«Il fine e la realizzazione della storia dell’arte sono la comprensione filosofica di che cosa sia l’arte, una comprensione che si ottiene nello stesso modo in cui si può raggiungere la comprensione in ciascuna delle nostre vite, cioè dagli errori che commettiamo, dai falsi sentieri che seguiamo, dalle false immagini che abbiamo finito per abbandonare finché non abbiamo imparato ciò in cui consistono i nostri limiti, e poi come vivere al loro interno».
(Arthur C. Danto, After the End of Art)

L’ontologia dell’arte nasce nel corso del ‘900 per applicare gli strumenti filosofici dell’ontologia (che studia ciò che è) all’ampio dominio della realtà delle forme d’arte, tentando di rispondere in maniera esaustiva alla domanda «che cos’è un’opera d’arte?» in un mondo in cui gli artisti avevano cominciato a produrre non solo tanta arte, ma anche un’arte particolare e completamente altra rispetto a quella del canone tradizionale descritto dal Vasari: come si può giustificare la presenza all’interno dello stesso dominio ontologico di opere tanto eterogenee, come la Venere di Botticelli e l’Orinatoio di Duchamp? 

Nel ventesimo secolo si presenta nel mondo dell’arte un problema nuovo, un problema di concettualizzazione, di riconoscimento ontologico delle opere d’arte, per cui gli strumenti del senso comune non bastano più, e viene dunque chiamata in aiuto la filosofia. Questa nuova tipologia di produzione artistica richiede infatti un cambiamento alla radice della definizione stessa del concetto di arte, che renda possibile l’inclusione o l’esclusione normativa di un determinato oggetto dalla categoria ontologica che contiene gli oggetti artistici. 

Il problema del riconoscimento ontologico delle opere d’arte non è però soltanto un problema teorico. Nella sua opera scultorea Bird in Space Constantin Brâncuși rappresenta un oggetto, ma non lo imita: la struttura affusolata riporta all’idea di qualcosa di aerodinamico, ma non rappresenta affatto un uccello come si enuncia nel titolo, ed è alla dogana per il trasporto dell’opera negli Stati Uniti che si presentano i primi problemi ontologici. I doganieri non riconoscono l’oggetto come un’opera d’arte, bensì come utensile, e lo classificano come tale, con tutti i problemi di tipo fiscale che ne conseguono: le opere d’arte, infatti, nel loro trasporto, sono soggette a tassazioni più basse rispetto agli oggetti d’uso quotidiano. Anche Andy Warhol, con le sue celebri Brillo Boxes, è andato incontro ad un inconveniente simile. Dopo la sua prima importante esposizione a Manhattan, nel 1965 decide di esporre le sue opere anche in Canada, ma alla dogana la situazione si presenta simile e allo stesso tempo opposta a quella di Brâncuși; se in Bird in Space i doganieri non avevano visto nulla che rimandasse all’imitazione di un vero uccello, in questo caso, invece, vedono qualcosa che erano abituati a vedere tale e quale ogni giorno sugli scaffali dei supermercati, e basando la loro idea di arte sui canoni tradizionali non potevano considerare una creazione artistica qualcosa che non solo non era originale, ma una vera e propria copia in serie di qualcosa di già esistente, con limitate modifiche alle proprietà esteriori dell’oggetto. Secondo la tradizione romantica l’artista era caratterizzato da genio e originalità, e di conseguenza un’opera d’arte non poteva essere uguale a nient’altro. Le Brillo Boxes, infatti, non erano state un’invenzione di Warhol, ma di un designer che le aveva create in maniera funzionale alla pubblicità e all’utilizzo che se ne sarebbe fatto. 

Il problema ontologico dell’arte è stato posto per la prima volta da Arthur Danto: l’ontologia dell’arte va ripensata sulla base del fatto che nella classe dell’arte gli artisti chiedono di inserire oggetti che al senso comune non sembrano arte, deviando irrimediabilmente dal corso narrativo che prima la definiva. Il filosofo si focalizza in una critica della filosofia dell’arte che si trova costretta a venire a patti con la caratteristica forse più imbarazzante dell’arte contemporanea, che ogni cosa è possibile, intervenendo, ma solo in maniera descrittiva, e fornendo agli artisti gli strumenti per giustificare le loro opere. Le categorie tradizionali dell’arte difficilmente riescono a dare ragione di simili produzioni: le uniche soluzioni sono creare un’impostazione normativa (complicata e limitante) che regoli in maniera netta l’appartenenza di un determinato oggetto alla categoria artistica o la sua esclusione, oppure allargare i confini del mondo dell’arte, affinché in esso vi possano rientrare anche opere che al senso comune tradizionale possono non apparire come tali.

In un secolo in cui le produzioni artistiche generano allo stesso tempo stupore e incredulità, portando gli osservatori a pensare «potevo farlo anche io!», la filosofia si rivela fondamentale risolutrice di problematiche concrete del mondo moderno, e non un mero contenitore di concetti obsoleti.

Denise Arneodo