come raccontavo nella prima risposta, ho iniziato la carriera in Giappone ma poi ho cominciato a lavorare molto anche per il cinema Italiano, quindi non vorrei parlare di me come “cervello in fuga” ma piuttosto come un compositore Italiano che ha iniziato la carriera in un modo un po’ inusuale. In ogni caso, consiglio ai giovani musicisti di non avere paura di proporsi anche in altri paesi, per poter iniziare il proprio lavoro.

  1. Cosa ci puoi raccontare del Giappone e della cultura nipponica e cosa noti di diverso rispetto all’Italia (ambito lavorativo, privato…)?

Ci sono molte differenza tra la cultura Giapponese e quella Italiana, bisognerebbe aprire un capitolo a parte per parlarne in modo approfondito, ed è facile cadere negli stereotipi dando risposte brevi.
Il Giappone è un paese bellissimo dove il rispetto per il prossimo è uno dei valori più tenuti in considerazione, i servizi in generale sono tra i migliori al mondo, forse manca un po’ di spontaneità ma credo che poter alternare le due culture sia un privilegio non da poco.

  1. Parliamo di Cuneo e del cuneese.

Che impressione hai della città di Cuneo? Cosa cambieresti di Cuneo?

E’ da molti anni che non vivo più a Cuneo e non saprei davvero cosa rispondere. Ho un bellissimo ricordo della città e del periodo che ho passato studiando al Conservatorio: penso sia una cosa bella conservarlo così com’è.

 

 

Intervista a Martin Dematteis

Tutti noi conosciamo il Re di pietra, la montagna che circonda le nostre vallate e ne delinea lo splendore: il Monviso. C’è chi lo ammira soltanto, chi lo scala con grinta, chi lo ama e c’è chi lo vede come una sfida. I gemelli Dematteis, l’8 settembre 2017, hanno sfidato il Monviso, volendo battere ogni record nella loro disciplina di corsa in montagna e sono riusciti nella loro impresa, raggiungendo la vetta a 3.841 metri in un’ora 40 minuti e 47 secondi battendo il record di 31 anni fa di  Dario Viale. I gemelli, Martin e Bernard, sono cresciuti tra le montagne della borgata di Rore e hanno alle spalle una carriera atletica brillante. Martin, il fratello minore, ci ha concesso questa splendida intervista per conoscerlo meglio, anche al di fuori dello sport, per capire chi è il “keniano bianco”, l’uomo la cui determinazione lo ha portato in alto in tutti i sensi. Inoltriamoci più a fondo nella sua vita da atleta, studente, fratello e campione.

Dopo il fatidico 8 settembre 2017, data del record, la tua vita è cambiata?

Dopo il record sul Monviso la mia vita è rimasta fondamentalmente la stessa, solo sono diventato un po’ più conosciuto.

Per quale motivo avete scelto proprio il Monviso?

Perché il Monviso è la “nostra” montagna, siamo nati alle sue pendici e ci ha sempre affascinato con la sua bellezza e imponenza.

Perché avete avuto l’idea di battere ogni record?

Per noi è stato sempre un sogno fin da quando eravamo ragazzini, tentare di legare il nostro nome a questa stupenda montagna.

Ti va di raccontarci quel giorno? Quali paure, quali emozioni, quali dubbi avevi? Com’è andata la scalata? Cosa ti è rimasto impresso maggiormente?

Quel giorno è stato fantastico, semplicemente fantastico. Un condensato di adrenalina, emozione, entusiasmo, gioia allo stato puro. Durante la scalata pensavo a tutte le persone che erano lì quel giorno a tifarmi, a chi era in cima ad aspettarmi e quando sono arrivato a toccare la croce, ho provato una felicità immensa.

Di quel giorno mi sono rimasti impressi maggiormente gli abbracci con le persone a me più care, in cima al Monviso, al rifugio Quintino Sella e al pian del re una volta discesi. Gli abbracci e i sorrisi pieni di felicità scambiati con i miei genitori, mio fratello Miculà e mia sorella Margherita, con la mia fidanzata di allora Giulia, con il mio allenatore Paolo Germanetto, con i miei amici Daniele Ghigo, Silvia Tomatis e molti altri e con il mio primo allenatore Giulio Peyracchia.

In cosa è consistito l’allenamento necessario per farcela?

Ci siamo allenati provando alcune volte la salita, soprattutto nell’ultimo mese e studiando nei minimi dettagli il percorso migliore.

Parlaci di te.

  • È vero che sei soprannominato sia “Nin”, sia “il keniano bianco”?

Si, la mia famiglia ed i miei amici mi chiamano “Nin”, mentre “kenyano bianco” è un soprannome dovuto al mio modo di correre un po’ pazzo e istintivo, alla keniana e perché per alcuni anni ero tra i pochi assieme a mio fratello a giocarmela a viso aperto in gara con i forti atleti africani.

  • Come e quando hai iniziato a correre?  

Ho iniziato a correre nel 1999, quando avevo 13 anni, l’ho fatto per gioco e per divertimento.

  • Che studi hai fatto?

Ho frequentato il liceo scientifico “G.B. Bodoni” di Saluzzo e un anno fa, a 32 anni, mi sono iscritto all’università a Torino, frequento il corso di Lettere moderne.

  • Sei sposato? Hai figli?

Non sono sposato e ho un figlio, di nome Matteo, nato nel 2014 ma che nel 2015 è venuto a mancare improvvisamente. È  lui la mia forza, dovunque lui sia adesso, e lo sento sempre con me.

  • Quali sono i tuoi sogni oggi?  

I miei sogni oggi sono molti, ma non voglio svelarli e li tengo nel cassetto del mio cuore.

  • Come ti descriveresti in breve?  

Sono un ragazzo simpatico, allegro, sono un tipo piuttosto estroverso e sempre pronto a sorridere alla vita.

  • Cosa ti spinge ad andare oltre i limiti e la fatica durante le corse?  

I miei obiettivi sportivi e non mi spingono a tentare di superare i miei limiti, la fatica è solo una cosa fisica e se ti abitui a conviverci diventa quasi un’amica.

Che valore ha per te la montagna?

La montagna è il mio luogo del cuore, dove sono pienamente me stesso. Solo lì riesco a sentire veramente la natura e la sua forza e provo sempre grandi emozioni e sensazioni dentro di me.

Quali consigli potresti dare per valorizzare le montagne e l’ecosistema che le caratterizza?

Puntare su un turismo sostenibile, non di rapina. La montagna non deve solo essere un parco di divertimento ma deve essere un luogo dove le persone ritrovino sensazioni ed emozioni autentiche, legate alle caratteristiche del territorio. La montagna sta cambiando e anche chi vuole venirci deve cambiare il suo modo di vederla e di viverla, in modo più sostenibile e responsabile.

Credi che un giorno le borgate alpine e le zone montane torneranno a ripopolarsi come un tempo? Perché?

Sì, credo che un giorno la gente si stuferà della vita frenetica della città e tornerà a cercare qualcosa di diverso e più vero in mezzo alla natura. C’è già un lento ritorno in qualche zona delle nostre montagne e spero continuerà sempre più.

Spostiamo l’attenzione su Cuneo.

  • Che differenze riscontri tra Cuneo e la piccola Borgata di Rore in cui sei cresciuto? Se dovessi scegliere in quale delle due vivresti e perché?

Non conosco bene la realtà di Cuneo ma credo che Rore sia più intima, anche più solitaria in certi periodi dell’anno. Cuneo è una bella città, viva ed aperta. Se dovessi scegliere io vivrei a Rore perché qui sono nato e cresciuto e qui mi sento veramente me stesso.

  • Cosa ti piace di Cuneo e cosa cambieresti?

Cuneo è una bella città a due passi dalle montagne, ma anche la sua gente che è cordiale e sportiva. Non so che cosa cambierei, ma mi piacerebbe ci fossero più manifestazioni sportive soprattutto nell’ambito dell’atletica e della corsa.

  • A tuo parere, si può dire che Cuneo sia una città aperta e accogliente?

Sì, credo che Cuneo sia una città abbastanza aperta e accogliente al mondo esterno. Ma si può ancora fare di più.

La concorrenza con tuo fratello è mai stato un problema? Che rapporto avete?

La concorrenza con mio fratello non è mai stata un problema, ci siamo sempre aiutati a vicenda sia nella corsa che nella vita in generale. Ci vogliamo molto bene e siamo molto uniti.

I gemelli Dematteis hanno altri obiettivi da raggiungere insieme?

Assolutamente sì, l’obiettivo principale in questo momento è quello di ritrovare un po’ di serenità e stabilità nella nostra vita, poi abbiamo ancora tanti sogni sportivi e non che inseguiremo sempre con determinazione e grinta e ogni giorno con il sorriso sul viso.

 

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