Peru peru monta su, cala cala mai pi giu.”

Spiga verde sali su, senza scendere più giù”.

Questa era una filastrocca che veniva ripetuta più volte nei pomeriggi tra le spighe dei campi di campagna. Perché per passare lunghe ore tra i campi, nel torrido caldo estivo, senza cellulare o connessione internet, i bambini dovevano sognare e abbandonarsi alla creatività per trasformare la campagna in un parco giochi. Non c’erano Facebook o pomeriggi interi al centro commerciale. C’era l’arte di far morire un seme piantato nella terra, di aspettare il freddo dell’inverno e la soave brezza primaverile per veder nascere la pianta da cui tutto poi aveva inizio.

Una filosofia, quella agricola, che sembra sempre più lontana e nascosta. Eppure, c’è chi vuole riscoprirla e donarla a tutti coloro che sognano di fare la spesa in un mercato contadino di prodotti locali, di cuocere la carne alla brace su un braciere condiviso insieme ad altre persone che hanno scelto anche loro di non chiudersi in un centro commerciale. Chissà che con una buona birre non diventino degli amici. D’altronde, la filosofia agricola nasconde anche questo.

La terra da coltivare è sempre una scoperta, perché ogni anno tutto può cambiare. Più pioggia o meno pioggia, più sole o meno sole, più fertile o meno fertile e tutto il raccolto può subirne variazioni. Dietro tutto questo, però, la terra porta con sé altri valori che prescindono il tempo e ci guidano nella nostra quotidianità sempre più frenetica, egocentrica e superba.

L’arte della attesa, perché in natura non è tutto subito. Per giungere alla bellezza, quella vera, bisogna faticare, lavorare, aspettare e sperare. In natura c’è un tempo per tutto e le coltivazioni richiedono fatica come zappare sotto il sole cocente. Non è tutto subito, altrimenti sarebbe acerbo. E non è tutto al tempo nostro: un frutto se non è colto quando è maturo, marcisce. Ecco, l’arte dell’attesa è l’arte di arrivare pronti agli appuntamenti importanti. E’ la fatica di prepararsi; è la gioia di tenere nel palmo di una mano il frutto del proprio lavoro pronto per essere gustato.

Poi c’è’arte dell’originalità. Dal latino origo che significa origine. Come a dire che è davvero originale solo chi ha radici profonde, chi appartiene a qualcuno. E’ l’arte di riconoscersi responsabili della propria terra, del proprio territorio, perché è da lì che si proviene. Forse è un’arte sempre più in disuso. Perché essere originali non è analogo ad  avere successo, ma è sinonimo di preziosità

Infine c’è l’arte dell’umiltà. Umiltà deriva dal latino humus, terra. Umile è colui che arriva dal basso, dalla terra appunto. Umiltà è anche un senso di piccolezza nei confronti di qualcosa di più grande. Umiltà è quel sostantivo che racchiude quella filosofia agricola che tanto ci manca e a ricordarmela è stato quel gelataio di Poirino che serve il gelato all’Open Graden Baladin: “Il latte delle mie mucche, la frutta dei miei frutteti… Io faccio di tutto perché vengano fuori nel miglior modo possibile, ma non dipende tutto da me. Tutto è dono, della mucca o dell’albero. Io ne colgo solo i frutti”. E il frutto di tutti questi frutti è un gelato eccezionale!

Tutti questi valori sono nascosti tra le panche, le braci e i profumi di un giardino, quasi incantato. L’Open Garden è la semplicità che si realizza. Non è altro che un giardino, davvero. Ma in un’epoca come la nostra, dire di andare in giardino a fare la spesa, la carne alla brace e a giocare a carte fa specie. A fare effetto qui, però, non è solo questo: sono anche le storie di tutti quei contadini che portano i prodotti della propria terra, le storie di ogni singola birra che si può sorseggiare e la storia che ognuno può riscoprire in questa filosofia agricola.

Le storie, al nostro tempo, quasi non si recitano più. C’è stanchezza, c’è poco tempo e c’è l’ansia di voler tutto subito. Basti pensare alla scuola dove non si raccontano più storie, dove non si raccontano più i motivi che hanno spinto a una scoperta o allo scrivere una poesia, ma si completa solo il programma.

C’è una grande ricchezza nelle storie. E la storia più bella è quella che ognuno di noi è venuto a raccontare. Un proverbio ebraico recita: “Dio ha creato l’uomo per sentirgli raccontare storie”. E le storie belle, quelle originali, si raccontano con umiltà e si ascoltano in un’attesa silenziosa.

La differenza tra una storia brutta e una storia bella è la reazione che avviene dopo che la si è ascoltata. La prima è eccitante, ma dura poco. La seconda porta frutti col tempo e dona gioia duratura. Insomma, la prima è di successo immediato mentre la seconda passa inosservata, ma la prima svanisce mentre la seconda cresce.

In altre parole: la prima è un centro commerciale, la seconda è un giardino in mezzo alla natura.