Un aereo precipita misteriosamente e un gruppo di soli bambini e ragazzi è costretto a sopravvivere su un’isola deserta, senza la presenza ingombrante – e tuttavia anche confortante – di qualsivoglia adulto: questa è la celeberrima situazione che mette in moto la macchina narrativa ne Il signore delle mosche, il capolavoro di William Golding.
I superstiti devono organizzarsi per ricreare in piccolo il mondo dei grandi, con le sue gerarchie, le sue dinamiche e le sue contraddizioni, e preservare la propria civiltà, in una dura lotta contro un ambiente naturale ostile.
In questa nuova piccola società ad affermarsi come leader sono Ralph e Jack, due tra i ragazzi più grandi; Ralph ha una leadership innata e pare il più ragionevole, ma ha bisogno, in realtà, di un fido consigliere quale il suo compagno Piggy, un bambino occhialuto e cicciottello, che viene ineluttabilmente deriso prima e dopo il disastro aereo. Jack, invece, è un capo impulsivo e disposto a tutto: vive la vita hic et nunc, senza progettualità, e la sua civiltà cede presto il passo alla trivialità, sprofondandolo nella dimensione del selvaggio.
Entrambi cercano di atteggiarsi da adulti e di contenersi, per riuscire a tenere a bada i più piccoli, eppure non sono effettivamente maturi: hanno ancora bisogno di un vero adulto che faccia loro da Virgilio, per comprendere appieno la complessità della vita. Ralph, inizialmente, appare serbare la propria fiducia negli adulti e immagina che, al loro posto, loro saprebbero come districarsi; ma il messaggio che traspare dal romanzo è tutt’altro che positivo: infatti, mentre i protagonisti si trovano a lottare tra loro per la sopravvivenza, in una situazione estrema, i grandi sono impegnati in una guerra catastrofica. Dunque, la tendenza al conflitto è connaturata in tutti gli uomini e insidia tanto gli adulti quanto i bambini, sembra dire l’autore.
Oltre al conflitto tra gli uomini, ne Il signore delle mosche viene inscenato un altro contrasto: quello tra la civiltà e la bestialità. La civiltà e il progresso sembrano man a mano scolorare, sbiadirsi: il bus, il letto, l’aspetto curato a cui pensa nostalgicamente Ralph non sono che vaghi ricordi, sull’isola, e anche la cultura, vera cifra della civiltà, non trova spazio nella nuova realtà in cui i protagonisti si trovano a vivere. Dallo scontro, pertanto, esce vincitrice l’animalità: i personaggi si riducono, infine, a bruti e scelgono come totem una testa di maiale infilzata, attorno a cui svolazzano le mosche; questa testa, che dà il titolo al libro, è eloquente: avverte che non c’è scampo alla bestialità insita nell’uomo. Persino Ralph, che dovrebbe, come si è detto, simboleggiare la razionalità, nelle pagine finali è trattato come un animale a cui dare la caccia e viene inseguito dai propri compagni, tramutatisi in selvaggi; in questa occasione, si trova anche lui a confrontarsi con la barbarie e giunge a chiedersi che cosa farebbe un maiale al suo posto.
Ai binomi adulto-bambino e civiltà-animalità, nel libro si aggiunge la dicotomia democrazia-autoritarismo. La forma di governo che, inizialmente, viene instaurata dai naufraghi è quella democratica: tutti hanno diritto di parola, sono uguali tra loro, e l’emblema della democrazia è costituito da una conchiglia, un oggetto che si sceglie per permettere a chi la regge di poter parlare, senza essere prevaricato. Ma, man a mano che la vita sull’isola procede, e che gli incubi si fanno reali, le voci di tutti vengono soffocate da quelle dei leader, fino a quando quella di Jack si impone sulle altre. La democrazia pare, quindi, destinata a fallire, a causa della lotta per la vita e, forse, non risulta essere così efficace, se dà potere anche ai più piccoli e immaturi.
La situazione iniziale, ovvero un mondo senza adulti, che potrebbe essere l’idillio di ogni bambino, diviene, nel libro di Golding, il peggiore dei mondi possibili; come a dire che la libertà va sempre dosata, per non sprofondare nel baratro.