Michele è un bambino sui generis: ai cambiamenti preferisce la fissità, all’apertura verso il mondo esterno una malinconica solitudine. Ogni estate torna a Scalna, un piccolo paesino della campagna milanese in cui ogni anno trascorre le vacanze estive con la famiglia; Scalna è l’emblema dell’infanzia che sta lentamente scolorando, è il tempo, contro cui il bambino combatte quotidianamente e con veemenza la propria battaglia, per impedire ai luoghi, alle persone, agli oggetti, alla sua stessa vita di cambiare. Ma una lotta contro un tale contendente è inevitabilmente destinata ad essere persa: e quindi, pagina dopo pagina, il bambino – che non è altri che l’autore – narra la propria debacle. Il racconto è disseminato di indizi che permettono di inferire questa disfatta: prima ci sono gli alberi che crollano e inducono Michele ad asserragliarsi nella biblioteca, per non sottoporre allo sguardo un tale sfacelo; la biblioteca diventa quindi un guscio, un fortilizio, che impedisce al giovane il contatto con l’esterno, e dunque con il cambiamento. Poi c’è l’abitazione di Flora, l’anziana vicina a cui Michele fa spesso visita: nella sua casa il tempo sembra non aver avuto la meglio, perché tutto è rimasto com’era prima della guerra; ma il presente intollerabile, sotto forma di una modernissima lampada, riesce a infiltrarsi anche in questo luogo. E infine c’è Tabù, il cane di Flora, con cui Michele instaura un tenero e divertente cameratismo. Il cane della vicina pare essere lo stesso da tempo immemore: appena il cane muore, la donna lo sostituisce prontamente con una sua copia identica. Ma nemmeno questo escamotage riesce a ingannare il tempo, ed ecco che di Tabù si perdono le tracce.
Ciò che contamina lo schema mentale con cui Michele ha incasellato il mondo e, più nello specifico, la vita a Scalna, suscita in lui un’acuta insofferenza e lo spinge ancor di più alla reclusione. A corrodere questo schema ci sono soprattutto i Baldi, la famiglia che abita accanto a quella del protagonista-narratore: il loro modo di vivere è agli antipodi rispetto a quello del bambino, i Baldi sono numerosi, rumorosi, sempre allegri e partecipano alla vita comunitaria. L’astio che prova nei loro confronti sembra, però, essere ambivalente e fa sorgere un dubbio: Michele li odia davvero, o il suo sentimento è colorato da una punta di invidia?
Michele Mari racconta un’infanzia diversa, dolceamara, riuscendo nell’ardua impresa di conciliare uno stile e una lingua davvero unici, una scrittura certamente barocca, ricercata, a tratti difficile, con una sorprendente fluidità.