Le donne nella società-parte IV: le quote rosa in Italia

Nel contesto italiano le donne hanno sempre ricoperto un ruolo marginale all’interno della società, faticando ad emergere in un ambiente prettamente maschile, fondato sull’idea dell’uomo lavoratore. Per poter far evolvere la situazione e avere più indipendenza sono state portate avanti numerose battaglie, la cui svolta decisiva è avvenuta nel 1945 con l’affermarsi del diritto di voto alle donne. Grazie al suffragio femminile si aprirono nuovi scenari all’interno del contesto politico, tra cui l’introduzione del meccanismo delle quote rosa. Una novità importante che ha fatto in modo che la donna potesse emergere in quegli ambienti da sempre caratterizzati da presenze maschili, dove ormai l’idea che una donna potesse partecipare e prendere decisioni andava sempre più scemando.

Il primo comma dell’articolo 51 della Costituzione italiana recita: «tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne». Si può quindi affermare che dal dopoguerra c’è stato un vero e proprio passo in avanti per quanto riguarda la parità di genere nella vita politica e sociale. Secondo l’Enciclopedia Treccani, le quote rosa sono un «provvedimento – generalmente temporaneo – volto a garantire la rappresentatività delle donne nei segmenti della classe dirigente di soggetti pubblici e privati (vertici aziendali, consigli di amministrazione, liste elettorali) attraverso la definizione di una percentuale minima di presenze femminili».

Principalmente le quote rosa sono state utilizzate per aumentare il numero di donne presenti nei parlamenti. Il 12 luglio 2011 la legge 120/2011 è stata approvata ed è entrata in vigore grazie a Lella Golfo e Alessia Mosca; secondo tale legge gli organi delle società quotate dovranno essere rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri al genere meno rappresentato: le donne.
La legge Golfo-Mosca ha assunto non solo importanza storica per la corporate gender equality, ma anche importanza giuridica: è la prima legislazione che prevede il rischio di non conformità nel caso di mancato adeguamento agli obblighi normativi, ovvero il rischio sia di sanzioni pecuniarie sia di decadenza dell’intero organo eletto. La legge ha una validità di dieci anni, durante i quali le donne possono mettere a servizio le proprie conoscenze, esperienze e competenze. La legge è formata da tre articoli fondamentali:

Art.1: Equilibrio tra i generi negli organi delle società quotate. «Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi».
Art 2: la decorrenza. «Le disposizioni della presente legge si applicano a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti».
Art 3: società a controllo pubblico. «Le disposizioni della presente legge si applicano anche alle società».

Alcuni dati

Il Rapporto Cerved-Fondazione Marisa Bellisario 2020, realizzato con Inps, riporta importanti dati riguardanti le donne in politica e ai vertici delle imprese, tra cui i seguenti:

  • nel 2008 le donne nei Cda delle società quotate erano 170, ossia il 5,9%, mentre oggi sono 811, il 36,3%.
  • Nel 2012 le donne nei collegi sindacali erano il 13,4%, nel 2019 sono diventate il 41,6%.
  • Ci sono 475 sindaci donne.
  • L’Italia è, con Francia, Svezia e Finlandia, tra i pochi Paesi europei ad aver superato il tetto del 30% nei CdA.
  • Nelle controllate pubbliche, la percentuale è più bassa: 28,4%. «Dove le nomine le fa la politica – sottolinea Golfo – la percentuale è più bassa, perché non si mettono d’accordo o lo fanno sul nome di un uomo».
  • Nelle società non soggette alla legge Golfo-Mosca, la presenza femminile è solo il 17,7%.
  • Nelle quotate, le donne amministratrici delegate rappresentano soltanto il 6,3%, le presidenti il 10,7%. Secondo una recente ricerca Equileap, l’Italia rimane comunque dietro gli altri grandi paesi europei per l’equità tra uomini e donne nelle quotate, nonostante sia ai primi posti in Europa per presenza di donne nei CdA.

Stando agli ultimi dati del World Economic Forum, per colmare il divario economico di genere serviranno oltre due secoli, per la precisione 257 anni. Golfo ha affermato che «abbiamo fatto passi da gigante ma ci siamo fermati all’obbligo, non siamo andati oltre. Il tema è principalmente culturale. Quando ho pensato alla legge, credevo che le donne nei CdA avrebbero dedicato molta più attenzione alle altre donne, e in particolare a quelle nelle aziende. Purtroppo, non è avvenuto. Chi ce la fa per prima, dovrebbe mandare giù l’ascensore per far salire altre donne, invece l’ascensore si è fermato a metà». Il problema non è solo italiano. Dallo studio europeo di European Women on Boards, soltanto il 6% delle società dell’indice di borsa STOXX Europe 600 ha a capo una donna. Inoltre, secondo il Global Gender Gap Report 2021, il potenziamento politico femminile, a livello globale, è al 22%. Per giungere alla parità, serviranno 145,5 anni.

Pro e contro

Naturalmente tali cambiamenti, soprattutto in un contesto politico, hanno suscitato diverse reazioni e tesi contrastanti di coloro che valutano i pro e i contro di questo meccanismo. Chi è favorevole sostiene che la legge Golfo-Mosca possa portare in evidenza temi e questioni che, altrimenti, verrebbero tralasciate. Avendo anche una presenza femminile all’interno del Parlamento, è possibile avere delle visioni più ampie che tengono conto degli interessi del genere femminile e che mettono in risalto punti di vista eterogenei. Le donne possono così dare voce ai propri pensieri, far risaltare le proprie opinioni e sostenere le proprie idee, senza doversi sempre attenere a un punto di vista prettamente maschile. In questa concezione le quote rosa rappresentano un meccanismo essenziale per garantire un’adeguata parità nella rappresentanza parlamentare delle donne, sistematicamente sottorappresentate. Inoltre, spesso, la figura femminile rappresenta una figura positiva negli ambiti politici perché porta allo sviluppo di un vero e proprio cambiamento: essendo, in genere, molto sensibili e attente, le donne possono portare all’affermazione di nuovi modi di pensare e agire, e questo anche nell’ambito lavorativo comporta una maggiore competitività̀.  Da questa riflessione si può evincere che è importante far valere il talento delle donne senza discriminarle solo per il genere di appartenenza.
Tuttavia, si è osservata anche una posizione contraria alle quote rosa, dettata dal sospetto che questo meccanismo possa sviluppare effetti negativi in relazione alla meritocrazia. Riservare un numero di seggi obbligatorio alle donne vorrebbe dire sceglierle non in base alle loro capacità, conoscenze e competenze, ma solo per il loro genere. Altri sostengono che le donne siano meno ambiziose e competitive degli uomini, con meno esperienza e capacità, il che significherebbe far ricoprire incarichi prestigiosi e fondamentali a figure meno competenti.

In ogni caso è fondamentale cercare di includere e imparare gli uni dagli altri. La presidente della camera Laura Boldrini ha istituito a Montecitorio una sala dove sono presenti quadri in cui viene raffigurato il volto delle donne e le rispettive cariche istituzionali assunte. Tre di questi quadri hanno al proprio interno uno specchio, in modo che qualunque donna possa aspirare a ricoprire quelle cariche che sono sempre state prive di rappresentanza femminile ovvero quella del presidente della Repubblica, presidente del Senato e presidente del Consiglio dei Ministri. Boldrini afferma infine: «nonostante gli enormi passi avanti fatti negli anni, spesso la donna viene considerata ancora come oggetto o elemento di non garanzia o di non sviluppo della società equiparando la parola donna a debolezza o nullità. Quindi si può affermare che le donne danno la vita, le donne insegnano la vita, le donne amano la vita e continueremo a lottare per quella parità di generi che ci spetta».

 

Le donne nella società-parte III: il caso dell’India

La disuguaglianza di genere è un argomento molto importante e da non sottovalutare: cercare di ridurre il gender gap è fondamentale non solo per ragioni etiche, ma anche perché l’esclusione sociale può portare a una riduzione generale del welfare di un paese.

Secondo il World Economic Forum’s Global Gender Gap Report, il gap tra generi è ancora molto largo. Il Global Gender Gap Index è un benchmark che traccia l’evoluzione delle differenze tra uomini e donne e tiene conto, nel tempo, del progresso verso la chiusura di questo gap. L’indice lavora secondo quattro dimensioni chiave: la partecipazione e le opportunità economiche, l’educazione, la salute, e il potere politico di un individuo (Economic Participation and Opportunity, Educational Attainment, Health and Survival, Political Empowerment). Globalmente, la distanza media che è stata completata per raggiungere la parità è al 68%, addirittura meno rispetto al 2020. Questi risultati sono per spiegati con il declino delle misure sociali di molte nazioni, soprattutto quelle in via di sviluppo. Da ora in poi serviranno circa 135.6 anni per chiudere il gap in tutto il mondo.
Questi dati mettono i brividi, i gap più sostanziosi rimangono quelli in potere politico, chiuso solo al 22%, e quello in partecipazione e opportunità economica, chiuso al 58%: effettivamente pochissime donne sono in politica e i numeri sono molto bassi anche considerando posizioni manageriali e professionali ad alto livello. Inoltre, la strada per il raggiungimento di un pari ed equo stipendio è ancora molto lunga.

Il caso dell’India

Come già accennato, questo scarto tende a peggiorare se consideriamo paesi in via di sviluppo in cui la povertà, l’analfabetismo e la completa mancanza di risorse e aiuti (sia sociali che economici), non migliora la posizione della donna. Inoltre, molte civiltà fondano le proprie origini su tradizioni e culture che hanno sempre discriminato la figura femminile, svalutandola e mettendola da parte.
Ad esempio, l’India è un paese caratterizzato da una lunga e radicata discriminazione sociale che è originata dalle antiche tradizioni dei matrimoni combinati e dal fatto che la società sia strutturata in caste. L’India presenta spesso dati statistici e indicatori economici e sociali molto più bassi rispetto a quelli di altri paesi in via di sviluppo con caratteristiche simili, come ad esempio il livello di reddito pro-capite, il tasso di mortalità, la malnutrizione, l’uso di contraccettivi, la fertilità etc.

Dopo aver dichiarato la propria indipendenza nel 1947, l’India ha adottato un sistema democratico di governo molto simile a quello del sistema parlamentare britannico. Questo radicale cambiamento avrebbe dovuto giovare alle condizioni della donna, garantendo eque opportunità lavorative e gli stessi diritti. Eppure, questo non è stato il caso, e la seguente tabella mostra diverse statistiche riguardanti le disuguaglianze della nazione:

World development indicators (2019) Male Female

Labor force participation rate (% of population aged 15+, national estimate)

75.8

26.2

Labor force with advanced education (% of working age population with advanced education)

80.99

30.57

Educational attainment at least primary (% of population 25+ years)

85.04

78.8

Educational attainment upper secondary (% of population 25+ years)

41.6

34.6

Literacy rate (% of population)

84.7

70.3

Median gross hourly salary (₹)

242.49

196.3

Source: own elaboration based on data retrieved from Gender Statistics database (The World Bank), Monster Salary Index (MSI) published in March 2019 and the National Statistical Office (NSO)

Infatti, l’India si classifica 140esima tra 156 paesi nel World Economic Forum’s Global Gender Gap Report 2021, diventando la terza peggiore performer in Asia del Sud.

Uno dei più grandi problemi che contribuiscono a questa persistente disparità è la sotto rappresentazione delle donne in politica, a livello nazionale o locale, a causa di norme culturali, barriere politiche e discriminazioni.
Nel 1971, un comitato sulla condizione delle donne è stato nominato per analizzare ed esaminare la loro posizione nelle opportunità politiche. Il rapporto del comitato, intitolato Towards Equality e pubblicato nel 1974, concludeva che l’impatto delle donne in politica era marginale anche se numericamente erano la minoranza più numerosa: il comitato ha proposto che ogni partito politico stabilisse una quota per le candidate come misura correttiva.
Nel 1992, il 73° emendamento costituzionale indiano ha imposto un decentramento di vasta portata istituendo un sistema di consigli a tre livelli: di distretto, di blocco e di villaggio. A livello di villaggi, i gram panchayat (GP) rappresentano il livello più basso del governo locale, composto da un presidente (pradhan o sarpanch) e dai membri del consiglio eletti dai rioni del panchayat. Le responsabilità del gram panchayat includono: la fornitura di servizi pubblici in materia di sanità, istruzione, acqua potabile e strade; fissare le tariffe e amministrare le tasse locali; l’amministrazione, la formulazione e l’attuazione di piani di sviluppo locale; la selezione dei beneficiari e l’attuazione dei programmi sociali ed economici sponsorizzati dal governo centrale. Le assemblee regolari (gram sabhas) di tutti gli elettori nel GP hanno lo scopo di monitorare le prestazioni e aumentare la responsabilità.
Inoltre, l’emendamento prevedeva che un terzo dei seggi in tutti i consigli del Panchayat, così come un terzo delle posizioni di Pradhan, dovesse essere riservato alle donne, le così dette quote rosa. La prenotazione è stata assegnata casualmente tra i villaggi.

Le quote rosa: una via di cambiamento?

In un articolo pubblicato dal Journal of Development Studies (giugno 2011), tre ricercatori hanno analizzato come questa politica di quote rosa ha impattato sui risultati politici di questi consigli di villaggio. I dati utilizzati provenivano da un’indagine rappresentativa a livello nazionale di 233 villaggi nell’India rurale, condotta nel 2007 dal National Council of Applied Economics.
Il set di dati contiene informazioni relative alle diverse caratteristiche del villaggio e alle caratteristiche relative al nucleo familiare di ciascun intervistato. Ogni membro della famiglia di età pari o superiore a 16 anni ha fornito le seguenti informazioni: informazioni personali (quali sesso, età, istruzione, casta, matrimonio, religione…); la sua opinione personale sulla performance del panchayat alla data attuale (2007); la frequenza e natura della sua partecipazione alle riunioni di gram sabha; la sua disponibilità a contribuire ai beni pubblici.
La variabile esplicativa di interesse, ovvero quella che è stata utilizzata per poter poi valutare l’introduzione delle quote rosa, è lo stato di prenotazione di ciascun villaggio, quindi se nel villaggio è stata imposta (reserved village) o meno (unreserved village) la prenotazione femminile durante le ultime tre elezioni. Questo è molto importante per poter fare un’analisi precisa, confrontando villaggi in cui le donne avevano diritto di partecipare alle riunioni e alla vita politica, e villaggi in cui il ruolo femminile in politica è rimasto emarginato.

La letteratura sulle quote di genere non è unanime. Da un lato i ricercatori ritenevano che l’attuazione del potenziamento politico femminile potesse garantire un migliore sviluppo e aumentare l’utilizzo del potenziale umano della società; come? Dando più voce alle donne, portando a un aumento delle segnalazioni di reati e una maggiore resistenza alla violenza, fornendo maggiori investimenti in sanità e istruzione e garantendo maggiori sforzi per attuare riforme fondiarie redistributive e una legislazione successoria favorevole alle donne con meno corruzione.
D’altra parte, i critici osservano che tali misure possono portare in carica individui con meno esperienza e qualifiche e che potrebbero essere facilmente manipolati dalle élite tradizionali (ad esempio le donne potrebbero venir costrette a fare determinate cose dai mariti o dalla famiglia).
Il contributo degli autori dell’articolo a questa letteratura consiste nell’analizzare se la prenotazione femminile nei villaggi ha impatti positivi o negativi sulla comunità locale, in particolare misurando il suo effetto su diverse variabili di esito, come la percezione degli elettori sul livello di trasparenza e responsabilità del consiglio, la disponibilità dell’elettore a partecipare alle riunioni e a contribuire ai beni pubblici.

I risultati trovati sono molto interessanti. Gli autori hanno notato che nei villaggi riservati, quindi quelli con le quote rosa, c’è stato un netto miglioramento sotto tanti punti di vista.
Innanzitutto, secondo gli elettori, avere una donna al potere aumenta la facilità con cui possono essere risolti i problemi locali e un miglioramento per quanto riguarda la corruzione e la responsabilità dei funzionari per i loro compiti. Inoltre, avere più donne in politica ha portato l’aumento del tasso di partecipazione e presenza agli incontri, consentendo anche alle donne, fino ad allora escluse, di poter esprimere la propria opinione e di diventare sempre più sicure di sé e indipendenti.
Infine, gli autori hanno notato più volontà da parte dei membri del villaggio nel contribuire economicamente ad alcuni beni pubblici, come l’acqua, le strade, la corrente elettrica e gli investimenti in sanità, salute ed educazione. Queste donazioni hanno permesso di migliorare le condizioni di vita dei villaggi, fornendo maggiori risorse e qualità dei servizi.
Dall’analisi è anche emerso che, per ottenere i benefici dell’inserimento delle quote rosa, c’è bisogno di tempo. Bisogna permettere alle donne di imparare a sfruttare le opportunità per far sentire la propria voce. Questo processo di apprendimento è qualcosa che avviene su orizzonti più lunghi: da un lato le donne necessitano di tempo per imparare e farsi rispettare, dall’altro lato gli uomini hanno bisogno di tempo per abituarsi ad avere una figura femminile al comando.

Si può quindi concludere che, nel complesso, la riserva femminile ha avuto un impatto positivo sugli esiti politici dei consigli dei villaggi rurali. Le quote rosa aumentano il livello e la qualità della partecipazione ai processi politici, della capacità di chiedere conto ai funzionari locali e della volontà degli individui di contribuire a diversi tipi di beni pubblici.
Questo è sicuramente un bene per la società, è importante che ci si renda conto dell’importanza dell’inclusione. Visti i risultati della ricerca, è evidente che sarà impossibile raggiungere risultati positivi nel breve periodo, ma che permettendo alle donne di farsi valere, di partecipare e di poter contribuire alle dinamiche della società, nel lungo termine le condizioni di vita non possono che migliorare, sia da un punto di vista sociale, che politico, che economico.

Patti Smith, la sacerdotessa del rock

La new wave è un’ondata di nuovi generi e tipologie di musica pop rock che diventò popolare negli anni settanta e ottanta. Una delle protagoniste di questa corrente musicale è Patricia Lee Smith, conosciuta come Patti Smith. Cantautrice, poetessa e artista statunitense, Patti Smith è sempre stata una figura atipica e rivoluzionaria nel rock, il suo grande carisma interpretativo e la suggestiva potenza delle sue canzoni l’hanno portata a guadagnare il soprannome di “sacerdotessa del rock”. 

Anche se non pubblica un album da diversi anni, Patti Smith è sempre in movimento, continua a scrivere e a fare concerti rivelandosi una fonte di creatività e ispirazione, così come quando si rivelò al pubblico per la prima volta: una donna magra, con i capelli scompigliati e la voce arrabbiata. Un suono elettrico e stridente per sottolineare il suo credo, la sua libertà e la sua indipendenza.

La rivista Rolling Stone l’ha inserita al quarantasettesimo posto nella classifica dei 100 migliori artisti e all’ottantatreesimo nella lista dei più grandi cantanti. 

La star ebbe un’infanzia complicata, durante il liceo trovò rifugio nella musica di artisti soul e rock come James Brown, i Rolling Stones, i Doors e Bob Dylan. Nel 1967 abbandonò il college dopo aver avuto una bambina, successivamente data in adozione, prese un autobus e scappò a New York per diventare un’artista: “New York con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei parchi, nelle strade, e nessuno mi ha mai fatto del male. Vivere lì è come stare in una grande comunità”.

Nella Grande Mela, a 21 anni, incontrò Robert Mapplethorpe, un fotografo che avrà poi molto successo. Senza soldi, ma pieni di ambizioni, i due giovani artisti si innamorarono, vivendo da bohemien nel famoso Chelsea Hotel. In quegli anni Patti si lasciò ispirare dalla sua nuova vita, componendo, dipingendo e scrivendo poesie, mentre lavorava in una libreria per mantenersi. Questa realtà durò fino al 1972, quando Robert si innamorò di un gallerista d’arte e se ne andò, rompendo la bolla di magia. Patti raccontò successivamente la loro avventura in Just Kids, un libro spirituale sull’euforia di quegli anni, con il quale si aggiudicò il National Book Award.

Nonostante il cambiamento, la cantautrice continuò la sua rivoluzione cantando poesie senza compromessi, accompagnata dalla chitarra elettrica di Lanny Kaye, facendosi conoscere sulle scene musicali underground. Con il suo primo singolo Hey Joe/Piss factory, segnò l’anno zero nella new wave americana. Conobbe figure determinanti per la sua carriera e la sua evoluzione musicale come Lou Reed e Bob Dylan, frequentò poi Andy Warhol, Sam Shepard e grandi poeti come Allen Ginsberg e William Burroughs.

Nel 1975 pubblicò il primo album, Horses, dai brani struggenti, aggressivi e rock. Patti Smith inventò un vero e proprio nuovo linguaggio, la copertina dell’album è una foto scattata da Robert, in cui la cantante sfida l’obiettivo con un’espressione severa e i capelli scompigliati. Furono anni di ascesa e concerti mondiali, l’artista pubblicò nel 1976 Radhio Ethiopia, nel 1978 Easter, con la hit Because the Night scritta insieme a Bruce Springsteen e infine nel 1979 Wave, anno in cui in Italia fece il tutto esaurito a Firenze e Bologna.

Sempre nel ’79 Patti Smith abbandonò New York per seguire Fred “Sonic” Smith, chitarrista del gruppo rock gli MC5, a Detroit. I due si sposarono, ebbero due figli e si allontanandosi per un certo periodo dal palcoscenico. Un giorno Fred le disse “Le persone hanno il potere, scrivilo. La gente ha il potere di redimere l’opera dei pazzi”. Fu così che la star pubblicò l’album Dream of life, creato dal grido di battaglia People have the power.

Successivamente l’artista visse due tragedie in poco tempo, la scomparsa del marito e quella del fratello. Per sconfiggere il dolore tornò ad esibirsi, fu l’inizio di un nuovo capitolo della sua carriera.

Portò a termine un nuovo album, Gone Again, che testimoniava ancora una volta la sua forza di rialzarsi e affrontare i traumi della vita. Nel 1977 uscì Peace And Noise, con il singolo 1975, un anthem rock ispirato all’invasione cinese in Tibet, il Dalai Lama infatti era un riferimento spirituale di Patti. Il brano funzionò da tutti i punti di vista e riuscì a strappare anche una nomination ai Grammy Awards. 

La cantautrice di Chicago si espose anche politicamente “Non ho mai pensato di essere una politica, ma ho sempre voluto comunicare qualcosa”. Nel 2000 pubblicò Gung Ho, un album rock classico che sin dal titolo, riportando l’espressione cinese “Ho”, indica la voglia di continuare a combattere con entusiasmo “È lo spirito dell’album: voglio chiudere questo secolo e affrontare il nuovo con un’energia positiva”. Ma allo stesso tempo l’espressione “Ho” fu anche un omaggio a Ho Chi Minh

Testarda e piena di energie, Patti non volle mai fare i conti con l’età e con la fine di un’epoca, di cui è stata indubbiamente protagonista. Nei primi anni 2000, continuò ad esibirsi e a pubblicare album come TrampinTwelve. Quest’ultimo è l’insieme di 12 cover americane scelte e reinterpretate dall’artista, tra cui spicca la splendida rilettura di Smell Like a Teen Spirit dei Nirvana. Nel 2008, con la lettura di un requiem da lei scritto e dedicato a Robert Mapplethorpe, The Coral Sea, Patti riceve cinque prestigiose stelle dal critico «The Guardian». Nello stesso anno, con l’omonimo titolo del suo album, Dream of Life, esce un bellissimo documentario diretto da Steven Sebring, un ritratto dell’artista realizzato nell’arco di un decennio.

L’esile cantautrice americana porta ormai addosso i segni di una vita irrequieta e turbolenta, a dicembre del 2021 ha compiuto 75 anni. I suoi capelli corvini si sono imbiancati e incorniciano un viso sempre più serio e spigoloso, ma non meno spiritato di un tempo. Sorprendente è la sua rinnovata forma come interprete, testimoniata anche da alcune sue brillanti performance dal vivo. 

Patti Smith, anche nel nuovo millennio, si conferma un modello da seguire, verso cui anche le nuove generazioni nutrono rispetto e stima. Un modello da amare e da cui prendere spunto, non solo dal punto di vista musicale, ma anche umano, etico e sociale.

Marilyn ha gli occhi neri

Nell’ultimo mese sono andata più al cinema che a fare la spesa. Il fatto che le sale cinematografiche abbiano riaperto mi ha elettrizzata, è bello passare una serata un po’ diversa dal solito guardando un bel film fuori casa. Oltre ai big movies che hanno avuto grande successo, come “Dune” o “James Bond”, è stato bello vedere film italiani, diretti da registi italiani.

In particolare, ho trovato molto piacevole la visione di “Marilyn ha gli occhi neri” un film di Simone Godano che vede protagonisti il mitico Stefano Accorsi e la favolosa Miriam Leone in una commedia spiritosa e commovente.

Il film si apre con l’immagine di Diego, cuoco e papà, che furioso distrugge la sala da pranzo dell’albergo in cui lavora. Si capisce in fretta che il protagonista ha problemi nel controllare la rabbia e frequenta un centro di recupero per persone con disturbi mentali. Accorsi è riuscito perfettamente a entrare nel personaggio, si è spogliato completamente della sua identità e “scompare” nelle grida, nei tic, nelle paure e nelle balbuzie del suo Diego.

Frequentando il centro l’uomo conosce i suoi compagni di disavventure e stringe amicizia con Clara, una ragazza bellissima ed esuberante che arriva sempre in ritardo e a cui non piace né rispettare le regole, né frequentare gli incontri.

Dopo varie vicende gli psichiatri della clinica decidono di provare a realizzare un progetto per far riavvicinare i pazienti al mondo del lavoro: ogni giorno ospiteranno gli anziani della adiacente casa di riposo e cucineranno loro il pranzo, servendoli e parlando con loro. È così che Clara si fa prendere la mano e apre una pagina online per pubblicizzare il loro “ristorante”. Le recensioni, le immagini dei piatti e le storie del locale sono tutte sue invenzioni, ma in pochissimi giorni il sito riceve migliaia di visualizzazioni e il ristorante diventa famosissimo in tutta Roma. Lo chiama “Monroe” e viene descritto come un posto libero e alternativo, come coloro che ci lavorano. 

Visto il successo del sito e il feedback positivo della gente, Clara e Diego iniziano a fomentarsi fino a quando decidono di aprire veramente il locale. Questo serve a far avvicinare il gruppo che unisce le forze e si rimbocca le maniche. Ogni sera c’è una coda lunghissima fuori dal locale e i clienti restano meravigliati e attratti da questo posto con il personale stravagante. È vero però che chi non si distingue per autocontrollo ha il dono di essere autentico, sincero e di sentire le emozioni molto più intensamente di chi è “normale”. Ecco perché il film coinvolge chi lo guarda.

I wanna be loved by you, just you, nobody else but you” – cantava sconsolata Marilyn Monroe in “A qualcuno piace caldo” dopo aver perso per sempre il suo amore. Lo stesso brano, un po’ stonato, lo dedica Clara a Diego.

Dalla prima all’ultima scena Godano è riuscito a creare situazioni buffe e a raccontare il disturbo mentale con la giusta leggerezza. Dietro alle brutte figure, alle parolacce di una donna affetta dalla Sindrome di Tourette e alle crisi di un uomo impaurito che grida sovente al complotto, c’è una riflessione molto seria sull’incomunicabilità, che porta alla solitudine e all’isolamento, allontanando gli altri. “E’ brutto non essere visti” dice Diego, non alludendo solo ai “pazzerelli”, come li chiama affettuosamente il regista, ma anche a chi non ha manie, ossessioni o malattie mentali. Accade a tutti di sentirsi invisibili, abbandonati e di sentirsi costretti a indossare una maschera senza poter mostrarsi per quello che si è.

Il film è anche commovente, i protagonisti combattono ogni giorno una battaglia contro sé stessi e contro le ingiustizie della vita e le difficoltà di chi viene considerato “pazzo” dalla società. Godano invita indubbiamente lo spettatore ad accettarsi, a perdonarsi e a rispettare gli altri. È convinto che un cambiamento e un miglioramento siano possibili, e se non dovessero avvenire, allora non importa, non c’è fretta. 

Dopo quasi due anni di pandemia e di reclusione in casa, tutti noi forse ci siamo sentiti proprio come i protagonisti di Marilyn ha gli occhi neri, e magari molti di noi sono implosi. Questa commedia potrebbe allora funzionare come medicina per il buon umore. 

Consiglio di andarlo a vedere, perché è un film che vi renderà felici. Qualcuno potrebbe accorgersi di soffrire di disturbo ossessivo compulsivo, ma la buona notizia è che non è affatto solo. Qualcun altro, invece, realizzerà, una volta uscito dal cinema, di aver visto qualcosa di molto diverso dal solito, il che è raro nel nostro panorama cinematografico.

Cecilia Sala, giornalista romana in Afghanistan

Ciò che è successo in Afghanistan nell’ultimo mese è noto a tutti: giornali e tv ne hanno discusso molto e, anche sui social, si sono diffuse notizie e aggiornamenti che hanno dimostrato, ancora una volta, quanto l’informazione digitale possa essere costruttiva se ben utilizzata. In particolare, ho trovato molto interessanti i reportage di Will_Ita, un account Instagram che ogni giorno spiega la politica e l’economia con la pubblicazione di stories, post e IGTV ai suoi oltre 980 mila follower. 

Nelle scorse settimane la comunicazione sulla situazione in Afghanistan è stata costante grazie a Cecilia Sala, una delle poche giornaliste occidentali a trovarsi a Kabul al momento. Romana, 26 anni, Cecilia è considerata una tra le maggiori promesse della tv e del giornalismo. Si fece notare la prima volta a 14 anni, quando parlò in una piazza contro la mafia. 

Nel 2018 ha completato la laurea in Economia Internazionale all’Università Bocconi di Milano. Negli anni precedenti ha collaborato come inviata e reporter per Vice Italia e poi per Servizio Pubblico con Michele Santoro a La7. Nel corso degli anni ha aumentato le collaborazioni e i lavori con molte testate italiane come Wired, Vanity Fair e L’Espresso, specializzandosi in politica estera, in particolare nei Paesi dell’America Latina e in Medio Oriente.

I suoi recenti interventi su quanto sta avvenendo in Afghanistan sono diventati virali sui social, soprattutto tra i giovani che sembrano apprezzare i suoi racconti e, soprattutto, ammirare il suo coraggio. È stata l’unica donna presente alla conferenza stampa del portavoce dei talebani. Nella mattinata del 7 settembre si era collegata con Omnibus, una trasmissione in onda su La7, era pronta a testimoniare sugli avvenimenti degli ultimi giorni quando si sono sentiti degli spari ed è stata costretta a rinunciare al collegamento. Proprio nei pressi dell’hotel in cui alloggiava era stata organizzata una protesta a favore della resistenza del Panshir.

Nonostante questo Cecilia non si arrende, infatti è ancora a Kabul: “Certo che ho paura, sarei stupida se non ne avessi, ma penso anche che sia molto importante capire esattamente cosa sta succedendo e credo che il modo migliore sia raccontarlo da qui”. 

Ogni giorno affronta la situazione a testa alta e testimonia la realtà dei fatti, dai più cruenti ai più scomodi da raccontare. Continua a battersi anche per i diritti delle donne: “La maggior parte delle donne ha paura di uscire di casa per scoprire che tutte le promesse fatte dai talebani in conferenza stampa – non saranno più obbligate a indossare il burqa, potranno continuare a lavorare o a studiare – non saranno rispettate“.

In effetti, i talebani hanno mantenuto una certa ambiguità sulle coperture imposte alle donne, citando ragioni di prudenza e sostenendo che i combattenti sparsi sul territorio potrebbero reagire male, non essendo abituati a vedere donne indipendenti che lavorano e si spostano liberamente. Cecilia indossa lo hijab quando esce ed è già stata invitata diverse volte a coprirsi anche il volto. 

Cecilia racconta non solo le sfide sociali ma anche quelle economiche del paese. Le file per gli sportelli bancari c’erano già prima della riconquista dei talebani, ma ora la crisi economica è l’emergenza principale: non si possono prelevare più di 200 dollari a settimana e, sebbene le riserve monetarie ammontino a 9,4 miliardi di dollari, per ora rimangono congelate. Se prima la maggior parte dell’economia si fondava e reggeva sugli aiuti della comunità internazionale, adesso c’è confusione, i talebani non sanno gestire i sistemi bancari e la fuga di cervelli che si è verificata complica ulteriormente la situazione. Questo spiega, in parte, l’atteggiamento “diplomatico” del regime nei confronti dell’Occidente. 

L’altra priorità del governo talebano è quella di consolidare il controllo del territorio. C’è la resistenza nel Panshir, le ribellioni di gruppi sparsi di hazãra sciiti e le minacce dell’ISIS-K (la presenza dello Stato Islamico in Afghanistan).

Il fatto che Cecilia si trovi fisicamente in Afghanistan ci permette non solo di sapere quotidianamente le novità raccontate e testimoniate con foto e video, ma ci aiuta anche a capire le dinamiche e la mentalità di un paese straniero e in guerra da anni. Cecilia, infatti, racconta anche scenari di tutti i giorni oltre che di politica ed economia, mostrando quello che vede camminando per strada da un punto di vista esterno, il suo.

Credo che la scelta della giornalista di stare sul posto e uscire di casa quotidianamente per capire cosa stia succedendo e raccontarlo sia onorevole, oltre che fonte di conoscenza e un enorme valore aggiunto per chi, come me, segue tutto a distanza.

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