Amo il nome della rubrica per cui scrivo, A caccia di eventi. Mi porta a cercare sempre cose nuove, da conoscere e far conoscere e ad imbattermi in ciò che mi sono persa per strada ma che era molto importante che trovassi. Inoltre il termine “eventi”, così sfaccettato e soggettivamente interpretabile, mi permette di parlare un po’ di tutto ciò che cattura i miei occhi e il mio cuore.

Dopo questa premessa arriviamo finalmente al primo evento che ho scelto di mettere a fuoco in questo articolo: il film del racconto teatrale dell’ultimo romanzo di Alessandro d’Avenia, L’appello. Molti di voi avranno già letto questo romanzo e magari avranno già anche visto il film di cui sto parlando, girato al Teatro Colosseo di Torino seguendo i protocolli anti Covid, con la regia di Gabriele Vacis e pubblicato lo scorso dicembre sul canale Youtube di Libri Mondadori.

Io me l’ero perso e scoprirlo in questo momento per me è stata una ventata di aria fresca. Se anche voi ve lo siete persi, vi racconto perchè dovreste correre a vederlo.

La trama è apparentemente semplice: Omero Romeo, professore di scienze, viene chiamato a prendere in carico una classe quinta liceo la cui insegnante è mancata all’improvviso. Si tratta di una classe problematica, una classe-ghetto che raccoglie i casi più disperati della scuola. Un piccolo grande particolare: Omero, come il suo celebre omonimo greco, è cieco. Ma attraverso la sua sensibilità e l’innovazione che porta riesce a comprendere gli alunni come nessun altro prima.

Perchè questo particolare è così importante? Perchè si collega a ciò che a mio avviso rende Alessandro D’Avenia un vero grande: la capacità, nonostante il successo raggiunto come scrittore di fama internazionale e dopo vent’anni di carriera da insegnante di riconosciuto talento, di mettersi in discussione. Di sentire, forse a livello emotivo prima che razionale, la necessità di cambiare prospettiva, di andare oltre sé stesso come insegnante, come scrittore e, prima ancora, come essere umano in relazione con altri giovani esseri umani. Perchè l’appello nasce da una rivoluzione copernicana che D’Avenia ha messo in atto nel suo modo di intendere l’insegnamento. In alcune interviste D’Avenia racconta infatti che agli inizi della sua carriera era guidato da un modello di insegnamento che definisce “in stile Attimo Fuggente”. Ovvero il modello di un professore fortemente carismatico, la cui passione per ciò che insegna e per l’insegnamento stesso è così forte da accendere gli studenti, attraverso quel fuoco. Il che, a mio avviso, è già tanto: avercene di professori così, no?

Ma come fa notare lo stesso D’Avenia, in questo tipo di modello l’insegnante è una sorta di protagonista della scena e gli studenti il suo pubblico.

Ma è di questo, si chiede il docente e scrittore, che hanno veramente bisogno i ragazzi nel presente dell’ora di lezione?

Si è così reso conto di essere chiamato a diventare lui il loro pubblico. Di voler accogliere e raccogliere i nomi e le storie dietro i volti presenti nelle sue classi. Rendendo così l’insegnamento una dinamica bidirezionale, uno scambio profondamente umano: non solo una trasmissione di preziosi insegnamenti ma una condivisione di storie, talenti, passioni, dolori, speranze, vitalità. Facendo sentire gli studenti soggetti attivi, protagonisti di ciò che accade in aula.

D’Avenia con L’appello mette così a nudo la sua auto dichiarata passata “cecità” e quella di molti che, in una dinamica autoreferenziale, guardano tutto senza vedere nulla.

Tornando alla trama del romanzo: il professor Romeo, non potendo vedere i volti degli alunni, inventa allora un nuovo modo di fare l’appello che non ha niente ha che fare con l’automatismo a cui quasi tutti siamo stati abituati. Ogni mattina infatti al momento dell’appello i ragazzi sono chiamati a portare un pezzo delle loro storie di vita nell’ora di lezione. Vediamo così come il professore può davvero imparare a conoscere giorno per giorno i suoi studenti scoprendone difficoltà, talenti, paure e sogni. E così i ragazzi, sentendosi visti e ascoltati, evolvono di capitolo in capitolo, e insieme a loro evolve il professore che, attraverso le voci che restituisce a questi giovani, riflette sulla propria vita.

Il  film del racconto teatrale si rifà proprio al romanzo, con D’Avenia nel ruolo di Omero ma anche di sé stesso (quando racconta come sono nate le storie che racconta nel libro, chi le ha ispirate) e giovani studenti di teatro, allievi della Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino che interpretano gli studenti della classe.

Ascoltare le storie di Elena, Cesare detto Ruggine, Achille, Stella, Oscar, Caterina, Ettore, Elisa, Mattia,  Aurora, interpretate con passione da questi bravissimi attori in formazione, tocca il cuore. Sono storie dolorose ma la sensazione non è quella di una spettacolarizzazione del dramma fine a se stessa, tutt’altro. Quella che emerge chiara è la volontà di far parlare le ferite dei giovani, ferite profonde e spesso inascoltate ma che se accolte, viste, accompagnate, possono aprirsi ad un processo di cura e rinascita. La volontà di aprire gli occhi agli spettatori, di renderli consapevoli che dietro ogni nome che si può incontrare per la propria strada c’è un mondo.

Una lezione di cui potremmo forse fare tesoro tutti, non solo gli insegnanti, nell’incontro con un altro essere umano con cui ci troviamo ad avere a che fare. Chiederci di fronte all’altro: che cosa c’è davvero nel tuo nome? Che storia porti? Quali gioie, quali dolori, quale musica, quali ferite, quali desideri?

Ma dopo questo salto nel passato arriviamo al secondo evento di cui voglio parlarvi, collegato al primo. Se, dopo aver visto il racconto teatrale o aver letto il romanzo in questione ne siete rimasti folgorati come me, vi segnalo, mercoledì alle 21, una diretta sulla pagina Facebook di Libri Mondadori. Si tratta di un nuovo episodio del format online “Scrittori a Teatro”: partendo dai rispettivi romanzi, “L’appello” e “Italiana”, Alessandro D’Avenia e Giuseppe Catozzella racconteranno di letteratura, arte e scrittura e di ciò che li ha resi gli scrittori che sono. Da non perdere!