L’invenzione della stampa risale, se si tengono in considerazione i metodi per la decorazione di tessuti, al II o III secolo d.C. Si hanno invece notizie della prima riproduzione di un testo su carta tra i reperti della dinastia cinese Tang, tra l’VIII e il IX secolo.
Da quel momento in poi, l’evoluzione della stampa ha accompagnato i secoli, passando da macchine a caratteri mobili e motori a vapore, fino ad arrivare alle cartucce a getto d’inchiostro e agli apparecchi laser. E fino all’avvento delle stampanti 3D, inizialmente sperimentate negli anni ‘80.
Il meccanismo più diffuso per “stampare volume” è detto produzione additiva: gli oggetti vengono creati sovrapponendo strati successivi di materiale, solitamente polveri metalliche, sostanze termoplastiche o filamenti plastici o metallici che vengono “srotolati” durante la stampa.
Inizialmente, l’ambito di impiego delle stampanti 3D è stato quello industriale. Questi strumenti possono infatti essere utilizzati per la realizzazione di prototipi in modo relativamente rapido e poco costoso. Immaginate ad esempio di poter stampare le componenti di un motore e di analizzarle, invece di osservarne la versione digitale al pc.
Negli ultimi anni però, la stampa 3D non è più un’esclusiva delle grandi aziende, ma è approdata in altri ambiti imprenditoriali, nel mondo sanitario e sociale, ed è utilizzata perfino a livello domestico. Può essere sfruttata per produrre qualunque tipo di oggetto (compatibilmente con le dimensioni della stampante), e il materiale stampato è fedele al progetto originale al decimo di millimetro, una qualità più che sufficiente per la maggior parte delle applicazioni.
E quindi ecco nascere decine di progetti basati su questa possibilità. La stilista olandese Iris van Harpen ha realizzato una collezione di abiti interamente realizzati con una stampante 3D. La Barilla prevede di sostituire con questo strumento le vecchie macchine per la pasta, tra l’entusiasmo di chi crede nell’innovazione e lo scetticismo di tutte le nonne d’Italia. Lo scorso anno i file di “Liberator”, una vera e propria pistola fai-da-te, sono stati diffusi in rete e scaricati da migliaia di persone in poche ore.
Oltre alle applicazioni in ambito artistico, dell’industria, della moda, la stampa 3D ha stuzzicato la fantasia del mondo della medicina, in cui si sogna di poter un giorno ottenere tessuti e organi da impiantare su pazienti per cui non ci sia la possibilità di utilizzare le tecniche tradizionali.
Sul nostro territorio, l’ “Incubatore-Acceleratore” di idee Ping (“Pensare in Granda”) mette a disposizione, in un contesto di Coworking (spazi di lavoro condivisi per la realizzazione di progetti e start up), una stampante 3D proprio nel centro di Cuneo.
Per darvi un’ispirazione rispetto ai modi in cui potete approfittarne, ecco alcune idee nate dalla possibilità di stampare in 3D.

Dal 18 al 24 Dicembre, a Lecce si è tenuta la mostra fotografica “Tu mi vedi?”. I soggetti raffigurati sono uomini e donne di tutte le età, ciechi e ipovedenti, fotografati in primo piano, con l’obiettivo di sfatare il cliché degli occhiali neri usati per nascondere lo sguardo. La mostra è aperta anche a persone con disabilità visiva, grazie alle opere realizzate proprio con una stampante 3D. Così, grazie all’idea del fotografo Silvio Bursomanno, gli stessi protagonisti della mostra potranno apprezzarla attraverso una restituzione tattile.

Open BioMedical Initiative (OBM) è un’associazione italiana, nata nel 2014 dall’idea di rendere più accessibili costosi strumenti biomedici. Come? Progettando modelli che si possano riprodurre con una stampante 3D.
Attualmente sono sul mercato tre prodotti. Il primo è WIL (Wired Limb), una protesi meccanica per la mano: viene azionata dai movimenti del polso del paziente, tramite un sistema di tiranti. È composta da materiali che sono a basso costo e facilmente reperibili, e tutte le sue parti possono essere stampate in tre dimensioni. Inoltre, nell’ottica di rendere questo ausilio il più possibile alla portata di tutti, tutta la documentazione necessaria è consultabile online.
Un altro tipo di protesi offerto dall’associazione è destinata a pazienti con malformazioni congenite o che hanno subito amputazioni. Si tratta di FABLE (Fingers Activated By Low-cost Electronics), una protesi elettromeccanica per l’arto superiore: gli impulsi mioelettrici prodotti dalla contrazione dei muscoli del gomito permettono di azionare l’ “arto meccanico”, e di ottenere anche i più precisi movimenti delle dita. Una protesi tecnologicamente avanzata e riproducibile ovunque, ancora attraverso lo strumento della stampa 3D.
Infine, OBM propone BOB (Baby On Board), un’incubatrice attrezzata per cure neonatali intensive. Anche in questo caso le carte vincenti sono i costi contenuti, le istruzioni di realizzazione consultabili on line e la possibilità di stampare tutte le parti che la compongono.
«Sappiamo di produrre dei prodotti che non sono al pari di quelli che costano dieci volte di più», ha dichiarato Bruno Lenzi, ingegnere tra i fondatori di OBM, nell’intervista di Ottobre 2015 a Start Up Italia. «C’è chi può permettersi la protesi da decine di migliaia di euro e c’è chi non può permettersela, la differenza è poter dare questa scelta. Una protesi tecnicamente inferiore, certamente, ma funzionale e, soprattutto, accessibile. Vogliamo dare gratuitamente un servizio a tutte quelle persone che non possono permettersi alcuna tecnologia».

Pembient è una start up californiana che ha visto nello strumento della stampa 3D un’opportunità di salvare alcune specie animali in via di estinzione. Sta infatti mettendo a punto la stampa di alcuni corni di rinoceronti, con l’obiettivo di lanciarli sul mercato per fare concorrenza a quelli derivati dalla caccia di questi animali. I primi corni sono prototipi di pochi centimetri, ma l’intuizione da cui sono nati può rivoluzionare il commercio e il destino di specie come rinoceronti ed elefanti.
A detta della start up, i corni sono stampati attraverso un programma basato sul codice genetico dei rinoceronti, e composti da cheratina, lo stesso materiale di quelli naturali. I corni stampati nel laboratorio Pembient sono quindi biologicamente identici a quelli che provengono dagli animali, e possono sostituirli per gli scopi per cui sono ricercati.
Oltre all’obiettivo ecologista che persegue, questa start up mostra la possibilità di intersecare le istruzioni di una macchina a quelle scritte nel codice genetico di un essere vivente. Se da un lato può spaventare, dall’altro apre sicuramente ad una serie di applicazioni che potrebbero, in un futuro non così lontano, rivoluzionare il mondo della medicina e il modo in cui ci curiamo.
La stampa 3D è stata commentata praticamente in ogni modo possibile. È stato detto che è un’invenzione geniale, una rivoluzione, e anche che l’umanità avrebbe potuto farne a meno. È stato detto che è la naturale evoluzione della stampa in due dimensioni, ma anche che rischia di stimolare la tendenza dell’uomo al “playing God”, a “giocare a fare Dio”. Probabilmente, come per ogni novità che ci è presentata, è troppo presto per trarre delle conclusioni.
È stata lanciata la provocazione secondo cui basta comprare una stampante 3D per creare una start up e avere successo. Ovviamente, questo strumento non stampa le idee, la voglia di mettersi in gioco, le porte in faccia che vanno sopportate. Ma fornisce un’opportunità che, unita alla vostra voglia di creare, può fare la differenza.