Ho conosciuto Portland nel 2015 quando ho deciso di frequentare il quarto anno di superiori in una high school americana.

La città è diventata immediatamente la mia seconda casa, il mio mondo lontano, la mia isola segreta. E sottolineo il “mia” per enfatizzare la sensazione di appartenenza, quasi gelosa, alla città.

C’è poco da discutere, chiunque sia stato nella metropoli può affermare quanto sia bella e come sia facile innamorarsene.

Mentre Los Angeles è sole e oceano, i newyorchesi sono ossessionati dalla carriera e a Chicago c’è sempre vento, Portland è famosa per essere la casa degli eccentrici. Merito dello slogan pubblicitario Keep Portland weird e del successo della serie tv Portlandia che dipinge la metropoli come luogo ideale per gli anticonformisti e mecca per gli hipster. Molti giovani si sono trasferiti in Oregon per seguire le proprie passioni e sentirsi liberi di scegliere, vivendo una vita tranquilla.

La quiete e la serenità vengono alimentate dalle bellezze naturalistiche che caratterizzano l’Oregon: Portland è circondata dalla foresta, viene attraversata dal Willamette River e presenta numerosi giardini pubblici e parchi. Viene definita la città delle rose e ricalca perfettamente l’immagine della green city coniugando ecologia e urbanizzazione. Gli abitanti sono tutti amanti della natura, dello sport e dell’aria pulita.

Oltre a essere considerata attiva dal punto di vista ecologico, la città è anche famosa per il suo attivismo politico. A differenza di moltissimi stati americani, l’Oregon si può affermare democratico: da sempre si lotta per la parità, l’uguaglianza e i diritti dell’uomo. Si svolgono innumerevoli scioperi e manifestazioni a cui partecipano migliaia di persone, di tutte le etnie.

È un luogo eterogeneo, cosmopolita e progressista.

Spesso le mostre del Portland Art Museum denunciano ingiustizie e disparità del mondo, stimolando i visitatori a essere più solidali verso gli altri e creare un clima equo e paritario. Si crede nella lealtà, nell’unione e nella condivisione.

Basta vedere cosa è successo negli ultimi mesi: la città ha reagito al movimento Black Lives Matter e la gente è scesa in downtown a protestare 24/7. Conosco dei ragazzi a cui hanno spruzzato lo spray al peperoncino in faccia, altri a cui le forze federali inviate da Trump hanno portato via un familiare mentre era in strada a protestare.

Eppure, è una metropoli che resiste e non si arrende, che continua a lottare per supportare i propri ideali.

Il 2020 la sta mettendo duramente alla prova: prima l’epidemia, poi gli scontri violenti e misteriosi tra manifestanti e federali, ora gli incendi che si stanno propagando in tutta la zona.

Moltissime persone hanno dovuto lasciare la propria casa ed evacuare dalle città oregoniane. Se prima non si usciva dalla propria abitazione per paura del virus o di venir rapiti da veicoli senza targa, ora non si esce per l’impossibilità di respirare a pieni polmoni: il cielo è rosso fuoco, il fumo e la nebbia si possono tagliare con la lama di un coltello.

Le fiamme si alimentano ogni giorno, aiutate da incendi dolosi e dal fatto che ci sia tantissimo verde. Piano piano distruggono alcuni dei luoghi naturalistici più antichi e famosi d’America.

La città sta soffrendo, sia per le conseguenze del cambiamento climatico, sia per le decisioni prese dal presidente americano. Ancora più spaventoso è pensare cosa potrebbe succedere se Trump vincesse di nuovo le elezioni, ipotesi da non sottovalutare.

Fa male pensare che la propria città del cuore sia in difficoltà, che gli affetti che ci vivono siano in pericolo e che bisognerà aspettare la stabilità prima di rivedersi.

Spero che l’anima della città non venga modellata dall’odio e dai disagi che sta vivendo. Spero che rimanga pura e che esca vincitrice dalle complicazioni di questo anno crudele, più forte e, se possibile, ancora più vera.

Keep strong.