Al giorno d’oggi, i danni ambientali provocati dall’agire umano sono inconfutabili e largamente noti. Allora come mai i provvedimenti a favore dell’ambiente sono ancora molto timidi (se non addirittura inesistenti)? Tale lentezza d’azione è spiegabile analizzando il sistema nazionalistico dominante.
Il nazionalismo è l’ideologia che permette a un gruppo di riconoscersi sulla base di motivi territoriali, etnici e soprattutto culturali (lingua, usi e costumi, religione). Il nazionalismo si fonda pertanto su un’implicita differenziazione tra esseri umani: riconoscersi in un gruppo significa voler tracciare una differenza tra un “noi” e un “gli altri”. Da ciò deriva che le nazioni si fondino sulla competizione per il prestigio nazionale, cioè su una continua crescita economica volta ad affermare la propria nazione sulle altre. Questo sentimento di competizione e presunta superiorità nazionalista ha una conseguenza negativa sulla salvaguardia ambientale.
Innanzitutto, volersi differenziare dagli altri uomini indica una mancata capacità di considerare l’umanità e lo spazio terrestre come entità uniche, compatte. Le nazioni si basano su un tratteggiamento di confini che rende frammentario lo spazio geografico e umano. Da ciò la duplice difficoltà a riconoscere problemi ambientali che avvengono al di fuori dei confini conosciuti e a riconoscere gli stretti rapporti tra la crisi di altre zone del mondo e il territorio nazionale.
Prendere atto che la crisi ambientale sia un fenomeno planetario significa uscire dalla logica nazionalista, una logica che – ricordiamo – permea la forma mentis europea da almeno due secoli (dalla Rivoluzione Francese) e quella mondiale da diversi decenni (dalle lotte anticolonialiste). In secondo luogo, la volontà di dimostrarsi migliori delle altre nazioni e di costruire di un orgoglio nazionale hanno condotto, nel mondo contemporaneo, al cosiddetto produttivismo, definibile come un’ideologia basata sulla convinzione che la produttività e la crescita di una nazione siano lo scopo ultimo dell’organizzazione umana. Il produttivismo è contemplabile solo in un contesto di infinite risorse e continua produzione. Tale caratteristica rende il produttivismo il principale colpevole dei disastri ambientali finora causati.
Infine, il principio di differenziazione nazionalistico ha spesso condotto a fenomeni di razzismo e discriminazione (a questo proposito è superfluo citare degli esempi), che hanno portato a tenere in bassa considerazione sia i territori che gli abitanti di alcune zone geografiche: ci si sente meno in colpa a devastare il territorio di una popolazione lontana e del terzo mondo, rispetto alla quale si nutrono diversi pregiudizi.
Ricapitolando, i tre fattori chiave che non solo impediscono un’azione in favore dell’ambiente, ma addirittura sono la causa stessa della sua devastazione, sono: la mancata capacità di avere una visione d’insieme, il produttivismo, la discriminazione razziale.
Esiste però un altro elemento fondamentale nel determinare le azioni umane nei confronti dell’ambiente, ovvero la percezione umana del rapporto uomo-natura, ben più antica del nazionalismo. La tendenza, fin dai tempi più antichi, di porre l’uomo al centro del mondo (addirittura nella convinzione religiosa che il mondo fosse stato appositamente creato per lui), conduce a vedere la natura come un’entità subordinata all’uomo e di sua appartenenza. È stata tale concezione secolare a comportare l’inizio dell’Antropocene, la nuova era geologica in cui l’agire umano è in grado di modificare la litosfera, l’atmosfera, l’idrosfera e gli equilibri dei processi biologici.
Per questo motivo, studiosi e ambientalisti tentano di situarsi in un contesto anti-antropocentrico, ossia in un panorama che pone l’uomo allo stesso livello della natura, che colloca l’umanità all’interno del mondo naturale, che la concepisce come una parte del tutto. Forse questo atteggiamento sarebbe il più efficace per tentare di frenare ciò che ancora si può contenere, tenendo comunque presente che ormai le conseguenze delle azioni umane non saranno cancellabili.