A che cosa serve la filosofia?

Ragiono, provo a cercare una risposta logica e poi sospiro sorridendo, sollevata: la filosofia non serve a niente. Che meraviglia: la filosofia ha allora lo statuto di una passione, di un passatempo!

In quanto studentessa di filosofia, mi ritrovo spesso a rispondere a chi mi domanda, talvolta con tono provocatorio, che cosa potrei fare dopo l’università; io in genere non divago, dico che sono tanti i mestieri a cui potrei adattarmi e che le possibilità ci sono eccome. Ma intanto dentro di me penso che è essenziale cogliere la bellezza dell’inutilità, per un motivo molto semplice: quello che è utile è servo di qualcosa e, per converso, ciò che è inutile è libero. Tutto quello che è utile al progresso (e qui parlo di progresso economico) lo è in quanto ne è schiavo, in un modo o nell’altro. Al contrario la filosofia è sganciata dalla logica economica – politica e quindi è libera; il grande Aristotele difese questa idea scrivendo parole bellissime nella sua Metafisica: È evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola [la filosofia], tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa.

Questa ultima espressione di Aristotele, fine a se stessa, significa che comunque questo studio ha un fine e, da questo punto di vista, non è inutile. Si tratta di un’utilità peculiare, perché non c’è un padrone a lei esterno, non è chiamata a sottostare a un sistema di pensiero organizzato, a una teoria economica, a un ideale politico: è avulsa da ogni condizionamento – o almeno così dovrebbe essere –, ma questo suo essere al confine tra l’utilità e l’inutilità non significa che la filosofia non dia niente. La filosofia basta a se stessa e dà quello che possiede per propria natura.

In particolare ci dona due atteggiamenti oggi in disuso: innanzitutto la capacità di accogliere il diverso. Stare a stretto contatto con autori talvolta agli antipodi tra loro o con un pensiero lontano dal mio insegna ad amare le divergenze di opinioni e a cogliere la meraviglia della diversità. Si impara così a dialogare e ad analizzare una posizione con lucidità, con pacatezza, e, cosa molto importante, sempre con il beneficio del dubbio. Il secondo dono che offre è l’astrazione. Il cinismo in cui siamo quotidianamente trascinati porta molte persone a ritenere che gli intellettuali non abbiano nulla da dire e ad accusarli di “essere sulle nuvole” o di fare discorsi “lontani dalla realtà”. Proprio questo è il punto ed è qui che dimora il profondo significato di quel fine a se stessa di cui scrive Aristotele: è l’abitudine a pensare oltre la realtà presente. La filosofia dà la capacità di costruire e di seguire un ideale che spinga al miglioramento e all’impegno concreto. Oggi evitiamo il pensiero astratto come la peste, ma senza astrazione non si può arrivare alla concretezza: come si può costruire una casa senza averne prima un modello? Allora la filosofia si configura soprattutto come un metodo, quello di tirarsi fuori dal campo di gioco per guardarsi giocare e intuire con più distacco le mosse per fare centro. In questi ultimi tempi si sta discutendo se occorra insegnare la filosofia nella scuola primaria oppure no: per me il dibattito si esaurisce nel momento in cui ci si rende conto che la filosofia è principalmente un metodo di lettura; allora è ovvio che bisogna insegnarlo ai bambini, in qualsiasi ora di scuola.

La fantasia, lo stimolo all’immaginazione, il pensiero che sorvola sul presente per capirlo a fondo: questa è l’astrazione. Ed è solo così che si può vedere la realtà in tutte le sue sfaccettature, è solo da una prospettiva dall’alto che è possibile conoscere la realtà con uno sguardo ampio. Cerchiamo concretezza, pragmatismo, logica economica, ma non sembra che stiamo andando molto lontano. E se allora provassimo a cambiare sguardo? Se provassimo ad andare oltre?

Se provassimo a sollevarci?

Foto di Evelina Abrardi