C’era una volta un cantastorie. Viveva in un piccolo villaggio di un regno vastissimo, così vasto che si poteva camminare per giorni senza mai uscire dai suoi confini. Ogni sera il cantastorie raccontava storie di draghi ed eroi agli abitanti del villaggio. I bambini l’adoravano e facevano a gara per andargli vicino e sentire meglio le meraviglie che narrava. Anche gli adulti lo ascoltavano rapiti dalle gesta ora di questo ora di quell’eroe, re o cavaliere che fosse. La vita nel villaggio proseguiva dunque così: tra una storia e l’altra. Un giorno però le cose cambiarono. Il re infatti era stato colpito da un terribile maleficio: non rideva più come faceva un tempo, ma era sempre cupo e spesso aveva gli occhi pieni di lacrime che non ne volevano sapere di scendere. La principessa allora, preoccupata per il padre, decise di partire per cercare aiuto. Vagò a lungo, cercando in ogni villaggio qualcuno che riuscisse a spezzare il sortilegio che aveva colpito il padre. Il tempo passava e così passò l’estate, poi l’autunno e la nostra eroina non aveva ancora trovato chi potesse aiutare suo padre. Una notte d’inverno però, giunse al villaggio del nostro cantastorie. Era una notte fredda e quindi decise di ritirarsi nella prima locanda. Dopo che ebbe mangiato e bevuto, entrò un bambino che gridò a gran voce: «Venite! Venite! Nebulus sta per raccontare una delle sue storie!». Incuriosita, la principessa seguì la gran folla che s’affrettava a uscire dalla locanda. Giunsero nella piazzetta del villaggio, dove, accanto a un fuoco, un giovane stava iniziando a raccontare…

C’era una volta un vasto regno con un grande castello. Qui viveva una bellissima principessa che era amata da tutti. Un giorno però, un enorme drago volò sulla città, sputando verdi fiamme dalla bocca. Quando giunse al castello ruggì: «Consegnatemi la principessa e lascerò intatto questo regno!». La principessa, che oltre a essere bellissima era anche intelligentissima, rispose: «Va bene, sarò tua se riuscirai a battermi in tre sfide.». Il drago, sicuro della vittoria, rispose: «Ci sto! Dato che parti in svantaggio ti lascio sceglierle.». «D’accordo-disse la principessa-saranno una prova di intelligenza, una di forza e una di velocità. Le sfide si terranno sempre a mezzogiorno. La prima prova sarà quella di spegnere un fuoco senza usare l’acqua.». «Va bene» rispose il drago e volò via. Il giorno dopo, a mezzogiorno, tornò. Nel giardino del castello era stato preparato un enorme falò. Il drago provò a sbattere le ali velocissimo, creando un vento che stava per sradicare tutti gli alberi del giardino. Il fuoco, però, non si spense. Toccò allora alla principessa che gettò sul falò un enorme cumulo di sabbia. Così soffocate, le fiamme si spensero. «Dato che ho vinto, deciderò anche la seconda prova. Vincerà chi mangerà più pietre» disse la principessa. “Ecco una prova che non posso perdere” pensò il drago e accettò. Quella sera la principessa ordinò ai cuochi di palazzo di cucinare cinquecento pagnotte che sembrassero pietre bianche, e di nasconderle nel cumulo di pietre allestito per la prova. A mezzogiorno il drago tornò. Fu il primo a iniziare e mangiò duecento massi come fossero caramelle, ma l’ultimo gli spezzò un dente, costringendolo a fermarsi. “Vabbè, ho comunque la vittoria in pugno” pensò. La principessa mangiò le cinquecento pagnotte simili a pietre. Il drago, che sospettava in qualche inganno, insistette per assaggiare una delle pietre dal cumulo dell’avversaria. Come ne assaggiò una scoppiò in lacrime per il dolore al dente e si arrese. «Visto che ho vinto anche questa-disse la principessa-ho il diritto a decidere la prossima sfida: vincerà chi arriverà per primo al regno vicino.». “Questa non posso assolutamente perderla” pensò il drago e accettò. Quella notte la principessa studiò tutti i libri di magia del castello. Stava già albeggiando quando trovò un incantesimo che permetteva di correre veloci come il vento. A mezzogiorno il drago tornò. «Visto che è la tua ultima possibilità-disse la principessa-ti concederò un poco di vantaggio». Il drago, seppur confuso dall’arroganza di quella straordinaria principessa, accettò. Come fu scomparso oltre l’orizzonte, la principessa pronunciò l’incantesimo e in men che non si dica, si trovò alle porte del regno vicino. Quando il drago, sfinito per la velocità con cui aveva volato, vide che ciononostante la principessa era arrivata prima di lui, fu preso da un tale terrore che scappò così velocemente da sparire dalla vista in un batter d’occhio, terrorizzato da quella principessa intelligentissima, fortissima e velocissima e non fece mai più ritorno.

La piazzetta risuonò per gli appalusi dei più grandi e degli schiamazzi dei bambini che esigevano un’altra storia. Quando tutti se ne furono andati, la nostra principessa, che per non farsi notare si era avvolta in un mantello, si avvicinò a Nebulus e disse: «Complimenti! Non avevo mai sentito nessuno raccontare così una storia.». «Siete troppo gentile, non è nulla di che. Mi fa piacere allietare le notti dei miei compaesani» replicò il modesto cantastorie. «Niente affatto! -replicò la principessa-Le immagini sembravano uscire dalle tue parole e formarsi nel fuoco!». «Beh…grazie per i complimenti, ma non è nulla davvero. Voi chi siete piuttosto? Non mi pare di avervi mai vista da queste parti.» replicò il cantastorie. «Sono una povera contadina, sto viaggiando per cercare qualcuno che possa guarire mio padre. Vedete, un tempo rideva sempre ed era sempre gioioso, ma ora… ora è sempre cupo e triste e non so… non so come aiutarlo… – rispose la principessa mal celando le lacrime che le facevano luccicare gli occhi bruni – forse voi…forse voi potete aiutarlo!». «Io? E come potrei mai aiutarvi io? Sono solo un umile cantastorie, non sono né un mago né un medico… Mi dispiace molto per vostro padre, ma temo di non essere in grado di aiutarvi.» rispose Nebulus, commosso dalla vista di quella triste fanciulla. «Ma… ma ho visto la vostra abilità nel raccontare storie. Forse una di queste potrà far tornare mio padre a ridere! Vi prego, fate un tentativo. Non so cosa altro fare…» replicò la principessa, ormai con le lacrime che iniziavano a scendere. Il buon Nebulus, commosso a quella vista, rispose: «Va bene. Temo che non potrò far nulla, ma se ciò potrà sollevare un po’ il vostro animo, vi aiuterò. Ma prima, vi prego, ditemi come vi chiamate.». «Sofia, mi chiamo Sofia.» rispose la principessa, un po’ rincuorata. All’alba montarono sui loro cavalli. Galopparono tutto il giorno e tutta la notte e tutto il giorno successivo finché, la seconda notte non udirono una voce nella foresta tuonare: «Ucci ucci, sento odor di fanciullucci!». I cavalli si imbizzarrirono e i nostri eroi caddero per terra. Dal folto della foresta sbucò un enorme orco vestito con stracci. Questi altri non era che l’orco Iscariotte, un crudele demonio che da anni affliggeva le foreste della zona. Sofia, senza esitare, gridò a Nebulus: «Veloce, tu distrailo. Io nel frattempo cerco un modo per sconfiggerlo.». «C-come dovrei fare a distrarlo?» chiese Nebulus, non poco terrorizzato da quel mostro. «Non lo so – rispose Sofia – prova a raccontargli una storia». «Va bene, ci provo. – rispose il cantastorie – Ehi, tu – aggiunse rivolto all’orco – ti va di sentire una storia? Racconta di come un orco sia riuscito a sconfiggere un intero esercito.» «Tu, piccolo moscerino, – rispose il mostro – vorresti raccontare a me una storia per salvarti forse? Va bene, ma sappi che se non mi piacerà ti mangerò in un sol boccone!». Nebulus iniziò a raccontare. Raccontò di come una volta, un re crudele volesse distruggere una foresta incantata e sacra alla dea delle selve, Diana. La dea inviò allora una creatura invincibile a distruggere il regno. Quel mostro iniziò così a rubare e distruggere le campagne, senza che potesse essere fermato nemmeno dai più abili soldati. Iscariotte era rapito da questa narrazione, a tal punto che non si accorse di Sofia, che ebbe tempo di aggirarlo e arrampicarsi su un albero lì vicino. Come Nebulus arrivò al punto della battaglia finale, Sofia, brandendo una spada che emanava magici bagliori azzurri, si gettò sull’orco, ferendolo alla schiena. L’orco, spaventato dall’attacco inaspettato e dolorante per la ferita, scappò veloce come il vento e non si fece mai più vedere. «Bella trovata quella di un orco invincibile» disse Sofia quando Iscariotte era scomparso nella foresta «Grazie, ma il tuo attacco… non ho mai visto nulla del genere! Nemmeno nelle mie storie.» rispose Nebulus. «Grazie. – rispose Sofia – Ora però dobbiamo andare, siamo ancora lontani dalla mia casa.» e detto ciò montarono sui loro destrieri. Loro ancora non lo sapevano, ma Amore aveva appena bruciato i loro cuori con la sua fiamma antica e li aveva colpiti con le sue magiche frecce. Proseguirono fino a raggiungere un ponte in pietra. Un tempo, prima che il re fosse colpito dal maleficio, quel ponte era sempre affollato da carovane di mercanti diretti alla capitale. Adesso però quel ponte era deserto e strane storie raccontavano di bestie annidate sotto di esso. Come arrivarono nei suoi pressi, un potente ruggito scosse la neve dalle rocce e un’immensa creatura dal manto bianco come la neve sbucò da sotto il ponte. L’enorme troll sbarrò la strada ai nostri eroi e disse: «Mmh, cosa abbiamo qui? Degli umani? E cosa volete fare? Volete passare? Volete sfidare il glorioso Vafrudnir! Bene bene. Per farlo dovrete risolvere un indovinello a testa. Se li avrete risolti, cosa impossibile, ascolterò un vostro indovinello. Quando l’avrò risolto vi mangerò per cena ahahah! Chi vuole essere il primo?». Per primo si propose Nebulus, pensando che nel caso di sconfitta Sofia sarebbe potuta scappare. «Un giorno un esercito di orchi assaltò un castello. – iniziò Vafrudnir – A sconfiggerli venne mandato un solo eroe armato di un anello e di una spada. Prima di giungere al castello però, l’eroe si riposò in una radura, sotto le foglie di un faggio. Giunto in seguito sul luogo dell’assedio sconfisse tutti i nemici e, pur avendo subito attacchi mortali, riuscì a terminare lo scontro senza nemmeno un graffio. Com’è possibile?». Nebulus rifletté per qualche minuto e poi rispose: «Era protetto da un incantesimo. L’eroe di cui parli infatti è Sigfrido, che ottenne l’invulnerabilità dopo lo scontro col drago Fafnir.». «Esatto.» mugugnò il troll, visibilmente deluso. «Ora è il tuo turno-tuonò con voce feroce verso Sofia – Cos’è più affilato di una spada, che accresce ogni giorno e che migliora con la carta?». Sofia ci pensò un attimo e poi rispose: «L’ingegno, che può essere più affilato di una spada. Inoltre cresce con l’esperienza e può essere migliorato tramite lo studio dei libri.». «Esatto di nuovo! – tuonò Vafrudnir infuriato – Ora è il vostro turno. Tanto risolverò il vostro indovinello facilmente.». Fu Nebulus a porre l’indovinello e disse: «Ognuno di noi possiede una forza ignota. Alcuni dicono che essa non esiste. Altri che esiste, ma non è conoscibile. Altri ancora che è conoscibile, ma non comunicabile. Tutti loro sbagliano. Un pastorello, conosciuto l’enigma, provò a risolverlo. Perciò si sedette all’ombra di un albero e, mentre pensava, strimpellò a caso la sua cetra. Come lo fece tutto gli fu chiaro. Dimmi, Vafrudnir, qual è questa forza?». Vafrudnir ci pensò e pensò e più pensava meno idee gli vennero. Alla fine fu costretto ad arrendersi. Irato per la sconfitta, Vafrudnir iniziò a pestare violentemente i piedi per terra. Tuttavia non si accorse di essere sull’orlo del precipizio e sbatti qua e sbatti là, piombò di testa nel fiume e nessuno lo rivide mai più. I due eroi, rincuorati dalla vittoria, si abbracciarono e poi si guardarono negli occhi. «Posso chiederti una cosa?» domandò Sofia. «Ma certo, chiedi pure» rispose Nebulus. «Qual è la soluzione all’indovinello?» «È l’Amore – rispose Nebulus – perché vedi…». Nebulus non fece in tempo a spiegare che Sofia lo baciò. E lui contraccambiò. Così i due amanti proseguirono nella loro avventura senza incappare in altri imprevisti. Cammina cammina, Nebulus e Sofia arrivarono alle porte del castello. «Che ci facciamo qui? Non mi avevi detto che tuo padre era un contadino?» chiese Nebulus. «Ecco… c’è una cosa che devi sapere… io non sono una contadina, ma la principessa Sofia. Ti prego no ti arrabbiare, non volevo mentirti, ma temevo che se ti avessi detto la verità non mi avresti aiutata. Ti supplico, non abbandonarmi proprio ora che siamo così vicini…» disse Sofia scoppiando in lacrime. «Hey, tranquilla, tranquilla. Non ti abbandono. Che razza di persona sarei ad abbandonare la persona che amo nel momento del bisogno?» rispose Nebulus. «Quindi non ce l’hai con me perché ti ho mentito?» gli chiese Sofia asciugandosi le lacrime. «Certo che no, capisco perché l’hai fatto. Ma da ora in avanti niente più segreti tra noi, d’accordo?» rispose Nebulus. Sofia annuì. I due entrarono nel castello, ormai grigio e spoglio di qualsiasi ricordo di una passata gioia. Sul fondo del salone principale del castello, illuminato appena dal Sole che tramontava, si stagliava un trono cupo. Sofia corse verso di esso ed esclamò: «Eccoci padre! Eccoci! Scusa se ci ho messo tanto. Ho trovato chi può aiutarti! Forza Neb – disse rivolta all’amato – racconta a mio padre una storia.». Nebulus così iniziò a raccontare. Raccontò di come lui e Sofia si fossero conosciuti e delle sfide che avevano intrapreso. Quando raccontò la vicenda dell’orco Iscariotte, così pieno di sé da non accorgersi dell’attacco di Sofia, il re sorrise appena. Ma quando Nebulus raccontò del gigante Vafrudnir e di come una creatura tanto antica fosse caduta nell’acqua gelida dopo aver perso a una gara di indovinelli, fece una piccola risata. Visto però che ancora non bastava per far ridere il re, Nebulus pensò a una terza storia. 

Raccontò perciò di quando un gruppetto di Telchini, spiriti dei fiumi che amano fare dispetti, decisero di infastidire una povera vecchina. I Telchini ogni mattina facevano volare in giro tutte le spezie e gli alimenti della casa. La vecchina allora decise di tendere un tranello agli spiritelli. Decise di cucinare una torta. I Telchini, colta l’occasione per un buon dispetto, iniziarono a scambiarle gli ingredienti. La torta venne un disastro. La vecchina però, che si aspettava quel comportamento dai Telchini, uscì e comprò una nuova torta, in tutto simile a quella cucinata in loro presenza. Quella sera ne mangiò metà. I Telchini, stupiti da ciò, decisero di assaggiarla. Sfortunatamente per loro la vecchina aveva sostituito la torta con quella precedentemente cucinata da loro. Gli spiritelli ne assaggiarono una fetta e vennero colpiti immediatamente da un terribile mal di pancia. Offesi e umiliati, decisero di andarsene.

Come ebbe raccontato ciò, il re scoppiò in una violenta risata, che risuonò per tutto il regno. Con questa risata tornarono tutte le luci e i colori e il palazzo, da cupo e grigio che era, si dipinse di ogni sfumatura possibile. «Mi avete salvato!» esclamò il re. «Dimmi, figlia mia, chi è questo abile cantastorie?» chiese rivolto alla figlia. «Lui è Nebulus. È solo grazie a lui se sono riuscita a salvarti…In realtà ci sarebbe una cosa che vorremmo chiederti padre.» rispose la principessa, un po’ intimorita. «Ditemi pure» rispose il re. «Vorrei chiedere la mano di vostra figlia» disse Nebulus. «E sia» acconsentì il re. Due giorni dopo i nostri due eroi si sposarono e vennero genti da tutto il regno per assistere al matrimonio e in tutto il regno fu gran festa. E vissero tutti felici e contenti.