La mia prima lettura dell’anno è stata un regalo di un’amica, La vita intima di Niccolò Ammaniti. Quando l’ho finito mi sembrava di non aver letto niente, come se fosse stata una gran perdita di tempo. Ho avuto la fugace sensazione di non riuscire più a intravedere le immagini che le parole possono trasmettere. Non riuscivo a trovare le parole giuste per esprimere cosa mi ha lasciato questa nuova lettura. Così ho chiuso il libro e l’ho abbandonato per diverse settimane. Tornando a casa un giorno l’ho visto sul comodino e mi sono detta “Ali non puoi non dargli un’altra possibilità, ci deve essere qualcosa”. Ho iniziato a sfogliarlo e a scrivere, poi ho cancellato tutto. Mi sembrava tutto banale, superfluo, già detto e ridetto. Ma ho provato comunque ad andare fino in fondo perché una persona una volta mi ha detto “ un libro non può non trasmettere niente, c’è sempre una magia casuale tra le parole. Basta saper guardare in profondità”.

Questa è la storia di Maria Cristina Palma, la moglie del Presidente del Consiglio. E’ una donna privilegiata, ricca e bellissima. La donna più bella del mondo. Ha una figlia, Irene. Ma prima di questa vita Maria Cristina ne ha passate tante e anche se al momento sembra avere una vita perfetta il dolore e il passato ritornano di botto con la forza bruta di un uragano. Un incontro con una fiamma del passato basta per far crollare tutte le sue certezze. 

Ammaniti ci fa vivere nella quotidianità della protagonista e ci fa entrare nella sua mente, tra i suoi pensieri. Nell’arco di sette giorni ci regala un’avventura bizzarra, a tratti  un pò deludente. Tra paragrafi di descrizioni scricchiolanti e situazioni ambigue possiamo scorgere degli spunti riflessivi interessanti: tematiche attuali sulla nostra società e altre estremamente personali. Si parla di dolori fisici e dolori dell’anima, quelli che faticano a svanire. Ci mostra la resilienza di una donna che si porta tanti dolori dietro cercando di nasconderli e nascondersi il più possibile. Si parla del peso del passato e della memoria, un raccoglitore pieno di cose fragili. Si parla di amicizia e d’amore. Luciano e Maria Cristina: grandi amici per lei, un amore unidirezionale per lui. Nicola Sarti e Maria Cristina: una storiella estiva adolescenziale che porta il peso di una perdita in comune. Andrea Cerri e Maria Cristina: un amore frizzante spento dalla depressione di lui, che lo rendeva come un vampiro. 

La perdita, affrontata da Maria Cristina come qualcosa da evitare e dimenticare. Si parla dei ricordi amari dell’adolescenza, di quelle frasi che ti rimangono tatuate sulla pelle e diventano una voce critica con cui dialogare nei momenti aspri dell’esistenza. Si parla del rapporto con la bellezza: come dimostrare di essere intelligente e profonda per non essere trattata come una scema? Si parla di genitori: un rapporto durato troppo poco, una madre che aveva visto solo da lontano, come sul televisore. Si parla di verità: meglio vivere nella paura di essere scoperti o uscire allo scoperto?

Insomma vengono toccati tanti temi con la punta delle dita, spunti abbozzati ma non approfonditi. Leggendo, la nostra mente viene sballottata da un tema all’altro in modo brusco con intervalli di dialoghi causali e teneri. Come quello sull’autostrada con un camionista che offre un passaggio a Maria Cristina, non la riconosce e alla fine le chiede: “posso darle un bacio?”. Oppure come il dialogo con Luciano dove le dichiara di essere innamorato di lei da sempre ma lei non se n’è mai accorta.

La frase che riassume il viaggio che è stato questo libro è quella con cui vi voglio lasciare….

“Nel vento e nel gelo Maria Cristina si lascia condurre, le palpebre chiuse come se non dovesse aprirle mai più, prostrata dallo strazio e costernata dalla improvvisa, lampante, cognizione di non capire un cazzo, mai, di non saper riconoscere le persone, di essere solo un tappo di sughero sballottolato dalle onde”