Parlare di innovazione, come questa rubrica si propone di fare, significa spostarsi nel tempo. Tentare di non perdersi nel presente e nei limiti che oggi sembrano invalicabili, per sforzarsi di immaginare che domani ci sarà una soluzione.
Per parlare di innovazione è necessario porre l’attenzione su chi è, per definizione, proiettato nel futuro. Occorre, e non succede spesso, parlare di scuola e di formazione.
In queste settimane in realtà, gli studenti delle scuole superiori hanno cercato di far parlare di sè. Venerdì 13 ottobre, in molte piazze italiane, hanno manifestato per opporsi all’Alternanza Scuola Lavoro. Introdotta dalla legge 170 del 2015 (“La buona scuola”), questa nuova proposta formativa sta creando una serie di spaccature, soprattutto tra i diretti interessati. Abbiamo fatto loro qualche domanda, per comprendere le motivazioni e le difficoltà che stanno incontrando.
In particolare ci siamo concentrati su coloro per i quali l’alternanza rappresenta la novità più evidente: gli studenti liceali. Non ce ne vogliano gli alunni degli istituti tecnici e professionali: non sono stati intervistati in quanto, nei loro percorsi di studio, i periodi di tirocini e stage formativi sul campo sono previsti da prima del 2015. I loro colleghi liceali, invece, hanno vissuto l’idea di affiancare momenti di lavoro a versioni di latino e integrali come una piccola rivoluzione.
«Già il fatto di doverci prendere ulteriori impegni dopo 9 mesi sui libri per noi è pesante (non frequentiamo certo una scuola leggera) e se poi dobbiamo anche svolgere compiti che assolutamente non c’entrano nulla con il nostro percorso formativo allora il disappunto raddoppia.»
Andrea, al quarto anno del Liceo Classico Maffei di Riva del Garda (Tn), mi ha raccontato della sua esperienza, di fatto molto positiva, e di quella di alcuni compagni, che non sono stati altrettanto fortunati.
«Le testimonianze si sono dimostrate negative sia per le mansioni svolte, sia per l’organizzazione non proprio impeccabile. E nemmeno c’era stata grande chiarezza sui compiti che sarebbero stati svolti.»
Una serie di criticità legate all’organizzazione dell’alternanza e alla difficoltà di conciliare questo percorso con gli impegni scolastici sono emerse anche dalle parole di alcuni studenti del Liceo Peano – Pellico di Cuneo. Anche il fatto che le mansioni affidate agli studenti siano poco attinenti ai percorsi di studio è stato sottolineato.
Di fatto però, i licei sono scuole che non prevedono competenze tecniche, quindi è difficile pensare di organizzare un’alternanza con lavori specifici. “Lavare i piatti non è formazione”, si legge in alcuni dei cartelli delle manifestazioni. «A volte sembra che il nostro lavoro “faccia comodo”», ha ribadito Andrea. E c’è chi obietta che, indipendentemente dalla mansione, un’esperienza lavorativa sia formativa in quanto tale, perché implica una serie di capacità e consapevolezze trasversali e necessarie per qualunque lavoro.
Alcuni degli studenti con cui abbiamo chiacchierato sono d’accordo, e riconoscono la positività di un’esperienza simile, pur facendo notare che l’organizzazione dei periodi lavorativi sembra non essere pensata per agevolarli.
Altri invece, ed è il caso di chi è sceso in piazza venerdì scorso, si oppongono al concetto stesso di alternanza scuola lavoro. In particolare per chi ha scelto una scuola che prevede, nella maggior parte dei casi, di proseguire gli studi dopo il diploma, il mondo del lavoro è forse un orizzonte troppo lontano per vedere un’utilità concreta in questa prima esperienza. In molti suggeriscono che forse, almeno in questa fase del percorso scolastico, sarebbe più costruttivo far “assaggiare” agli studenti alcuni dei lavori a cui potrebbe portarli la scuola che stanno frequentando. In questo modo potrebbero vedere concretamente a cosa stanno andando incontro, e sperimentare sul campo gli argomenti che li appassionano.
Si tratta di una questione complessa, che di certo non può essere risolta in poche righe. Ma forse gli Istituti hanno una possibilità, talvolta sottovalutata, per rendere questo percorso utile e formativo. Tener conto delle impressioni, delle esigenze e delle esperienze degli studenti. Tentando di creare un dialogo in cui abbiano peso le voci dei protagonisti della formazione.

(Con la collaborazione di Simone Arciuolo)