L’articolo dello scorso mese si concludeva con la promessa che vi avrei illustrato, a grandi linee, la rilevanza della fotografia nell’evoluzione delle arti visive.

Ebbene, la fotografia nella linea temporale dell’espressione artistica, metaforicamente parlando, si configura come un giro di boa: prima di essa le arti puntavano a ricreare la realtà come essa si presentava agli occhi del pittore e di coloro che ne ammiravano l’opera ma dall’avvento della fotografia – perché di un avvento realmente si tratta e non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello sociale e culturale – la arti hanno puntato i propri interessi verso l’indagine di ciò che si cela dietro la realtà tangibile, hanno voluto attraversare il velo di maya, così come la tela, per scandagliare concetti ed emozioni fino a quel momento ritratti unicamente attraverso allegorie e simboli.

La fotografia immobilizza il qui ed ora, un evento di un secondo o anche meno, viene congelato nelle proprie coordinate spazio-tempo.

In un secondo, sulle lastre fotografiche, s’impressionava ciò che poteva richiedere  mesi o anche anni di lavoro ad un pittore.

Eppure, nello stesso momento il cui la fotografia determinò la “distruzione” dell’arte, la fece anche rinascere sotto nuove vesti.

Gli impressionisti furono i primi ad approfittare di questa nuova possibilità scegliendo di rappresentare la realtà attraverso le impressioni istantanee colte dall’occhio del pittore: la pittura punta ad esaltare prima di ogni altra cosa la sensazione dell’attimo fuggente.

Secondo i pittori impressionisti la realtà muta continuamente d’aspetto, il realismo oggettivo doveva quindi essere sostituito dall’impressione dell’attimo.

La luce varia a ogni istante, le cose si muovono spostandosi nello spazio: la visione di un momento è già mutata nell’istante successivo. L’attimo fuggente della pittura impressionista è totalmente diverso dal momento pregnante della pittura neoclassica e romantica, non ha nulla a che fare con la narrazione: coglie le percezioni e le emozioni.

Questo modo di dipingere ha analogie evidenti con la fotografia: anche quest’ultima coglie un’immagine della realtà in una frazione di secondo.

Della fotografia, gli impressionisti, fanno propri la velocità della sensazione e i particolari tagli di inquadratura, che danno alle loro immagini un particolare sapore di modernità.

La vicinanza tra il mondo della fotografia e quello dei pittori impressionisti fu resa ancora più evidente nel 1874 quando il fotografo Nadar ospitò presso il suo studio la prima mostra di quadri impressionisti, ritenuti troppo “moderni” per essere esposti al Salon di Parigi (esposizione d’arte annuale che si teneva al Louvre).

L’avvento della fotografia contribuì a liberare la pittura dalla necessità di imitare la realtà, offrendo così la possibilità di sviluppo di movimenti di avanguardia quali futurismo, espressionismo, cubismo e dadaismo.

Per Picasso spezzare e ricomporre “l’immagine” era un modo per riportare sulla tela le tre dimensioni della realtà così come per i futuristi era invece la miglior metafora del movimento, della velocità e della modernità.

Per il Dadaismo, nato a Zurigo presso il cabaret Voltaire, l’immagine fotografica era un mezzo per manipolare la realtà e ripresentarla in maniera provocatoria, una “rivoluzione visiva”. La fotografia venne intesa come riproduzione di una realtà manipolabile, che poteva essere ritagliata e assemblata in fotomontaggi in cui la spontaneità creativa prevaleva su tutto, provocando il pubblico tramite la trasformazione inconsueta della realtà. I dadaisti utilizzavano per le loro opere, definite fotocollage, immagini tratte in prevalenza dalle fotografie di attualità dei giornali a cui, in seguito, s’aggiunse anche l’utilizzo delle tecniche pittoriche.

Pochi anni prima, nel 1910, Vassily Kandinsky aveva dipinto il primo acquerello dichiaratamente astratto e assolutamente slegato dalla necessità di dipingere il reale ma libero di esprimere emozioni pure.

Da allora i movimenti artistici hanno continuato ad allontanarsi sempre più dall’oggettivo tanto da arrivare a fare dell’arte una pura informazione, come avverrà negli anni sessanta con l’arte concettuale, che assolutamente non necessitava dell’elemento figurativo.

Oggigiorno l’immagine fotografica è parte integrante delle nostre vite, ci circonda perennemente tanto che scattare una foto è ormai un operazione banale e quotidiana proprio perché tramite essa ci raccontiamo molto più facilmente e in maniera immediata che non attraverso la parola.