«È peggio della guerra». Spesso negli ultimi giorni si è sentita ripetere questa frase, nei commenti del popolo italiano sui social network riguardanti la dura battaglia contro il Coronavirus che il nostro Paese sta combattendo. E perché sarebbe peggio della guerra? Cosa ci sarebbe di così diverso rispetto ad una guerra vera, con eserciti ed armi e bombardamenti?

Riprendo una considerazione che ha fatto il filosofo Umberto Galimberti in un interessante video pubblicato su Youtube ( https://www.youtube.com/watch?v=-OMKYw-XaGg ). La guerra come la conosciamo noi, come l’abbiamo studiata, è qualcosa di visibile, di concreto. La guerra suscita paura: una paura reale per qualcosa che si conosce bene e che si sa che porta solo morte e distruzione. Ma l’angoscia è una sensazione peggiore della paura: dice Galimberti che l’angoscia nasce invece per qualcosa che non si conosce, qualcosa di invisibile, e che proprio per il suo essere invisibile è ancora più terribile. L’angoscia induce spesso ad azioni irrazionali, dettate dal puro terrore. E in questo senso non possono non venire in mente tutti quei gesti degli Italiani di poco tempo fa che sono sembrati decisamente sconclusionati: l’assalto ai treni notturni, la corsa ai supermercati per il terrore che potessero chiudere da un momento all’altro…Quando il nemico è sconosciuto, l’uomo perde la testa.
E quindi, è necessario mantenere la lucidità quanto più possibile. Informarsi bene, non farsi prendere dal panico per una notizia un po’ più scioccante, leggere sempre tra le righe. In questi giorni, oramai si sa, l’invito primario è quello di stare a casa. «Come state, ragazzi?» ho chiesto l’altro giorno ai miei alunni in videoconferenza. Mi hanno risposto, con tono ironico: «Prof, sembra di stare agli arresti domiciliari». Ho spiegato loro che bisogna avere pazienza ancora per un po’, ma purtroppo non ho saputo dare loro informazioni certe su quando avrebbe riaperto la scuola, che manca molto a tutti, anche a noi professori. Eh sì, dobbiamo sentirci tutti un po’ prigionieri; ma in senso positivo. Innanzitutto, ci troviamo in una gabbia dorata, in cui possiamo avere qualsiasi diversivo subito a portata di mano. Fortunatamente, abbiamo la tecnologia dalla nostra parte, che non ci lascia mai da soli, se glielo permettiamo. A mio parere, tuttavia, in questi giorni è giusto stare un po’ da soli con se stessi, finalmente. Dopo la frenesia di tanti giorni tutti uguali che ci sono scivolati dalle dita senza che ce ne rendessimo conto, ora, non per volontà nostra, abbiamo tirato il freno a mano.

Chissà se questa nuova condizione di stasi, di routine azzerata, di silenzio, di vuoto (consiglio a riguardo un bellissimo articolo di Luca Molinari su Doppiozero, dal titolo «Il rumore del vuoto»: https://www.doppiozero.com/materiali/il-rumore-del-vuoto ) ci consentirà di fermarci davvero, di chiudere gli occhi e sentire come stiamo dentro. Staccarci un po’ dai social network, ricominciare a respirare. Fare alcune domande a noi stessi: chi siamo, se siamo contenti della nostra vita, se ci piacerebbe cambiare qualcosa. Non c’è occasione migliore come quella che ci capita adesso per rallentare e renderci conto che stiamo vivendo. Non potremo che ripartire molto più consapevoli di noi stessi, e soprattutto, quando tutto questo sarà finito, saremo in grado di apprezzare molto di più la nostra vita, e tutto quello che la circonda.