A partire dal 1880, in pieno declino ottomano, a causa delle persecuzioni ebraiche durante i Pogrom nell’est Europa, alcuni ebrei stanziati nel continente iniziarono a creare colonie in quella che oggi conosciamo come Palestina. Questi gruppi, sotto la spinta idealista del pensiero di Theodor Herzl, posero le basi per quello che in futuro prenderà il nome di Movimento Sionista, movimento che aveva a cuore la creazione di uno stato ebraico nella terra che aveva visto la nascita del loro credo, la Terra Santa.
I notabili arabo-palestinesi, preoccupati per il sempre maggior numero di coloni ebrei, nel 1891 scrissero al Gran Visir di Istanbul affinché proibisse le immigrazioni sioniste. Questi si adoperò per la causa araba ma le pressioni Inglesi e Francesi lo costrinsero a ritirare il blocco migratorio.
Al 1914, ovvero all’inizio della Prima guerra mondiale, gli immigrati ebrei europei ammontavano a 85.000, più o meno il 9% della popolazione, mentre gli arabi musulmani e cristiani erano circa 500.000, più una parte di ebrei ottomani che da tempo vivevano nella zona ed erano perfettamente integrati. Durante la Prima Guerra Mondiale la Gran Bretagna promise agli arabi, e in particolare allo Sharif Hussein, la creazione di un solo grande stato arabo in cambio del loro aiuto contro gli ottomani. Ma nel 1916, segretamente, le potenze europee alleate siglarono gli accordi Sykes-Picot, essi prevedevano la spartizione dell’Impero Ottomano in grandi zone d’influenza, rispettivamente sotto il controllo di Francia e Inghilterra. Nell’accordo in questione la Palestina sarebbe dovuta rimanere suolo internazionale sotto il controllo di tutti e due gli attori, se non fosse stato per i britannici e le loro mire espansionistiche sul canale di Suez. Il possesso del canale infatti avrebbe permesso di mantenere sicuri i commerci con l’India e così, per aumentare la propria influenza nella zona, incentivarono la colonizzazione sionista nella zona, naturalmente il tutto a scapito della popolazione araba. Nel 1917, dopo aver promesso agli arabo-palestinesi la libertà di formare governi propri, il ministro degli esteri britannico Arthur Balfour mostrò i piani del governo inglese enunciando la celebre dichiarazione che porta il suo nome. Con la suddetta dichiarazione riconosceva agli ebrei europei il diritto di costruire un proprio stato in Palestina, in netta contraddizione con le garanzie di autodeterminazione date precedentemente agli arabi durante il primo conflitto mondiale. I sionisti più radicali, attraverso il loro leader Chaim Weizmann, nel 1919 rivendicarono il diritto, su basi bibliche, degli ebrei di colonizzare la Terra di Israele (Eretz Yisrael). Ciò significava che la colonizzazione non avrebbe avuto solo la Palestina come riferimento geografico ma avrebbe coinvolto anche molti dei territori ad essa esterni. Sempre in questo anno abbiamo il primo appello palestinese alle potenze europee, con la richiesta della creazione di una Monarchia Costituzionale Democratica per salvaguardare la libertà delle minoranze etniche e religiose. Il 1920 vide la ratifica del trattato di Sèvres, nel quale i vincitori del primo conflitto mondiale si divisero l’Impero Ottomano sconfitto. Naturalmente con varie spartizioni la Siria andò alla Francia e la Palestina alla Gran Bretagna nella quale il governo britannico istituì la Jewish Agency per promuovere l’economia israeliana. I palestinesi rimasero pressoché esclusi e il loro potere economico divenne sempre più gregario di quella ebraico. Per gli arabi divenne sempre più chiaro che riconoscere il Mandato inglese significava riconoscere la legittimità degli insediamenti sionisti. I notabili, in assenza di un’associazione come la Jewish Agency, si rifiutarono per tutto il dominio inglese di partecipare all’amministrazione terriera, ottenendo però il risultato di autoescludersi definitivamente dalla spartizione delle zone di influenza.
Pubblicamente gli intenti dei sionisti erano quelli di trovare un’armonia nella convivenza con gli arabi, ma le dichiarazioni dei leader della neonata Organizzazione Sionista confermarono i peggiori sospetti dei palestinesi. Infatti il Dott. Eder nel 1921 dichiarò, “Ci sarà solo una nazione in Palestina, ed sarà quella ebraica. Non ci sarà eguaglianza fra ebrei e arabi, ma vi sarà la predominanza ebraica appena i numeri demografici ce lo permetteranno”.
Sempre in quell’anno a Jaffa esplose il primo conflitto armato tra le due compagini con 200 morti ebrei e 120 arabi, a cui il leader sionista Ben Gurion rispose iniziando ad organizzare la difesa dei territori colonizzati dagli ebrei. Nel 1929 gli arabi organizzarono una sortita al Muro del Pianto a causa del blocco ebraico di due zone sacre musulmane molto vicine ad esso, l’Haram al Sharif e la moschea Al Aqsa.
La violenza araba aveva però un’altra causa. I sionisti, attraverso il Jewish National Fund, continuarono a comprare le terre palestinesi da proprietari arabi non residenti, espellendo i contadini arabi che non avevano più nessuna voce in capitolo. Le terre acquistate vennero dichiarate suolo ebraico, sulle quali solo gli ebrei potevano lavorare, e questo deteriorò i già precari equilibri. Equilibri che saltarono ufficialmente con la presa del potere di Adolf Hitler e dei fascismi in generale, esperienze negative che potarono alla fuga di migliaia di giudei dall’Europa facendo, nel 1940, arrivare la popolazione ebraica in Palestina al 33%. Gli anni successivi videro l’acuirsi delle tensioni fino al 1948, l’anno dello scoppio del primo dei grandi conflitti che ridisegneranno per sempre lo scacchiere politico internazionale, la guerra arabo-israeliana. Ma tutto questo lo vedrete nel prossimo articolo.

Bibliografia di riferimento a cura di Francesco Regolo