Bla bla bla. Così Greta Thunberg si rivolge ai politici di tutto il mondo: di fronte alle questioni ambientali, spesso, si parla molto e si agisce poco. Forse perché il problema ambientale sembra più lontano di quanto non sia realmente, o forse perché non si considerano i danni all’ambiente come danni ad un vero e proprio soggetto morale. Si tratta di capire, quindi, in che modo uno statuto morale possa essere applicato all’ambiente e come, di conseguenza, questo impatti sui doveri umani. 

La definizione che Treccani dà di «ambiente» è: 

«Con significato più concreto, la natura, come luogo più o meno circoscritto in cui si svolge la vita dell’uomo, degli animali, delle piante, con i suoi aspetti di paesaggio, le sue risorse, i suoi equilibri, considerata sia in sé stessa sia nelle trasformazioni operate dall’uomo e nei nuovi equilibri che ne sono risultati, e come patrimonio da conservare proteggendolo dalla distruzione, dalla degradazione, dall’inquinamento».

In questa sua definizione l’ambiente implica, oltre a dei fatti, anche degli atti, processi storici che lo hanno modificato in maniera concreta, e comportamenti necessari alla sua conservazione.
Molto dipende, però, da come consideriamo l’uomo nei confronti della natura: ne siamo padroni o custodi? Applicando il pensiero morale kantiano, l’ambiebte andrebbe trattato come mero mezzo per soddisfare i bisogni degli uomini o anche come fine?

L’evoluzionismo biologico darwiniano ha spazzato via le ipotesi circa la posizione gerarchica dell’uomo nella natura: egli non è più visto, nei confronti di quest’ultima, come un custode o come un padrone, ma semplicemente come una possibilità tra le tante dell’evoluzione. L’uomo si trova inserito in un ambiente e in una rete di relazioni che ne permettono la sopravvivenza. Esattamente come qualunque altro essere vivente, egli non è altro che una variante dell’evoluzione, e in quanto tale parte integrante della natura che lo circonda. Di conseguenza, proteggere l’ambiente dalla degradazione coinciderebbe con il proteggere se stessi e la propria sopravvivenza. 

Nell’etica applicata all’ambiente possono distinguersi due tipi di riflessione: un’ecologia della superficie, fondata sulla supposizione antropocentrica che l’uomo sia esterno rispetto all’ambiente e di conseguenza debba comportarsi nei suoi riguardi come un padrone o un custode, e un’ecologia del profondo, che si sviluppa dall’ambiente stesso e ha come soggetto la natura e non più l’uomo, che da categoria a sé stante diventa parte integrante dell’ambiente stesso.
L’antropocentrismo, dunque, non è sempre da condannare: esso varia da un tipo di pensiero fondato sull’idea che l’uomo sia padrone dell’ambiente e di conseguenza possa agire su di esso in maniera completamente arbitraria, ad una visione antropocentrica dell’uomo come custode della natura e dunque responsabile per essa.
Posto il fatto che, da ogni punto di vista, agire per proteggere il nostro pianeta ad oggi è l’unica scelta possibile, quale approccio, tra quello antropocentrico e quello ecocentrico, tra ecologia della superficie ed ecologia del profondo, è più corretto? 

Partendo dal presupposto che ormai, forse, è troppo tardi per discutere di categorie ontologiche, considerare l’uomo come parte integrante del sistema ambientale o come categoria superiore in grado di custodirlo o danneggiarlo è ormai indifferente. Abbiamo visto le conseguenze di un’umanità che si atteggia da padrona della natura e la sfrutta fino quasi all’osso per i propri fini e per i propri comodi, ma, arrivati al limite del tempo massimo per invertire una rotta che si prospetta catastrofica, poco conta che l’uomo si atteggi da custode o da componente dell’ambiente che deve salvare: in ogni caso l’umanità sarebbe danneggiata dalla crisi climatica, e in ogni caso, prima o dopo, le conseguenze di quest’ultima ci spingerebbero a reagire, almeno per limitare i danni. 

Che individualmente ci si voglia porre come custodi o come padroni, non cambia dunque il fatto che sempre, e in ogni caso, saremo anche parte di una trasformazione climatica che cambierà i connotati della natura e dell’ambiente all’interno dei quali solo possiamo esistere.
E se le parole non bastano, cosa siamo disposti a fare noi, nell’attesa (e nella speranza) che i politici di tutto il mondo trovino una strada comune con cui uscire da questa crisi? Dopotutto, in quanto «cittadini del mondo», anzi della natura, l’atteggiamento di ciascuno di noi è fondamentale per cambiare le abitudini e la rotta di un mondo che si è dimenticato di essere ambiente.