Lo scorso 15 agosto 2021 Kabul, capitale dell’Afghanistan, è nuovamente caduta in mano ai Talebani, i quali intendono restaurare l’Emirato islamico e abbattere quanto fatto dai governi occidentali negli ultimi vent’anni.
Le immagini di questo evento drammatico hanno in poco tempo fatto il giro del mondo puntando l’attenzione su quest’importante avvenimento storico. Fotogrammi strazianti, che sembrano provenire da un altro mondo, ci mostrano un clima di terrore: migliaia di civili afghani in fuga, strade disastrate in cui rimbombano urla e spari, talebani che cancellano le tracce della vita occidentale della città bruciando bandiere e molto altro.
Tra queste, un’immagine significativa è quella che mostra un gruppo di talebani nell’atto di oscurare strappando o ricoprendo manifesti pubblicitari ritraenti donne. Sono foto forti che evidenziano come in pochi giorni siano stati spazzati via i numerosi passi in avanti dell’emancipazione femminile afghana, cancellati proprio come quei poster.
Le donne afghane, che nell’ultimo ventennio hanno ricoperto un importante ruolo nella ripresa economica e culturale del paese, sono le prime vittime delle restrizioni imposte dai talebani e dalla loro assidua applicazione della legge coranica.
In questo contesto, l’arte diventa più che mai utile per lanciare un messaggio, per richiamare l’attenzione del pubblico in modo chiaro e incisivo su alcune tematiche. Nel secolo della digitalizzazione in cui il flusso degli stimoli visivi è costante, nessuno può sfuggire ad immagini come quella della fotografa yemenita Boushra Y. Almutawakel “Mother, Daughter, Doll”, risalente al 2010, ma attuale più che mai.
Almutawakel da sempre cerca di raccontare la sorte di migliaia di donne che in ogni angolo del mondo rischiano di essere annientate da contesti politici e religiosi estremi. In questi sistemi terrificanti, le donne non solo temono di perdere la vita e la libertà, ma ciò che maggiormente soffrono è l’idea di essere cancellate dal mondo e dalla storia. In questo la fotografia “Mother, Daughter, Doll”, che correda questo articolo, è più che mai esaustiva.
Sono molte le artiste che hanno sfruttato la loro posizione privilegiata per attirare l’attenzione su questa particolare tematica. Farzana Parween Wahidy, per esempio, è una fotografa di fama internazionale, cresciuta sotto il potere talebano, che è costretta a frequentare la scuola segretamente nascondendo i libri sotto il burka. Questa sua resilienza ha fatto sì che diventasse, nel 2004, la prima fotogiornalista afghana a lavorare con un’agenzia internazionale. I suoi scatti mirano a ritrarre la vita delle donne afghane nella loro quotidianità così come i problemi legati al mostrare il proprio volto.
Anche Shamsia Hassani, afghana e autrice di molti graffiti, è un’importante figura di riferimento in questo contesto. Hassani ha commentato l’ingresso dei talebani a Kabul con la sua illustrazione dal titolo “Death to darkness”, pubblicandola sul suo profilo Instagram. Il suo lavoro, in aperta sfida al regime talebano, offre un esempio positivo di lotta e coraggio al femminile che mostra quanto, seppure i vent’anni d’emancipazione femminile e di progresso sembrino un lontano ricordo dopo l’arrivo dei talebani, la resistenza delle donne afghane non sia stata annientata, ma resa ancora più resiliente.
Ed è con questo messaggio dell’artista che voglio concludere l’articolo di questo mese “L’arte cambia la mente delle persone, le persone cambiano il mondo”.