1. Amare le persone che ci sono accanto, soprattutto la famiglia. Da qualche decennio la famiglia è passata in secondo piano rispetto al lavoro, a un individualistico tempo libero, alle proprie passioni solitarie. Ma la famiglia è la prima sorgente della felicità: se la felicità non è lì, non si può essere pienamente sereni. Fare cose con i propri figli, con i propri compagni di vita, perché solo così si può amare e sentirsi amati e perché l’amore è la cura per tutte le angosce e per tutte le paure. Lasciare andare le barriere; imparare a disarmarsi; imparare a fidarsi. Per amare senza tensioni. E per non inverare le parole cantate da Lucio Dalla il 31 dicembre: «c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra».
  2. Essere consapevoli di essere nati nella parte giusta del mondo. Il pensiero di un’ingiustizia inspiegabile lascia sgomenti. È il problema filosofico della teodicea (cioè della giustizia divina), il problema teologico dell’imperscrutabilità del volere di Dio, il problema umanistico del caso, del fato. È un problema che non verrà mai risolto, anche perché nessuna risposta è in nessun modo soddisfacente. Resta il fatto che vi sono popoli in cui le donne non possono studiare. In cui i bambini hanno dei sogni ma vedono solo scheletri di palazzi bombardati. In cui le madri lanciano i bambini ai soldati oltre il filo spinato. In cui uomini e donne prendono d’assalto gli aerei per scappare dalla dittatura e poi volano giù durante il decollo. In cui le persone non hanno il vaccino per salvarsi dalla pandemia perché in questo capitalismo cancerogeno i soldi valgono più della vita. Essere consapevoli di questo è un dovere umano. È vero, il nostro sgomento davanti a questo pensiero non conosce cura, ma l’unico modo per renderlo utile è essere grati. Ringraziare per quello che si ha e difenderlo con tutte le proprie forze: parlo della salute individuale; del denaro che ci permette di non essere per strada; della democrazia che ci permette di votare; delle leggi che permettono alle donne di studiare; di questa parte di mondo dove, nonostante tutti i problemi, la guerra non c’è.
  3. Imparare a non essere né ottimisti né pessimisti sul futuro, ma realisti. Il mondo non sta andando né verso il peggio né verso il meglio. Ci sono alcune predizioni che spaventano e altre che rincuorano. Per tanti versi stiamo molto meglio dei nostri nonni, per altri il loro mondo era migliore di questo. Bisognerebbe assumere uno sguardo chirurgico, molto fine e attento al dettaglio: lì siamo migliorati, là siamo peggiorati. Cogliere le differenze. Essere grati per i grandi progressi degli ultimi decenni, ed essere critici e attivi contro i regressi o contro ciò che, semplicemente, non è peggiorato ma non è ancora migliorato.
  4. Aiutare (anche economicamente) chi è in difficoltà. È sempre stato così: chi sta bene vuole stare meglio. Ci sono famiglie e persone che non hanno soldi per fare la spesa, persone che a quarant’anni si ritrovano ancora precari e che per costruire una famiglia gettano il cuore oltre l’ostacolo pieni di timori e speranze. Regalare un buono per la spesa o comprare un po’ di cibo da portare al banco alimentare sono gesti che ai benestanti costano poco e che per i bisognosi significano tanto.

Non auguro un anno migliore, indimenticabile e tante altre cose retoriche dette ogni 31 dicembre. Auguro un anno buono, in cui riuscire a migliorarsi un po’, perché se non migliorano le persone nel loro gruppo familiare e amicale, il mondo, da solo, non può cambiare in bene.

Buon anno!