«La tradizione è la base su cui costruire il nuovo»
Noi Cuneesi facciamo parte della regione dell’Occitania, ma forse non tutti sanno di cosa si tratta e che tradizioni conserva. L’Occitania è la civiltà della lingua d’Oc, nata intorno all’anno 1000 d.C. ed è la prima civiltà importante sorta dopo la caduta dell’Impero Romano, mai costituitasi come regno unitario. Comprende tutto il centro-sud della Francia, la Val d’Aran in Spagna e sedici valli in Italia nelle province di Cuneo e Torino. Nonostante non sia riconosciuta come nazione, la sua lingua, la sua cultura, le sue tradizioni, restano intatti da secoli e nell’ultimo periodo si sta assistendo ad una ripresa, soprattutto nell’ambito artistico-musicale. Questo perché è fondamentale conservare le tradizioni, renderle proprie e tramandarle alle generazioni future per poter vivere nel presente consapevolmente e progettare il futuro.
La musica e i balli occitani, che appartengono alla tradizione popolare, sono stati riscoperti da un gruppo celebre in provincia Granda: i Gai Saber che sanno mantenere viva la tradizione del territorio attraverso la loro incredibile musica e i loro spettacoli. Ascoltandoli, rimarrete affascinati dalla bellezza delle nostre origini e vi catapulterete in un mondo a sé, la cui atmosfera rimanda al passato. Scopriamo insieme, attraverso l’intervista a Alessandro Rapa, membro e caposaldo del gruppo, la cultura e la tradizione musicale del nostro territorio.
- Com’è nato il gruppo musicale? Quando?
Il gruppo nasce nel 1992, in un’epoca in cui la sensibilità per la cultura delle tradizioni fiorisce un po’ in tutto il Piemonte ed il nord Italia. È un momento in cui anche al di fuori dell’area occitana la sensibilità per la lingua madre e per le origini è molto forte, si pensi a gruppi musicali come i Mau Mau a Torino.
- Chi erano i membri iniziali?
Alessandro Rapa alle tastiere e chitarra e programmazioni digitali; Maurizio Giraudo ai flauti, cornamusa e ghironda; Paolo Brizio all’organetto; Chiara Bosonetto alla voce; Elena Giordanengo al galoubet, arpa e tambourin; Giulia Ferrero al timballo e galoubet; Teresa Ferrero al galoubet e Djembè; Maurizia Giordanengo all’organetto. Iniziammo senza batteria, poi ci furono un po’ di cambiamenti, e suonammo per anni con Josè Dutto alla batteria.
- Che genere musicale suonate? Come è nata l’idea?
L’idea è sempre stata quella di coniugare tradizione ed innovazione, attraverso il suono. I suoni sintetici elettronici, impiegati anche dal vivo insieme a quelli degli strumenti acustici, permisero di rendere attuale l’atmosfera della musica tradizionale.
- Perché vi chiamate Gai Saber?
Perché soprattutto all’inizio guardavamo alla cultura dei trovatori di lingua d’Oc del XI – XII secolo. Il concistoro del Gai Saber fu, nel 1300, un’associazione di letterati che guardava al ripristino della grandezza della lirica trovadorica, in un’epoca in cui questa era già in decadenza. L’affinità con la nostra filosofia culturale e musicale era evidente, da qui la scelta.
- Ci parli dei vostri principali concerti.
Strictly Mundial a Marsiglia nel 2003, Fiest’a Sete nel 2004, Ariano Irpino Folk festival nello stesso anno, Olimpiadi Invernali di Torino nel 2006, Estivada di Rodez in tre occasioni, e poi Folkest…ma ce ne sono tanti di un buon livello. Era un’epoca meno pilotata dalle produzioni musicali, in cui se avevi qualcosa da dire potevi essere chiamato a suonare. Una cosa tipica dell’ambito world music e folk, ma che si inseriva nel filone della musica indie degli anni ‘90, dove indie stava per indipendente, ovvero suonare senza essere inserito in un sistema di rooster, produzioni musicali, che oggi in Italia decidono chi suona e dove.
- Siete conosciuti anche all’estero? Dove?
I nostri principali concerti, ancor più che Italia, sono stati in Danimarca, Francia, Olanda, Spagna, Germania ed Estonia.
- La vostra musica è apprezzata anche dalle nuove generazioni?
Per le nuove generazioni ci sono i nostri successori, i Saber Système, stessa filosofia di indipendenza, ma musica che guarda alla commistione con i nuovi generi musicali. Ad ognuno il suo.
Entriamo nella sua vita:
- Chi è Alex Rapa?
Faccio il medico del lavoro. Mi piace. In pochi sanno cosa fa questa figura professionale, che si occupa di prevenzione. Con il Covid 19 ci siamo occupati della tutela dei dipendenti in prima linea, un’esperienza totalizzante, faticosa ma anche gratificante, che comunque spero di non dover ripetere. Il lavoro del medico è innanzitutto un dovere, tutto qui. Per cui non parlo quasi mai del mio lavoro sui social, non amo farne una celebrazione.
- Com’è nata la sua passione per la musica?
Ascoltando gli arrangiamenti della musica progressive della fine anni ‘60 – inizio anni ‘70. Penso di avere una predisposizione per l’arrangiamento, quello che oggi fa il producer. Penso che la mia passione per l’elettronica, già negli anni ‘90 e 2000, abbia condizionato il nostro guardare sempre al futuro. E oggi posso fare il producer per i Saber Système.
- Che strumenti musicali suona?
Come detto, produco le basi elettroniche e suono la chitarra e le tastiere. Credo che oggi questa attività (la produzione elettronica) andrebbe insegnata come si insegna uno strumento musicale. Una cosa che accade solo in conservatorio, ma che non esiste nell’immaginario collettivo popolare. Un ragazzo prende lezioni di batteria, non di produzione di loop ritmici. In questo abbiamo una mentalità vecchia.
- Parla occitano?
Segur, parlar e escriure a nosto modo es estaa facil, perquè i avia dins l’aurelhas les paraule de mon paire e ma maire… Io non sono un madre lingua, ma imparare la lingua d’Oc è stato facile perché avevo nelle orecchie il peveragnese delle frazioni, quello vicino alla Besimauda, il dialetto di montagna che parlavano i miei. Il passo è stato breve.
- È sposato?
Si, con la cantante dei Gai Saber, Chiara Bosonetto, nonché anima culturale del gruppo.
- Ha figli? Se sì, cosa vorrebbe tramandare loro?
Sì, sono 3: Eugenia Costanza e Antonio. Vivono, lavorano o studiano tutti in Francia. Credo che abbiamo tramandato loro i valori di tolleranza, convivenza, merito e pari opportunità che costituiscono il fondamento della lirica trobadorica occitana. Antonio è una delle voci nonché percussionista dei Saber Système, inoltre. Non dico missione compiuta, ma sono contento.
- Dove vive? Cosa ama della sua città?
Vivo a Peveragno. Mi piacciono la natura e la lingua, la gente anziana, il modo di esprimersi di noi vecchi, che quando gli chiedi come va rispondono “souma si”. E se ritengono che qualcuno sia uno scansafatiche, dicono che “tribula a doubiase”. Le metafore del piemontese ed occitano alpino sono insostituibili, e rispecchiano lo spirito di questa gente modesta ma arguta. Niente a che vedere con le sbruffonate televisive e dei social network di oggi, tipica degli uomini che occupano poltrone, figli della cultura dell’apparenza.
- Cos’è e di cosa tratta lo spettacolo “Angels Pastres Miracles”?
Tratta dai Novés Occitani, canti natalizi tradizionali che venivano eseguiti e rappresentati soprattutto in Provenza nel periodo natalizio, ma dei quali abbiamo importanti testimonianze anche nel territorio occitano d’Italia. Fanno rivivere il mistero della nascita e dell’infanzia di Gesù attraverso i racconti affascinanti e magici dei Vangeli apocrifi. In queste canzoni popolari, drammatizzate fin dal Medioevo nelle veglie di Natale, si ritrova la semplicità del mondo dei poveri, spesso i veri protagonisti dei racconti; una profonda fede nella Provvidenza divina, che protegge e consola i piccoli; un messaggio di fiducia, aiuto e simpatia per gli umili e gli oppressi, messaggio di cui la società attuale, travagliata da crisi e conflitti, sembra avere sempre più bisogno. L’interpretazione musicale dei Gai Saber dei Novés occitani fa riferimento alle molteplici influenze della musica del popolo di ieri e di oggi, da sempre in evoluzione in rapporto al mescolarsi delle genti e delle loro culture.
Parliamo del legame tra la vostra musica e la lingua occitana:
- Cosa significa “tradizione” per i Gai Saber?
Tradizione non può essere disgiunto da innovazione. La tradizione è la base su cui costruire il nuovo.
- Come mai la scelta di usare questa lingua nelle vostre canzoni?
Per la questione dell’identità della persona. La persona che sa quello che è non sarà mai troppo manipolabile, pensa con la sua testa, è orgogliosa delle proprie origini. Non ha paura di confrontarsi con altri perché ha stima di se stesso.
- A suo parere è importante preservare questa antica lingua? Perché?
Certo, perché contribuisce a costruire la nostra identità, ci dice da dove veniamo e cosa siamo, quali sono i valori che formano la nostra mentalità; identità è lingua, musica, arte pittorica ed architettonica del territorio, ambiente in cui si vive, cibo, tempo libero e sport locale. Un occitano, un piemontese è colui che si identifica in tutte od alcune di queste cose. Traduco: usa espressioni linguistiche locali, conosce almeno un po’ la musica e i balli occitani, ha visto ed è rimasto incantato dagli affreschi di Manta e San Fiorenzo di Bastia, passeggia per borgate montane e si ferma ad osservare le case spesso cadenti dei suoi avi, senza avversione, ma con un po’ di nostalgia. Fa escursioni, scia, arrampica. Ama il cibo italiano in generale, ma sotto sotto preferisce i tajarin o le raviole. L’identità è ciò che dopo anni di lavoro altrove, ti fa venir voglia di tornare dove sei cresciuto.
Spostiamo la nostra attenzione su Cuneo e il cuneese:
- Le piace la città?
Sì, ci abbiamo fatto uno spettacolo multimediale importante nel 2019, “Cuneo storia e leggenda della città triangolare”. Cuneo fa parte della mia identità e di quella dei Gai saber.
- Cosa cambierebbe e perché?
Oggi Cuneo ha una vocazione turistica. Incrementerei le iniziative in quel senso. Bisogna vedere se però questo è ciò che vuole la maggioranza dei cuneesi. L’età media della città non aiuta, sono i giovani quelli che spingono per il procedere oltre, gli anziani frenano sempre.
- Pensa che sia una città aperta?
Da 20 anni a questa parte sì. Prima era una città dormiente. Poi i locali, le iniziative culturali, gli spettacoli, sono fioriti. Non è detto però che queste cose continuino il rischio di regressione è forte, nel clima politico e culturale attuale.
- Se i Gai Saber dovessero scegliere una colonna sonora per la città, quale canzone/musica sceglierebbero del loro repertorio?
Preferisco “La libertat” dei nostri successori Saber Système come inno. Una canzone sulla libertà adattissima per la città della resistenza e dell’indipendenza delle idee, testo misto in francese, occitano e spagnolo.
- Se dovesse dare un messaggio ai giovani e meno giovani cuneesi, cosa direbbe loro?
Il mio messaggio è resistere, sempre. All’omologazione. Mai come oggi 1984 di Orwell è attuale. Occitania è anche, e soprattutto, resistenza e differenza. Se vi va, guardate questo videomessaggio sulla nostra pagina Facebook, è tutto lì dentro: https://www.facebook.com/www.gaisaber.it/videos/268890107836912