L’articolo di oggi sarà dedicato ad un importantissimo ma spesso dimenticato architetto messicano, Luis Barragan, che contribuí a cambiare il volto del Messico dopo la rivoluzione messicana e la liberazione del paese dai tanto odiati Gringos americani.
Barragan nacque a Guadalajara, piccola cittadina del Messico, nel 1902 da una famiglia di origine modesta. Terminati gli studi nel 1925 con l’ottenimento di una laurea in ingegneria civile ed architettura, intraprese un viaggio che durò per due anni consecutivi attraversando tutta l’Europa. Nel corso di quest’esperienza visitò luoghi che, a partire dal Generalife di Granada e continuando con le ville italiane e la costa mediterranea, lo portarono a sviluppare un particolare interesse per i giardini.
A questa iniziale passione se ne aggiunse presto un altra: l’architettura di paesaggio, meglio conosciuta come landscape architecture. Sul sorgere degli anni ’30 tornò poi nella sua città natale dove iniziò a costruire alcune residenze abitative divenute molto celebri e pubblicate su giornali stranieri, sopratutto americani come Architectural Records. Il 1957 segnò per lui un anno molto importante, fu infatti inviato dalla compagnia che sviluppo Cludad Satélite a costruire il simbolo dell’urbanizzazione. Questo progetto, di cui parleremo più avanti, venne realizzato in collaborazione allo scultore Mathias Goeritz, amico e collega. Il 1974 fu poi l’anno di Casa Gilardi, lavoro al quale seguì immediatamente la prima mostra personale di Barragan al MOMA curata da Emilio Ambasz nel 1976.
Verso la fine della sua carriera lavorativa l’architetto riscosse un certo successo arrivando ad essere considerato iniziatore dell’architettura moderna messicana. Fu proprio la sua bravura, unita ad una certa notorietà consentitagli dalle precedenti esperienze, che gli permise di vincere il premio Nacional de Ciance y Artes (premio nazionale di scienze ed arte del Messico) nel 1976 e il Pritzker Architecture Prize nel 1980.
A questo periodo seguirono gli ultimi lavori come il Faro del comercio per la città di Monterrey e la Casa Barbara Meyer. Poco dopo l’architetto si ammalò di Parkinson, malattia che gli impedì di continuare a lavorare, e fu proprio questo il motivo che lo portò a decidere di tornare un’ ultima volta nella sua città natale nel 1985 per ricevere il premio Jalisco e per inaugurare una retrospettiva dei suoi lavori al museo Tamayo di Città del Messico. Il 22 novembre del 1988, pochi mesi dopo aver ricevuto il Premio Nactional de Arquitectura, morì nella sua residenza di Tacubaya e ad oggi i suoi resti sono conservati nella Rotonda de Los Jaliscienses illustre a Guadalajara.

Fino ad ora abbiamo posto la nostra attenzione su alcuni dei più importanti progetti di Barragan nel campo dei complessi abitativi mentre in questo paragrafo prenderemo in considerazione un lavoro di diversa natura ma accumunati ai precedenti dall’inconfondibile stile dell’architetto.
Si tratta del progetto per le torri della Città dei Satelliti, progettate con l’aiuto dello scultore Mathias Goeritz per Queretaro Highway, di Città del Messico. Si tratta di cinque altissime torri astratte ideate per divenire simbolo pubblicitario del complesso di Ciudad Satellite e che hanno poi con il tempo assunto il ruolo di guardia verso l’entrata nord della città. Nella progettazione delle torri, lo stile di Barragan, il quale predilige elementi architettonici prismatici e astratti, incontra la scultura di Goeritz che sin dalle sue origini è legata a elementi che rievocano forme molto alte. Nel corso degli anni i due condivisero molte idee nel campo dell’arte e non solo, ragion per cui le torri risultano nascere dal semplice cristallizzarsi dei loro stili simili ma al contempo diversi: se infatti Barragan ricercava l’appollonico, Goeritz era invece per conto suo indirizzato verso il dionisiaco.
Le cinque torri collocate in uno spazio leggermente inclinato che si contrappone alle colline che circondano la città, hanno altezze diverse: 30 metri la prima, 36 la seconda poi 40, 45 ed infine 50 metri la quinta. Furono costruite metro per metro quasi senza aver bisogno di una vera e propria impalcatura essendo composte da stampi di metallo che vennero impilati gli uni sugli altri fino ad arrivare alla cima. Questa loro particolare modalità di costruzione è resa palese grazie alle linee orizzontali che scandiscono l’altezza delle torri. Per quanto riguarda la loro forma triangolare, grazie all’inclinazione del terreno d’appoggio, essa conferisce alla struttura un aspetto surreale di movimento cosicché il visitatore spostandosi intorno ad esse abbia la percezione che si muovano cambiando profilo ed altezza. Da una parte appaiono infatti lastre piane, dall’altra torri a base quadrata dai colori estremamente sgargianti.

Giulia Pelassa