In Cecità, romanzo distopico del premio Nobel José Saramago, l’autore immagina che un’epidemia di cecità si diffonda gradualmente in tutto il mondo e affligga, quindi, ogni essere umano; per arginare il problema, i primi neo-ciechi, che sono anche i protagonisti del libro, vengono segregati in quarantena e sono costretti a scendere a patti con la propria dignità, per sopravvivere. 

La perdita della vista comporta lo smantellamento di ogni convenzione sociale, della cultura, del pudore, della proprietà privata, e fa emergere il lato più egoista e brutale dell’uomo; rinchiusi in celle sovraffollate, i personaggi smarriscono il senso dell’umano e, così, la bestialità prende il sopravvento: stupri, violenze di ogni sorta, furti e prevaricazione diventano per tutti la quotidianità. 

Quando è ormai chiaro che il morbo è ineluttabile e che non esiste, per nessuno, una via di fuga dall’oscurità, i “prigionieri” vengono liberati e imparano a conoscere la nuova terribile fisionomia del mondo senza luce, non molto diversa da quella che si era profilata nelle celle, durante la quarantena.

Qual è il messaggio che intende trasmettere Saramago, con il suo volume angosciante e atroce? Rispondere alla domanda non è affatto semplice, perché il romanzo è passibile di diverse interpretazioni; innanzitutto, la prima riflessione che nutre riguarda l’importanza della vista. Questo senso, difatti, viene presentato come la conditio sine qua non dell’uomo, ovvero ciò che, insieme alla ragione, permette di distinguerlo da un animale. In secondo luogo, il mondo terribile e sconvolgente che viene descritto dall’autore è caratterizzato dall’ambivalenza: si tratta davvero di un universo altro, di uno scenario lontano da quello reale, o la cecità è una metafora dello sperdimento e dell’alienazione che pervadono la contemporaneità? Certo, nel libro gli effetti conseguenti a queste due condizioni esistenziali vengono iperbolizzati, ma la massima dell’homo homini lupus è applicabile anche al nostro presente. Sempre volendo considerare l’allusività del testo, la dicotomia buio-luce si carica di una valenza simbolica e può tranquillamente essere giustapposta all’antitesi tra la ragione e la follia in quanto l’essere umano senza vista, e quindi senza luce, rimane in balìa dei propri folli istinti.  

Per concludere, Cecità è un romanzo che, mutuando un’espressione che una parte della critica aveva impiegato per commentare Il tamburo di latta di Gunter Grass – altro pilastro della letteratura del secondo Novecento –, fa venire voglia di lavarsi le mani per il disgusto, al termine della lettura. Ma è anche un’opera suggestiva: l’intento del romanziere, infatti, è quello di fare sorgere degli interrogativi, piuttosto che di offrire un messaggio o una risposta preconfezionati.