Abbiamo avuto un’estate ricca di eventi sportivi e di grandi soddisfazioni, risultati straordinari e inaspettati, dal campionato europeo di calcio alle numerose medaglie vinte alle Olimpiadi. Ma aldilà del mero aspetto sportivo voglio soffermarmi sul significato più profondo di queste vittorie.  Soprattutto direi che hanno vinto i valori, quelli veri, quelli alti.

 

La coppia Mancini e Vialli, durante il campionato europeo, è stata un esempio di grande amicizia. Il loro abbraccio, alla fine della partita che ha assegnato la coppa all’Italia, era frutto di un’intesa che va oltre l’interesse personale e lavorativo ma rappresenta l’umanità di due persone che si apprezzano, si rispettano e credono negli stessi valori. Un tipo di rapporto che vorremmo sperimentare tutti, l’amico che attraverso uno sguardo ti sa comprendere sempre, ti sostiene, con una parola o anche solo in silenzio. Quell’abbraccio ci ha parlato di comunità, rapporti interpersonali, bisogno di avere qualcuno accanto. C’è un detto: se vuoi partire fallo da solo, ma se vuoi raggiungere un obiettivo fallo con qualcuno. E loro sono arrivati insieme.

 

Federica Pellegrini, alle Olimpiadi, ci ha dimostrato che si può perdere con orgoglio perché è arrivato il tuo momento di perdere. Ci ha insegnato che nella vita bisogna combattere, provarci, allenarsi al meglio e accettare le sfide. Lei che negli anni è caduta, si è rialzata ed è tornata a brillare, ha preso atto che la sua carriera da atleta è arrivata al capolinea. Si è posta un obiettivo: la finale olimpica, la quinta della sua carriera, quella dei 200 stile e lì è arrivata. Poteva rinunciare, illudersi e illuderci di fare un estremo tentativo contro ogni legge naturale. È stata onesta con sé stessa e con il suo pubblico. È entrata in acqua per divertirsi e ha nuotato con il sorriso perché lei aveva già vinto. Sapeva di non poter andare oltre. È arrivata settima ma è rimasta “la regina”. È rimasta regina quando ha dichiarato di essersi divertita e che ormai era arrivata al termine di un bel viaggio. Lei ha guardato tutti dal traguardo, dalla meta. Erano le altre che dovevano ancora fare della strada.

 

La doppia medaglia d’oro di Tamberi e Barshim ci ha detto che esultare in due può essere più bello soprattutto se si è condivisa la sofferenza per lo stesso infortunio ed insieme si è giunti al medesimo traguardo.  Le storie di vita e di famiglia dei nostri velocisti Patta, Jacobs, Desalu e Tortu hanno messo in evidenza che bisogna imparare a convivere con i dolori del proprio passato e ad abbattere le catene che ci impediscono di volare guardando le proprie sventure da un’altra prospettiva.

 

Storie di abbandoni che si impara ad accettare, storie di vita di periferia che si riscattano attraverso i pugni dati su un ring, sul tappetino del tatami, marciando per chilometri o remando come forsennati. Storie di riconoscenza nei confronti delle famiglie che hanno sofferto insieme agli atleti in un difficile percorso di delusione, sacrificio e speranza. Storie di accoglienza e di inclusione per un’Italia multietnica e tricolore.  Abbiamo vinto una coppa e preso tante medaglie, hanno vinto degli atleti ma soprattutto lo sport ha lanciato il suo messaggio più bello: l’insegnamento di un’etica che aiuta a diventare grandi atleti ma innanzitutto persone migliori.