Ho guardato un video di Nicola Rizzoli a TedxVerona, una serie di conferenze trovabili su You-Tube, che hanno il compito di divulgare, in quindici minuti, tematiche di vario tipo. Il programma è prodotto da un’organizzazione privata no-profit, la Sapling Foundation, ed è stato definito da Paolo Bonolis «uno splendido osservatorio della conoscenza e della condivisione nata negli ultimi vent’anni». 

Rizzoli ha fatto un monologo sul perché ha fatto l’arbitro di calcio, cosa ha comportato questo tipo di scelta e il significato di essere arbitri nella vita.  Guardandolo mi sono ricordato che anch’io ho fatto l’arbitro all’età di diciassette anni per poi interrompere per motivi di studio e lavoro. Immediatamente mi sono sorte delle domande: l’aver fatto l’arbitro che cosa significa? Che cosa comporta? Che cosa vuol dire? E soprattutto perché farlo? Personalmente mi ha insegnato a scegliere, il che dovrebbe essere uno dei pilastri portanti della crescita di tutti gli educatori che si occupano di questo settore. L’arbitro è una persona che ha il compito di fare delle scelte applicando delle regole che normano una partita tra due squadre avversarie, in questo caso il calcio. Fare questo significa essere in campo da soli e non aver nessuno di cui ti puoi fidare, se non te stesso e la tua preparazione. Quest’ultima è l’elemento fondamentale per un arbitro, lo scrive anche Rizzoli nel suo libro Che gusto c’è a fare l’arbitro?. Perciò bisogna essere pronti perché altrimenti si sbaglia e l’errore è figlio di un’impreparazione o di un qualcosa che non si era calcolato. Questo è un insegnamento di vita, perché oggi, più che mai, nel sentimento della solitudine che coglie l’essere umano in tutte le sue tappe evolutive è importante capire che si può vivere bene se si ha fiducia in se stessi e nella propria preparazione e che l’altro essere umano è occasione di crescita e non di intralcio. Gli arbitri in campo sono insultati da giocatori, allenatori, tifosi, però questo non è che energia che alimenta l’autostima, perché alla fine sono gli arbitri che scelgono, consapevoli della propria capacità e delle norme sportive che vanno applicate. Si forma un equilibrio psicologico tra quello che sono e quello che dicono gli altri, perché il pregiudizio e il giudizio non  si possono mai fermare, però li si può gestire prendendo più coscienza di quello che si è.

Credo a tal punto in questo da ritenere che l’arbitraggio dovrebbe essere un’attività eseguita nell’ora di educazione fisica già alle scuole medie nei campi di CSI dei piccoli settori giovanili: dovrebbe essere disciplina valutata normalmente, e anche nei licei potrebbe essere proposta. Perché imparare ad essere arbitri significa prendere più consapevolezza di se stessi e di conseguenza più fiducia; l’arbitraggio è uno strumento di crescita e di preparazione a certe circostanze della vita. Avere i fondamentali esistenziali ti consente di giocare una partita sempre alla pari con gli ostacoli che ognuno di noi incontra nel proprio percorso.