Cosa possono avere in comune un pensionato, un proprietario di una cava, un procuratore della Repubblica e un cassiere del cinema?
Forse le spese di condominio, forse lo stesso medico di base. O forse il fatto di essere in una lista insieme ad altre 900 persone. Una lista che da più di vent’anni viene letta in numerose città italiane, dal primo all’ultimo nome, “per non dimenticare”.
Ogni 21 marzo, primo giorno di primavera, l’associazione Libera celebra la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, perché in quel giorno di risveglio della natura si rinnovi la primavera della verità e della giustizia sociale.
Nell’immaginario comune, il termine “vittime di mafia” viene immediatamente associato a giudici e procuratori passati alla storia per le loro coraggiose azioni: Falcone, Borsellino, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici.
Eppure in questa lista, troppo affollata per rinchiudere solo personaggi celebri, compaiono nomi di ogni genere ed età, che bussano puntuali tutti gli anni alla coscienza dello Stato italiano.
Chi sono le vittime di mafia?
Onofrio Valvola era semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato quando, nel dicembre del 1981, venne ucciso casualmente in una sparatoria tra gruppi mafiosi rivali.
L’ingegnere Gennaro Musella aveva sentito la puzza dell’illecito e, alla ricerca di giustizia per la sua azienda, aveva presentato esposti contro il Genio civile che aveva favorito un’associazione di imprese di Catania per la costruzione del porto di Bagnara Calabra.
Pietro Scaglione è un procuratore della Repubblica, il cui nome non figura nella memoria comune, ma il cui onesto lavoro è bastato per finire nel mirino di Cosa Nostra. Viene ucciso a Palermo il 5 maggio 1971, insieme al suo autista Antonino Lo Russo.
Gli occhi di Salvatore Benigno si illuminarono in una notte dell’agosto 1986, quando videro due mafiosi dare alle fiamme un’auto dopo aver commesso un omicidio. Una luce di testimonianza che venne spenta con un altro omicidio, davanti al cinema in cui l’innocente cassiere lavorava.
I racconti potrebbero durare per pagine e pagine, riempiendo tutte le righe della memoria con storie di innocenti che hanno perso la vita a causa di un sistema mafioso. « Storia diversa per gente normale » canta nel mio orecchio il buon vecchio De Andrè, che aveva dedicato una canzone ad uno scrittore che non condivideva niente con le vittime di mafia se non il crimine dell’innocenza: Pier Paolo Pasolini.
Gente normale la cui vita è stata sconvolta da giochi di potere, da casuali fatalità, da punizioni nel nome dell’illegalità. Gente normale che viene ogni anno ricordata in occasione del 21 marzo. Gente normale che non è mai riuscita ad uscire dal circolo vizioso dell’indifferenza, perché la memoria può evitare di commettere gli stessi errori mentre “restare cornuti” è una solida basa per poterli commettere di nuovo.
« Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l’appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna…» affermava Leonardo Sciascia nel 1961 rompendo il silenzio editoriale con il primo sincero romanzo-denuncia sull’apparato mafioso siciliano.
E mentre guardavo le facce di alcuni miei compagni di università francesi, spagnoli, egiziani, marocchini e americani riuniti davanti a “La mafia uccide solo d’estate”, il brillante film di Pif, ho provato sulla mia pelle la difficoltà di costruire una memoria collettiva per il futuro di una Stato che non dimentica, ma commemora per imparare.
« Io non mi sento cornuto » disse il giovane.
« E nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo… ».
Ogni giorno, non solo il 21 marzo, dovremmo alzare la musica della memoria e dell’impegno per rompere il silenzio dell’indifferenza, e ballare sulle nostre note.