Dopo ore di danza il fiato e le energie vengono meno e, vinti dalla fatica e dalla sete, si avverte di aver bisogno di una pausa. Disturba questa parola, pausa, tanto che chi consiglia di interrompere la routine è comunemente visto come un ingenuo che non conosce le regole del mondo. Questo accade perché le pretese della contemporaneità sono così ingombranti da corrompere addirittura la vita privata e interiore delle persone. C’è la tendenza diffusa ad accantonare sempre più i problemi legati all’anima e alla spiritualità, il che porta alla situazione assurda in cui si considera come oro colato la parola del medico che consiglia riposo e si mettono a tacere i segnali dell’anima. È evidente che la presa di consapevolezza di questa drammatica realtà non deve portare a un nichilismo fine a se stesso, ma, al contrario, ad assumere una prospettiva di parziale e sano distacco da tutto questo. Bisogna essere molto attenti a non cadere vittime della trappola e a non diventare come l’uomo d’affari che il Piccolo Principe si sforzava invano di capire; occorre vegliare e tenere ben saldi i propri valori per non essere inghiottiti da un mondo sempre più invadente, impudico e maleducato. Ecco che il tempo del riposo diventa allora essenziale per mettersi al riparo da questo distruttivo e pervasivo modus vivendi.

Cercando le ragioni che spingono le persone a procedere sull’orlo del precipizio come un gregge, si intuisce che la ricorrente bizzarra giustificazione è che non si ha tempo per occuparsi della propria anima. È così buffa da essere folle, perché rinunciare alle proprie convinzioni e alla propria felicità è niente meno che assassinare se stessi dimenticando quello che ci rende vivi nel senso più profondo. Facendo un lavoro di introspezione e guardando allo scorrere delle nostre giornate, chiediamoci se conosciamo ancora il tempo per coltivare i rapporti, per un buon libro, per giocare con i nostri figli e per fare l’amore con chi ci vive accanto. In mezzo a tanto rumore, lavoro, macchine deambulanti sulle strade, l’anima sussurra con forza: Quo vadis? Qual è la tua meta?. A questo proposito cade a pennello il pensiero di Zygmunt Bauman, il quale scrive in Modernità liquida: «Cent’anni fa “essere moderni” significava inseguire “lo stato di perfezione definitivo”, mentre ora allude a un miglioramento all’infinito, privo di qualsiasi prospettiva o aspirazione a diventare definitivo». Queste parole sono una luce che apre i nostri occhi come sulla via di Damasco: se si continua a ridere con amarezza davanti alla parola fermarsi, se imperterriti si corre e non si arresta il flusso di pensieri, in nessun modo si riuscirà a focalizzare l’obiettivo. Laddove non c’è riposo non si può scorgere lo scopo e di conseguenza tutto perde di senso. Se è vero che si vive per qualcosa, è urgente interrogarsi, riscoprire la ragione di tutto questo e agire con coerenza. Se si è sordi al punto di arrivare a metà della vita senza saper dare una risposta, seppur incerta, alla salvifica domanda dell’anima, urge agire con prontezza e determinazione.

Nella realtà del Natale il riposo non può che diventare una condizione più che mai necessaria ed emblematica: è il tempo del silenzio interiore, di una pausa rigenerante e costruttiva per ritrovare gradualmente il modo a cui rispondere almeno parzialmente e timidamente a quella domanda che risuona in ognuno di noi: tu, amico mio, dove stai andando?