Lo Zeitgeist è lo spirito culturale predominante di una determinata epoca, ed esso si riflette nella letteratura, nella filosofia, nelle arti e nella religione. Nella breve storia degli uomini sulla terra, la trasformazione dell’Impero Romano da potenza politeista a forza cristiana ne segna uno spartiacque non indifferente, che deve essere analizzato.

In questo articolo seguiremo però la vicenda di un uomo che si erse e tentò di contrastare lo spirito del tempo, contro un mondo antico che virava verso il monoteismo della religione cristiana. Quest’uomo fu Flavio Claudio Giuliano, o Giuliano l’Apostata. Fu l’ultimo imperatore pagano e tentò senza successo di restaurare la vecchia religione romana. I cristiani in ogni epoca lo additarono come persecutore, ma nel suo regno non vi fu nessuna grande persecuzione, e venne praticata la tolleranza nei confronti di tutte le religioni, compresi il cristianesimo e l’ebraismo. Al punto che si preparò anche un progetto per la ricostruzione del Tempio distrutto di Gerusalemme, secondo un preciso programma di rafforzamento dei culti locali originari. Ma non finì qui la sua opera, a livello di riforme sociali combatté contro la burocratizzazione dell’impero garantendo una buona amministrazione delle città italiane e europee.

In ogni caso l’astio dei cristiani nei suoi confronti è dovuto ad una serie di trattati filosofici che scrisse con chiara ispirazione neoplatonica. In essi giudicava gli ambienti più intransigenti del cristianesimo, i quali volevano la soppressione dei vecchi culti, forti di quella che loro riportavano come “vera rivelazione”. Giuliano dal canto suo sosteneva che l’unità dell’impero non stava nell’unità spirituale, ma nella libertà dei sudditi di scegliere il proprio personale culto di appartenenza. Solo attraverso la convivenza si poteva creare una società ricca e fiorente.

La restaurazione in questo senso non era più vista come un’imposizione, uno screditare i culti monoteistici, ma come un tentativo di dar loro una dimensione pluralista, collaborativa. Come riportato dal cattolico Bidez, ciò che distingue Giuliano e lo rende un grande personaggio non sono le sue idee e le sue imprese, ma l’intelligenza e il carattere. Fu ardito ed entusiasta della sua fede e, seguendo i comandamenti di Mithra, richiese a se stesso coraggio, purezza ed ebbe per gli altri senso di giustizia e fraternità.

La nobiltà della moralità di Giuliano era degna del massimo rispetto, ma il suo tentativo di riforma religiosa fallì, al di là del poco tempo che gli fu concesso per attuarla, perché soltanto il cristianesimo sapeva ormai veicolare le paure degli abitanti dell’Impero e dargli un senso, un nome.  Il suo tentativo di riforma religiosa non deve però essere considerato il sogno reazionario di un intellettuale innamorato della cultura antica. Era piuttosto la convinzione di un politico per il quale la paideía classica era il cemento dell’unità e della prosperità dell’Impero.

Questa concezione è espressa nel Contro il cinico Eraclio, nel quale era stato Zeus stesso di fronte al disastro dei suoi immediati predecessori, ad affidargli la missione della restaurazione dello Stato. Così come il Genius Publicus gli aveva rivelato a Lutezia, l’antica Parigi, che il suo era un mandato divino. E che, in quanto tale, lo rendeva un teocrate, un ponte tra divino e umano, molto simile ad un papa cristiano, la cui opera ed esistenza potevano garantire la salvezza della grande società romana.