Regno Unito, 1859: Charles Darwin pubblicò, un po’ spaventato, Sull’origine delle specie per selezione naturale, ovvero la conservazione delle varietà avvantaggiate nella lotta per l’esistenza. Le reazioni del pubblico andarono da un grande interesse a una decisa condanna di ateismo, perché Darwin stava contraddicendo il racconto biblico della Genesi: dal 1859 l’uomo non era più creato da Dio, ma animale come tutti gli altri. È una teoria che oggi si conosce, che si dà per scontata e che forse non si approfondisce neanche. Ma davvero ci si rende conto delle conseguenze esistenziali, morali e religiose che tale fatto comporta?

Dagli anni ’80 circa si è iniziato a discutere molto di ecologia e ambiente e nel seno di quelle riflessioni è nata l’ecologia profonda. Essa si basa sull’assunto che la vita umana non valga più di quella degli altri animali, ma che ogni essere vivente sia ugualmente degno di vivere e di vivere in una rispettata biodiversità. Probabilmente la scoperta darwiniana ha offerto solide ragioni a questa direzione: in effetti, se si vuole prendere Darwin sul serio, allora il problema ambientale di oggi non è un problema dell’uomo, ma di tutte le specie viventi nel loro complesso; il punto non deve più essere non inquinare o non distruggere le foreste perché il suolo e gli alberi sono utili per l’uomo presente e futuro, no: il punto dev’essere rispettare l’ambiente perché è giusto in sé, perché in sé è uno sbaglio permettere che le api scompaiano. Quello dell’ecologia profonda è forse in prima battuta un modo di pensare e di sentire emotivamente l’ambiente: prima di arrivare ai coraggiosi gesti ambientalisti, l’ecologia profonda invita a considerare il ragno di campagna come un essere vivente che sta vivendo nel luogo a lui idoneo e che ha tutto il diritto di vivere, esattamente il diritto che ho io, essere umano. D’altronde, perché io sì e lui no? (Vuole essere una provocazione: la risposta sul piano evoluzionistico tirerebbe in ballo il successo del più adatto).

L’ecologia profonda richiede uno sguardo monistico verso la realtà: la Vita è una, ed essa si manifesta in un numero sterminato di specie. I sistemi filosofici monistici, come quello spinoziano, insegnano a non parcellizzare il reale, ma a vederlo come un tutto organico la cui potenza propulsiva si esprime in infiniti modi diversi. Per una serissima urgenza morale, spirituale e complessivamente esistenziale, l’essere umano è chiamato ad esercitare occhi monistici e a ripetersi ogni giorno: «La Vita è una, e io non sono che uno degli infiniti punti di sviluppo della realtà».