Nosferatu di Robert Eggers

In Italia, il 2025 si apre con un horror d’autore, figlio diretto del Nosferatu di Murnau. Il filone cinematografico inaugurato nel 1922, segue, con più o meno variazioni, le vicende di Dracula (Bram Stoker, 1898), anche se il nome potrebbe trarre in inganno: Nosferatu, o conte Orlok, è un nome che non appare nel libro di Stoker, ma viene ideato da Murnau a causa dei problemi avuti con i diritti d’autore. Il film si differenzia dal romanzo originale per l’ambientazione, che viene spostata da Londra a Wisborg, in Germania, e per i nomi di alcuni personaggi. Nosferatu venne presto riconosciuto come uno dei capisaldi del cinema europeo, tanto che Werner Herzog, nel 1979, ha voluto omaggiare Murnau con un remake del film, nonostante i diritti di Dracula fossero scaduti. La nuova versione di Robert Eggers differisce da quella di Herzog, mantenendosi più fedele alla versione originale di Murnau, ma introducendo anche delle variazioni d’autore.
Lily-Rose Depp, nel personaggio della protagonista Ellen Hutter, spicca tra tutto il cast con un’interpretazione meravigliosamente angosciante, complici gli splendidi costumi di Linda Muir e la claustrofobica fotografia di Jarin Blaschke. Per tutto il film, la luce sembra costruita quasi interamente per sottolineare lo stato mentale di Ellen: fredda e naturale nei momenti di lucida inquietudine, calda e artificiale nei momenti di possessione. Un discorso a parte va fatto per il conte Orlok, interpretato da Bill Skasgård, il cui volto viene svelato progressivamente man mano che si avvicina a Wisborg. Non è un caso che, proprio nel finale, il volto del conte è l’unico a venire completamente illuminato, peraltro da una luce che non è né fredda né artificiale, ma calda e naturale: la luce solare. Ed è proprio il sole che appare simbolicamente solo in chiusura di film, che brucia via i residui del male rappresentato, appunto, da Nosferatu.
Tra questi due protagonisti, Ellen e Nosferatu, il rapporto è ambiguo: se da un lato Ellen si dimostra attratta dal vampiro da lei stessa richiamato in giovane età, dall’altro trova conforto nell’amore rassicurante del marito Thomas. Allo stesso modo il conte, ossessionato dalla carne della donna, arriva a “suicidarsi” pur di possederla (non si era accorto del mattino imminente o aveva deciso di godere del sangue di Ellen fino alla fine?).
Non è chiaro se questa ambiguità sia voluta o sia il frutto di una sceneggiatura formalmente ben fatta, ma approssimativa nello spiegare le azioni dei personaggi. In ogni caso, non sempre gli eventi risultano “spiegati” in maniera chiara. Sicuramente risulta approssimativa la fuga di Thomas dal castello, come anche la morte di Harding per peste. Anche di Ellen, si dice che viene presa dalla “malinconia” fin dalla più tenera infanzia: in alcuni punti sembra che si tratti una precoce possessione da parte di Nosferatu che, in realtà, lei libera solo successivamente spinta dall’odio del padre nei suoi confronti. Dall’altra, sembra che sia proprio l’odio del padre per la “diversità” della figlia a renderla malinconica: una strizzata d’occhio allo stereotipo dell’irrazionale femminile che, non venendo inglobato nell’ordine maschile, si sfoga nella lussuria fisica. E infatti sembra quasi che sia Ellen, più di Nosferatu, a rappresentare una sorta di “mostruoso sessuale” che, oscillando tra la lussuria del Conte e l’amore “borghese” di Thomas, finisce per godere, un po’ forzatamente, un po’ volontariamente, di entrambi gli amanti, finendo per sacrificarsi sull’altare della morte, che assume le perverse connotazioni dell’estremo piacere. Del resto, il film dipinge un ottimo quadro di come le donne venivano viste e volute nella società vittoriana: demoni emotivi e carnali che potevano trovare redenzione sacrificandosi per un bene maggiore.
Il film di Eggers possiede un cast eccezionale, una regia estremamente originale e un apparato visivo curatissimo, accompagnato da un montaggio sonoro che ben si adatta al tono gotico della pellicola. A livello tecnico, l’unica pecca sono i jumpscares, inserti decisamente inutili in un film esteticamente raffinatissimo che, in tutte le scene, punta ad angosciare lo spettatore, più che a spaventarlo. Nella sceneggiatura, non si può fare a meno di notare una certa “velocità” nelle spiegazioni, che mal si adatta al lento ritmo del film , il quale avrebbe avuto bisogno di dialoghi molto più riflessivi. In conclusione, un notevole horror d’autore che, senza la cura dell’apparato visivo e senza le notevoli interpretazioni di Depp, Hoult e Defoe, sarebbe stato un reboot non eccelso, ma senz’altro godibile per gli appassionati.

Non è una recensione di Perfect days

Andare al cinema la domenica sera, in inverno, col freddo fuori e la pioggia, suona proprio bene. Io e la mia amica andiamo con largo anticipo, siccome il giorno prima i miei non sono riusciti a vedere il film per la troppa gente che aveva prenotato il biglietto prima di loro. Paghiamo e attendiamo fuori. Non so cosa aspettarmi: ho visto il trailer, ma non conosco bene il regista, non ho visto nessun altro suo film, nonostante mio padre rimarchi sempre la bellezza della storia di “Il Cielo sopra Berlino”. Sono però convinta che valga la pena guardare Perfect Days, perché la mia amica è appassionata di cinema più di quanto lo sia io e ha insistito perché andassimo insieme. Ci avviamo nella sala, ben riscaldata, le luci si spengono, sullo schermo compare lo stemma del Festival di Cannes, inizia la magia. 

Le recensioni che avevo letto non mentivano: non smetteresti mai di guardarlo. Ed è stato così anche per me. Nonostante nelle immagini che vedevo, non ci fosse un’adrenalina che non ti fa stare fermo, né un’ansia per un giallo da svelare, né la paura di un thriller. C’è la vita quotidiana di una persona umile, che ha trovato il suo modo di esistere nel mondo. Da subito mi sono sentita vicina, empatica nei confronti di Hirayama, calma e quieta nel vedere il suo modo di vivere la vita.

Lunghi piano-sequenza, che rivelano nulla di più che le azioni quotidiane che anche io ogni giorno compio: svegliarsi, lavarsi i denti, vestirsi, lavorare, mangiare, scattare fotografie, bersi qualcosa al bar, leggere un libro prima di dormire. Eppure il tutto è straordinario, perché il modo in cui il protagonista compie tutto ciò non è, probabilmente, il modo in cui lo facciamo noi: è sereno, sempre, e calmo, felice, tranquillo. Ma soprattutto, in ogni suo gesto c’è una cura e una delicatezza che mi manca, che manca a questo mondo in cui le cose si fanno perché si deve, non perché si vuole. Le cose che faccio sono per lo più fatte senza cura, di fretta, senza attenzione,  invece Hirayama mi insegna il contrario. Mi dice che ogni giorno conta. Che ogni attività che svolgo è importante, senza gerarchia, che ogni cosa che faccio necessita della stessa cura. Anche se il suo lavoro è lavare i bagni pubblici, ogni giorno, tutto il giorno, per una paga piccola e ristretta. Mi insegna che non bisogna fare qualcosa di assurdo, per essere sereni. Perché essere felici è una mia volontà, dipende solo e soltanto da me. E vorrei smetterla di incolpare cause esterne, altre persone, il fato, il destino. Smetterla di pensare al prossimo periodo di vacanza, al prossimo mese senza esami, al prossimo viaggio, rimandando la felicità solo quando avrò raggiunto quel periodo, quella libertà, quel momento, quella persona. “Adesso è adesso”, come dice Niko, la dolce nipote di Hirayama. Non ha senso focalizzarsi su ciò che manca, ed essere sempre infelici. Allora guardo piuttosto a tutto ciò che ho. Mi concentro su poche cose, ma fatte bene. Il segreto sta proprio nelle piccole cose, “quelle che fanno bella la nostra vita”. 

Grazie alla luce sempre calda che a volte è data dallo sguardo stesso del protagonista, e grazie alla quasi assenza delle parole, dei dialoghi, tutto è reso semplice, tutto scorre via veloce e leggero. L’atmosfera che arriva è calorosa e calma, non c’è fretta, né paura. C’è consapevolezza di stare vivendo attimo per attimo un momento unico ed inimitabile. Ho imparato quanto è bello il silenzio, quanto è difficile praticarlo, perché in realtà davvero parliamo troppo, diciamo troppo, non siamo più in grado di ascoltare o ascoltarci, troppo presi dal far valere la nostra opinione, far conoscere la nostra vita, condividere quello che facciamo. Non sappiamo stare da soli. Ma è solo in questa capacità che, forse, ritorniamo noi stessi, nella nostra semplicità di essere umani. Uomini e donne che si svegliano la mattina, si lavano, lavorano, danno spazio alle proprie passioni, e dormono. Quanto cambierebbe la mia vita se fossi in grado di apprezzare ogni piccolo gesto, di dare importanza a ogni piccola cosa che faccio? Quanto sarei più felice e serena se riuscissi a non pensare sempre al dopo, al domani, al futuro, ma godere della possibilità di adesso? 



Qualcosa è cambiato

Regia di James L. Brooks, produzione americana del 1997

Durata: 2h 19 minuti

Tipologia: Romantico/commedia

Classificazione: T

Pellicola presente al 140mo posto nella lista dei migliori 500 film di tutti i tempi.

Il film ha ottenuto 7 candidature e vinto 2 premi OSCAR (terzo a Nicholson come attore protagonista e uno ad Helen Hunt come attrice), 6 candidature di cui tre vinte ai GOLDEN GLOBES.  

Di cosa sto parlando?  Del film Qualcosa è cambiato.

Un film imperdibile capace di dare una ventata di aria fresca ad una storia d’amore ostacolata dalle diversità dei personaggi. Se state pensando che questo film sia l’ennesima pellicola romantica, sdolcinata e noiosa… Beh, vi sbagliate di grosso!

Lasciate che vi racconti: il nostro caro Jack Nicholson veste i panni di Melvin uno scrittore di romanzi rosa, amatissimo dalle donne, ma dalla personalità disturbata da diversi disagi ossessivo-compulsivi e, per non farci mancare niente, con un pessimo carattere.  Come quella battuta: “…vada a vendere pazzia altrove: qui siamo al completo…”

Premetto che non sono una grande fan di film romantici ma questo, signori e signore lettrici è fantastico! Ed anche con un record di 5 visioni (ne vado abbastanza fiera) rimane esilarante come la prima volta …

– “… È così stravagante che mi invoglia a guardarlo “- questo il commento di un mio famigliare durante la sua prima visione.

Melvin è detestabile e non perde occasione per offendere chiunque. Razzista, non ama neri, gay, ebrei, vecchiette e cani. Per ironia della sorte ha come vicino di casa un pittore omosessuale squattrinato padrone di un cagnolino di nome Verdell.  Il protagonista tenterà di farlo fuori scaraventandolo nello scarico dei rifiuti!!! Nonostante questo, l’animale si affeziona a Melvin riuscendo a penetrare nel suo cuore e scoprendone un lato tenero.

Melvin si accorge che dentro di sé qualcosa è cambiato quando inizia ad avere un rapporto più “umano” con la cameriera Carol, ragazza-madre di un bambino malato. Dice: “…lei mi ha sfrattato dalla mia vita…”. E’ l’unica persona in tutta New York che lo sopporta.

-…Quando sei venuto a fare colazione… la prima volta che ti ho visto, ho pensato che eri un bell’uomo. Poi, certo, hai parlato…-

Questa bellissima commedia romantica lotta contro i più banali pregiudizi e rispecchia le piccole paranoie che ci sono in tutti noi. Vi lascio con una frase che mi ha toccato il cuore:

“…. mi fai venire voglia di essere un uomo migliore…”

Il miglio verde

Regia di Frank Darabond dal romanzo di Stephen King

Film del 1999 con Tom Hanks e Gary Sinise

Durata : 3 h 9 m

Tipologia : Drammatico/Giallo

Classificazione: T 

PREMI: 4 nomination ai Premi Oscar, 1 nomination ai Golden Globe, 2 nomination  ai premi Awards

 

“….tutti noi dobbiamo morire, non ci sono eccezioni, ma qualche volta, Dio mio, il miglio verde sembra così lungo….”.

-Paul Edgecombe

Un vero capolavoro del cinema è il miglio verde: eccellenti sono i personaggi protagonisti, esaltante è la trama. Secondo me ne vale davvero la pena vederlo, perché dopo la visione questo film inevitabilmente diventerà parte del vostro modo di vedere la vita e approccerete l’idea di una continua lotta tra la speranza (Jhon Coffey) e la disperazione (la vecchia scintillante, nome dato alla sedia elettrica).  Le battute rimangono impresse nel cuore e nella mente. Se non lo avete ancora visto vi state perdendo non solo un film ma emozioni e personaggi che, alla fine del lungometraggio, rimarranno nella vostra memoria come dei lontani amici.

Il miglio verde è il percorso che i condannati a morte devono percorrere dalla loro cella al luogo dell’ esecuzione della pena. La similitudine è con la  vita di ognuno di noi, infatti tutti noi percorriamo il miglio verde dal momento che veniamo al mondo (adesso che ci ripenso mi vengono i brividi). La trama del film differisce per ognuno di noi perché si basa sulla visione soggettiva della vita, del modo in cui decidiamo di approcciarci con essa e del significato che per lo spettatore ha il “vivere”.

Il quotidiano di Paul Edgecombe (protagonista e guardia carceraria del braccio della morte) viene  stravolto quando, sotto la sua custodia, arriva un nuovo “uomo morto che cammina” Jhon Coffey (sì, proprio come il caffè ma scritto in modo diverso, mi raccomando!) accusato di aver ucciso due gemelle. Nonostante la sua gigantesca stazza, Jhon è impaurito e incredibilmente gentile tanto da aiutare gli altri carcerati e le guardie anche nei momenti più difficili. E’ proprio questa sua innata gentilezza ed empatia che porterà Paul e le altre guardie a non credere alla sua colpevolezza e a fare una scelta importante… MOLTO importante (non ve lo posso spoilerare, andate a vederlo!).

Però vi posso dire ancora una cosa: Coffey è dotato di doti straordinarie, un straordinario potere curativo  e la capacità di leggere nel cuore delle persone ; ma è stanco di comprendere quanto gli uomini facciano male agli altri uomini. C’è una scena in cui dice:

“…sono stanco capo, stanco morto…Sono stanco soprattutto del male che gli uomini fanno a tutti gli altri uomini, del dolore che io sento ogni giorno, ce n’è troppo per me. Lo capisci questo?”

In questo punto ammetto di essermi commossa un pochino… questo film insegna a godere delle piccole cose, proprio come fa John, e a riempire la propria vita d’amore e di una gentilezza incondizionata.

E’ arrivato il lupo cattivo

Nome del film: The Shining

Tipologia: Horror/ Thriller /Film di mistero VM14

Durata: 2h 26m

Data di uscita: 22 dicembre 1980 (Italia)

Regista: Stanley Kubrick

Scritto da: Stephen King

Cast: Jack Nicholson che interpetra Jack Torrance, Shelley Duvall che interpetra Wendy Torrance, Danny Lloyd che interpetra Danny Torrance (Doc), Scatman Crothers che interpetra Dick Hallorann, Joe Turkel che interpetra Lloyd, Barry Nelson che interpetra Stuart Ullman.

Trama del film: il padre di famiglia Jack Torrance accetta l’incarico di custode invernale dell’Overlook Hotel , una struttura isolata sulle meravigliose montagne del Colorado. Il figlio Danny (detto Doc), un ragazzino con un potere sovrannaturale inizierà ad avere delle visioni orribili riguardanti l’infestato albergo. Una sola cosa è certa : <<Questo posto disumano crea mostri umani >> e il suo obbiettivo è Jack .

Commento personale: La marea di terrore che ha travolto l’America è qui!

Per la mia prima recensione non posso non giudicare il mio film preferito THE SHINING (non che il mitico sfondo del pc dal quale sto scrivendo) .

Ammetto con una certa sicurezza che questo è il più bel film che io abbia mai visto (l’ho visto più di 10 volte!!!). Ho adorato questo lungometraggio fin dalla prima visione perché è un perfetto mix di tensioni, musiche che accompagnano e aumentano l’intensità dei movimenti o delle espressioni, continui colpi di scena, Easter egg in ogni angolo.  Nel film ho percepito anche un sentimento quasi di paura che crea un effetto particolare: è come se costringesse lo spettatore a tenere gli occhi aperti fino alla fine per non perdere neanche un fotogramma di questo capolavoro che è entrato nella storia del cinema.

Questo film è incredibilmente complesso sia nella storia che nei personaggi. NULLA è messo a caso. Ogni fotogramma è un segreto QUASI impossibile da svelare. Ma vuoi mettere la soddisfazione di capire il  PERCHE’ e il COME un insignificante oggetto sia in realtà la chiave di tutto?

Un altro aspetto FANTASTICO di questo film è che permette di creare un interpretazione personale che fa catapultare lo spettatore direttamente nell’Hotel.

Mi concedo però un’unica critica. La prima visione è di difficile comprensione, con il rischio di non riuscire ad apprezzare appieno la bellezza della trama che risulta complessa. Questo perché è ricca di salti temporali difficili da seguire ad una prima visione.

Il mio personaggio preferito è indubbiamente Jack Torrence.  Ho apprezzato la sua psicologia, le sue espressioni, le sue argomentazioni e il suo modo di agire. Questo mix di sensazioni sono a parer mio degne degli standard che un vero amante di pellicole dell’horror cerca in un protagonista. Un lavoro cinematografico degno di essere chiamato A masterpiece of modern horror (ve lo dico per esperienza… i film dell’orrore ,quelli belli, sono difficili da trovare ) .

Spoiler per gli amanti dei lieto fine: il genere non decreta sempre l’ovvio finale di questi film. Lasciatevi sorprendere!

Migliori frasi del film:

Jack: Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Su, apri la porta. Su, apri! Non hai sentito il mio toc, toc, toc? Allora vuoi che soffi? Vuoi che faccio puff? Allora devo aprirla io la porta? […] Sono il lupo cattivo!

Jack : Wendy, tesoro, luce della mia vita. Non ti farò niente. Solo che devi lasciarmi finire la frase. Ho detto che non ti farò niente. Soltanto quella testa te la spacco in due! Quella tua testolina te la faccio a pezzi!

Ospite : Gran bella festa vero ?

 

Autore: Sofia Rinaldi

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